
La difficoltà in cui versa la metropoli apre scenari interessanti: una candidatura a sindaco di Giorgia Meloni piacerebbe a Matteo Salvini. Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti «chiuderebbero» volentieri Alessandro Di Battista e Carlo Calenda in Campidoglio. E se si votasse a Roma? E se il primo cittadino della Capitale ritornasse una carica contendibile? Per adesso si tratta di un caso di scuola improbabile, perché Virginia Raggi gode di una maggioranza blindata dal punto di vista numerico, e - ovviamente - spera di raccogliere nell'ultima parte della sua legislatura il frutto delle realizzazioni di medio-lungo termine. Ma è anche vero che Roma è stata eletta a campo di battaglia con una sfida campale, lanciata via radio da Matteo Salvini, concedendosi un inconsueto grado di esplicitazione: «Roma è trascurata e poco seguita» aveva detto il leader del Carroccio a Radio anch'io, «la Lega sta preparando progetti per una Roma diversa». Non è un mistero che la Raggi e Salvini si detestino, anche sul piano dei carismi personali. Lei aveva invitato lui - via Giovanni Floris - ad andare a lavorare. Lui aveva replicato con un avviso di sfratto. Lei lo aveva beffeggiato con un video a base di mollichelle di pane sul debito di Roma («Non è difficile: lo puoi capire pure tu»), lui ha reagito facendo saltare il cosiddetto «Salvaroma». Lei si è tolta lo sfizio del gesto atletico quando - con coraggio - è andata a prendersi i fischi a Casal Bruciato. Insomma: nulla li unisce, tutto li divide, e Matteo ha conquistato nel voto per Strasburgo parte delle periferie che avevano investito in modo bulgaro la candidatura di Virginia. Il paradosso dunque è questo: emergenza rifiuti, cadaveri all'università, guerriglia su appalti e scale mobili biblicamente inceppate fanno di Roma una capitale «scalabile», prima ancora che per i giudizi sull'operato della giunta, per i dati simbolici che ne hanno fatto la protagonista di un racconto nazionale di decadenza. E hanno anche eletto la Capitale - e questo è il secondo motivo di interesse - a una potenziale valvola di sfogo. Centrodestra, centrosinistra e M5s, per esempio, hanno già come potenziali candidati tre leader di spessore nazionale. Nel campo sovranista, sicuramente, il nome più forte sarebbe quello di Giorgia Meloni, che (nelle scorse elezioni) perse Roma solo per la «diserzione» di Forza Italia. Nel centrosinistra il nome più solido è quello di Carlo Calenda, appena baciato da un notevole successo personale nella circoscrizione Nord Ovest. Nel campo dei pentastellati l'unica vera alternativa forte a Virginia Raggi (qualora lei scegliesse di tirarsi indietro) è Alessandro Di Battista. Non sfugge a nessuno, ovviamente, che queste tre candidature, oltre a dare luogo a una sfida spaziale, risolverebbero tre problemi di leadership. Calenda verrebbe sottratto al sogno di fondare un suo partito («Siamo europei»), la Meloni verrebbe distratta dalla cura di Fratelli d'Italia (proprio nel momento in cui il partito sta raggiungendo livelli elettorali da record), ad un passo dal sorpasso di Forza Italia (già annunciato nei sondaggi). Di Battista - infine - è in un momento di enorme visibilità mediatica e a Luigi Di Maio, che ha palesato chiari segnali di insofferenza, non parrebbe vero vederlo impegnato su un campo di battaglia fangoso e duro, piuttosto che averlo libero di esternare e giudicare, potenziale competitore o severo censore. A Roma si dice: tre palle un soldo. Calenda è tentato dalla Costruzione di Siamo europei (e Nicola Zingaretti non ne è felice), la Meloni dalla trasfigurazione di Fdi nel secondo partito del centrodestra (cosa che in Salvini non suscita entusiasmo) Di Battista verrebbe allontanato dalla possibilità di scalare il M5s (se non altro perché finché non cambiano le regole gli resta solo un mandato). Il fatto divertente - viceversa - è che a prima vista nessuno dei tre profili che abbiamo elencato sarebbe felice di essere designato. Forse proprio per motivi uguali e contrari a quelli che spingono i rispettivi leader a pensare a loro, per inanellare un immaginifico «promoveatur ut admoveatur». La guerra di Corea deflagrò in una teatro minore perché i due imperi della guerra fredda non potevano combattere la sfida sul terreno degli armamenti strategici nucleari. I partiti della terza repubblica, desiderosi di farsi le zanne, gonfiare i muscoli, riscuotere crediti e incassare rivincite, sarebbero tutti felici di confrontarsi sul teatro di guerra della Capitale. Qualcuno si farebbe sicuramente male, non c'è dubbio. Ma la battaglia della Capitale lascerebbe ancora aperta la guerra della legislatura.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





