2019-07-05
Ricatto dalla Libia per la gioia delle Ong: «Pronti a rifilarvi oltre 8.000 migranti»
Il governo di Fayez Al Serraj ricatta Roma sfruttando i missili di Khalifa Haftar. Avvenire incolpa Matteo Salvini, come se fosse stato lui a sparare.Carola Rackete andrà in tribunale martedì. Marco Castoldi, in arte Morgan col Viminale: «Fateli lavorare, non rompete i c...».Pescatore condannato: come la Sea Watch, urtò una motovedetta. La Cassazione: «Era nave da guerra».Lo speciale contiene tre articoli.Il bombardamento che ha causato oltre 100 vittime in un centro di accoglienza e detenzione di migranti a Tripoli era sospetto fin dall'inizio. Le forze del Colonnello Khalifa Haftar hanno da subito ammesso la paternità, sostenendo di aver sbagliato: erano convinti si trattasse di mercenari. Ciò che da subito si è però reso palese è l'uso politico altrettanto spregiudicato che ne ha fatto il capo del governo della Cirenaica. Il vero obiettivo è colpire la leadership italiana, anzi le scelte di gestione dei flussi migratori targate Matteo Salvini. Ora il colonnello Haftar è uscito allo scoperto, anche se per bocca di un suo sottoposto: «Lanciamo un appello al mondo intero e all'Unione europea a porre fine alla politiche razziste del ministro dell'Interno italiano» che «in collaborazione con l'incostituzionale consiglio presidenziale» di Fayez Al Serraj sono «la ragione principale dell'accumulo di migranti nella regione occidentale della Libia», ha affermato il generale Mohamed Al Manfour, comandante delle forze aeree dell'Esercito nazionale libico. Secondo Al Manfour, le politiche di Salvini hanno causato il «rimpatrio forzato di migranti in Libia», facendoli tornare «ancora una volta nelle mani degli stessi trafficanti di esseri umani da cui sono fuggiti» e ricollocandoli «tra carri armati e depositi di munizioni in quello che altro non è che una palese violazione delle regole basilari dei diritti umani e dei valori umani». Al netto del paradosso sottostante, (forze armate che bombardano civili e accusano il governo italiano di essere razzista), il tentativo in atto mira a indebolire l'attività leghista per cercare di aprire un varco diplomatico e spingere Roma ad abbandonare il governo di Tripoli, sostenuto fin dai tempi di Marco Minnniti al Viminale. Gli uomini della Cirenaica conoscono bene l'Italia le dinamiche che la riguardano. Sanno che accusare Salvini di razzismo basta a coagulare tutte le forze anti Lega. E così le accuse degli uomini di Haftar sfondano il muro immaginario del Mediterraneo, arrivano fino all'aula del Parlamento e sulle pagine dei giornali. A cominciare da Avvenire, che ieri ha dedicato l'apertura al tema e, in pratica ha ribaltato la frittata. Se si bombardano i centri per migranti, la Libia è un porto insicuro. Solo Salvini sostiene il contrario. Di conseguenza i porti vanno riaperti. la condanna di Avvenire è tutta diretta al leader leghista. Quasi nulla nei confronti di Haftar, nonostante chiunque possa valutare l'uso spregiudicato che fa delle bombe. La cieca opposizione politica a Salvini tiene però bordone ad Haftar, senza che Avvenire partecipi alla distribuzione delle cedole. Il colonnello della Cirenaica desidera prendere il potere e conquistare la cassa, in mano al fondo sovrano di Tripoli. Lo fa con la forza, ma in Libia non esistono mezze misure. La sinistra italiana che beneficio avrà da tutto ciò? La domanda è retorica perché la risposta è una sola: farsi usare dai leader libici e schiantarsi contro il muro del buon senso (e quello delle prossime elezioni). Chi invece ha le idee chiare sono i rappresentanti delle Ong, forti di un argomento in più per sostenere che la Libia non potrà mai essere un porto sicuro. Ma ancor più delle Ong, chi ha capito di dover cogliere al volo l'opportunità scaturita dal bombardamento è il governo di Tripoli. Il ministro dell'Interno della Libia, Fathi Bashagha, ha dichiarato che di avere il compito di proteggere i civili, ma che colpire i centri di detenzione in cui sono rinchiusi i migranti va oltre ogni capacità di offrire protezione: «Il governo di accordo nazionale è obbligato a proteggere tutti i civili, ma gli attacchi verso i centri di detenzione dei migranti da parte dei caccia F16 sono al di là della capacità governativa di proteggerli», ha dichiarato Bashagha ai media locali. Gli stessi quotidiani hanno riferito l'intenzione del governo di accordo nazionale di chiudere i centri di detenzione e liberare tutti i migranti che vi sono detenuti. Almeno 8.000 persone, secondo le stime dell'Unhcr, che si troverebbero improvvisamente libere di imbarcarsi verso l'Italia. Il governo di Al Serraj teme che la Lega - e il nostro governo