2024-06-10
«Repubblica» vince l’oro in razzismo
Il giornale celebra i trionfi dell’atletica definendoli frutto dell’immigrazione, ma le star azzurre hanno tutte un genitore italiano. I progressisti si fermano al colore della pelle...Pare di vederli, a Repubblica: in una mano la scala Pantone, nell’altra le foto degli atleti azzurri medagliati agli europei di atletica: «Questo è un nuovo italiano, questo è un vecchio italiano, questo parrebbe nuovo, ma potrebbe essere anche abbronzatura, ricordiamoci di controllare l’albero genealogico». Per la misurazione dei crani, si stanno attrezzando. In ogni caso, di fronte alle belle vittorie tricolori, nel quotidiano fondato da Eugenio Scalfari è questo che pare essere balzato all’occhio: l’integrabilità di quegli atleti nella narrazione immigrazionista su rigorosa base cromatica. Con buona pace degli altri connazionali sul podio, quelli con la sfortuna di essere figli di tanti anonimi Mario Rossi e Maria Bianchi, tagliati fuori dalle foto virali per insufficienza di melanina e conseguente irriducibilità alla retorica di parte. «Quelle medaglie dell’atletica dedicate a Vannacci e ai tanti colori dei nuovi italiani», titolava ieri Repubblica, cercando di tirare per un’ultima volta la volata al generale in spregio del silenzio elettorale. «È grazie ai “nuovi italiani”, i figli appunto dell’immigrazione, nelle sue gradazioni di colori, che l’Italia sta dominando gli europei di atletica», si leggeva nel pezzo. A dirla tutta, il fatto che all’aumentare di «afrodiscendenti» aumentino le vittorie in certe specialità è cosa che può sorprendere solo chi neghi l’esistenza delle razze umane, non chi affermi il contrario. Il fatto è che una nazione non si fa con la lista della spesa: «Mi dai tre kenioti per la maratona, due cinesi per il ping pong e due attaccanti brasiliani per la nazionale di calcio... anzi facciamo tre, che si schiera il 4-3-3». A ben vedere, del resto, anche le storie dei nostri campioni ritenuti epidermicamente corretti da Repubblica paiono mal utilizzabili per spalancare i porti: Mattia Furlani e Marcell Jacobs hanno un genitore italiano, così come Lorenzo Simonelli, mentre Chituri Ali ha papà e mamma stranieri ma da piccolissimo è stato dato in affido a una famiglia italiana, secondo prassi giuridiche in uso dai tempi dei romani. Urge trovare un campione appena sceso dal barcone, come in quel film in cui Checco Zalone faceva palleggiare i giovani immigrati direttamente nell’hotspot. Vecchia storia, comunque, quella dell’uso propagandistico di sportivi colorati: la Francia calcistica campione del mondo del 1998 doveva celebrare l’oggettivo trionfo della superiorità di un modello. Le vittorie delle monoetniche nazionali di Italia 2006 e Spagna 2010, invece, riguardavano solo quella cosa con la palla e 22 tizi che le corrono dietro, non c’era nessun’altra lezione dietro. Gli spaccati significativi della realtà, che si vorrebbero univoci, in realtà dipendono sempre da come «tagli» i fatti. Ad esempio: se la percentuale di medagliati di colore nelle gare di atletica ci racconta qualcosa del nostro Paese, perché non può dirci qualcosa l’analoga percentuale, basata sugli stessi identici criteri, dei condannati in Italia per reati sessuali?