in generale - possa aprire un dialogo diretto con Haftar. Salvini sa che senza porti sicuri il decreto Sicurezza bis salterebbe per aria. Con la minaccia di liberare migliaia di immigrati, Al Serraj manda il suo personale pizzino: non trattate con la Cirenaica, Tripoli deve rimanere l'unico interlocutore. La sinistra non comprende che c'è una partita a scacchi in atto, osserva il dito e ignora addirittura che esista la luna. Fare da sponda ai due governi libici in un momento come questo significa usare i migranti e - moralmente - essere complici. Soprattutto significa rendere ancora più complicato per l'Italia prendere una posizione precisa nel perimetro internazionale. Ieri la Turchia ha condannato apertamente le mosse di Haftar. Quest'ultimo ha chiesto agli Emirati Arabi di tornare a sostenerlo e - a quanto risulta - avrebbe ricevuto una porta in faccia. Significa che l'alleanza filo Cirenaica si sta spezzando. Bisognerebbe discutere su come agire d'imperio sulla Libia e chiedere anche alla Francia e agli Stati Uniti di svelare le carte. Se invece ci lasciamo trascinare dalle strategie altrui, saremo sempre vittima del Mediterraneo e mai promotori di un rilancio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ricatto-dalla-libia-per-la-gioia-delle-ong-pronti-a-rifilarvi-oltre-8-000-migranti-2639088662.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="carola-nellarcigay-ad-honorem-in-attesa-di-finire-davanti-ai-giudici" data-post-id="2639088662" data-published-at="1764619762" data-use-pagination="False"> Carola nell’Arcigay ad honorem in attesa di finire davanti ai giudici Carola Rackete è diventata un comandante fantasma: si trova, come hanno spiegato i responsabili di Sea Watch, in una località segreta, manco fosse un collaboratore di giustizia minacciato dalla mafia, in attesa dell'interrogatorio al quale verrà sottoposta, il prossimo 9 luglio, dai pm di Agrigento, che l'hanno iscritta nel registro degli indagati per l'ipotesi di reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La Rackete resta indagata anche per rifiuto di obbedienza a nave da guerra, resistenza o violenza contro nave da guerra e navigazione in zone vietate, anche se il gip agrigentino Alessandra Vella ne ha disposto la scarcerazione. Non è dato sapere se la notizia la entusiasmerà, ma la Rackete ieri ha ricevuto la qualifica di «socia benemerita» dalla sezione padovana dell'Arcigay. Ieri, in un'intervista al Corriere della Sera, il premier Giuseppe Conte ha sostanzialmente confermato la sua posizione riguardo l'affare Sea Watch, perfettamente in linea con quella del ministro dell'Interno Matteo Salvini: «Come uomo di diritto», ha argomentato Conte, «rispetto il ruolo del magistrato, anche se ritengo che i provvedimenti di un magistrato possano essere criticati e, se ritenuti ingiusti, impugnati. Rimane un dato che mi ha lasciato fortemente perplesso: il comportamento di chi fa un uso politico strumentale di vicende che coinvolgono vite umane, e ritiene che tra tanti porti del Mediterraneo, l'unico sicuro debba essere un porto italiano. Fino al punto di stazionare per oltre due settimane», ha aggiunto Conte, «e arrivare a forzare l'ingresso in un nostro porto». A proposito di Salvini, ieri il ministro dell'Interno ha pubblicato sui social network vari post che fanno riferimento al caso Sea Watch. Commentando alcune indiscrezioni sull'amarezza della Guardia di Finanza per la scarcerazione della Rackete, il leader della Lega si è rivolto ai finanzieri: «Il popolo sta con voi». E poi: «Sentenza di condanna a 16 mesi di carcere», ha scritto Salvini in un altro post, «a un uomo che speronò una motovedetta della Guardia di Finanza, considerata nave da guerra. Ma quella persona non si chiamava Carola». Tra i tanti attestati di stima e incoraggiamenti, ieri Salvini ha ricevuto quello del musicista Marco Castoldi, in arte Morgan: «Lasciamo lavorare Salvini. Un governo», ha detto il cantante alla Adnkronos, «eredita una situazione, magari ha tante buone idee ma non è facile metterle in pratica. Per cui non rompiamo i coglioni a Salvini, lasciamolo lavorare. È stato eletto dal popolo, ha un mandato e segue la sua logica governativa. Salvini in questo momento ha un compito molto gravoso. Le cose non nascono dal nulla: ci sono organizzazioni umanitarie, sociali e politiche che organizzano delle navi che vanno a raccogliere in mezzo al mare persone su delle barchette. Perché tutti i governi europei», ha aggiunto Morgan, «non parlano con queste organizzazioni umanitarie? Perché non capiscono che bisogna evitare disastri organizzando le cose prima che accada il peggio? Bisogna lavorare sulle cause non sui sintomi». Tra le tante considerazioni sulla vicenda, particolarmente interessante la provocazione di Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera di Fratelli d'Italia: «Se secondo la Procura di Agrigento», ha detto Rampelli, «la capitana Carola non ha commesso reati ed era pienamente legittimata ad approdare a Lampedusa, allora ci aspettiamo che la magistratura apra subito un'inchiesta a carico della Guardia di Finanza e dei ministri che hanno illegittimamente tentato di impedirne lo sbarco». Al ministro dell'Interno tedesco, Horst Seehofer, in un'intervista sull'Augsburger Allgemeine, è stato chiesto di commentare l'arresto della Rackete: «Siamo sempre pronti», ha risposto Seehofer, «a dire agli altri Paesi cosa stanno facendo di sbagliato. La decisione su ciò che accade al capitano deve essere presa dalla magistratura italiana. Il grande scandalo in questo caso sta nel fatto che l'Unione europea abbia fallito catastroficamente sulla politica dei rifugiati». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ricatto-dalla-libia-per-la-gioia-delle-ong-pronti-a-rifilarvi-oltre-8-000-migranti-2639088662.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sperona-la-finanza-ma-non-ha-i-rasta-16-mesi" data-post-id="2639088662" data-published-at="1764619762" data-use-pagination="False"> Sperona la Finanza ma non ha i rasta: 16 mesi La legge è uguale per tutti, ma qualcuno è più uguale degli altri. Ieri, su Twitter, Matteo Salvini ha ricordato un episodio accaduto 13 anni fa: un uomo che speronò una motovedetta della Guardia di finanza, proprio come la capitana Carola Rackete e che però fu condannato a 16 mesi di carcere perché... l'imbarcazione dei finanzieri fu considerata nave da guerra. Un criterio di giudizio ben diverso, insomma, da quello applicato dal gip di Agrigento, Alessandra Vella, nei confronti della comandante della Sea Watch 3, scarcerata anche perché la motovedetta della Gdf quasi speronata dalla nave Ong era in acque territoriali italiane. E dunque, a suo parere, non poteva essere considerata in assetto bellico. Decaduto, dunque, il reato di resistenza a nave da guerra. Ma cosa successe oltre un decennio fa? Era il marzo del 2002. I finanzieri di stanza a Chioggia stavano effettuando un controllo sui pescatori di molluschi di frodo. Trovarono, si legge nella sentenza di Cassazione, emessa appunto nel 2006, «un gruppo di imbarcazioni» e tentarono di abbordarne una. La nave, però, «dopo l'intimazione di alt si era data alla fuga a luci spente ed era riuscita a speronare l'unità militare, provocandone la rottura dell'elica». Ma prima che il pescatore di frodo sparisse nella notte, gli agenti erano riusciti ad annotare «il numero di matricola, il tipo e il colore». Per farla breve: proprietario identificato e trascinato in tribunale. E indovinate un po' cosa disse la Cassazione nel 2006? Che era corretto idetificare la motovedetta delle Fiamme gialle come «nave da guerra». Non a caso, all'imprudente conducente del peschereccio era stato contestato il reato di «resistenza e violenza contro una nave da guerra». In acque italianissime, al largo di Chioggia. Peccato solo che il signor P.F. (nel dispositivo della sentenza sono indicate soltanto le iniziali) fosse appunto il signor P.F. e non la signorina C.R., ovvero Carola Rackete. La quale ha i rasta, non ha fatto la pescatrice di molluschi, ma di uomini. Li ha tenuti in mare aperto per due settimane, anziché andare alla ricerca di un altro porto sicuro. E a un certo punto, in piena scienza e coscienza, ha deciso di forzare il blocco navale legittimato dal decreto Sicurezza bis e avallato anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Certo, il gip Vella ha sostenuto che i reati eventualmente commessi dalla Rackete sono giustificati dallo stato di necessità. Emergenza evidentemente assente nel caso del pescatore di frodo che stava cercando di imbarcare, ovvero, di rubare, un po' di gamberetti. Ma è pur vero che lo «stato d'emergenza» umanitaria si crea, se, appunto, si rimane al largo di Lampedusa per 15 giorni perché si vuole a tutti i costi entrare in Italia. Ma se la magistratura gioca brutti scherzi a Matteo Salvini (e al 34% di italiani che lo sostiene, peraltro legittimamente, visto che il dl Sicurezza è costituzionale), anche il Movimento 5 stelle non è da meno. In Aula, infatti, i grillini hanno proposto un emendamento pro Ong al decreto Sicurezza bis. Ira del sottosegreatio leghista al Viminale, Nicola Molteni: «I pentastellati ci dicano da che parte stanno: con la legge e la legalità oppure con i trafficanti di esseri umani che umiliano l'Italia e le nostre forze dell'ordine.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)