2021-09-25
Il report sull’aborto trucca i dati sui rischi
La relazione del ministero della Salute, relativa al 2019, non dichiara alcun incremento tra gli effetti avversi della pillola Ru486. Ma spulciando i numeri si scopre che le complicanze sono cresciute del 2% e risultano dieci volte quelle dell'interruzione chirurgica.A San Marino l'esito referendario potrebbe essere l'ultimo colpo al ruolo maschile nella genitorialità.Lo speciale contiene due articoli.«Inutile e fuorviante» la relazione annuale del ministero della Salute al Parlamento sull'applicazione della legge 194/1978. È questo il parere di chi si è preso la briga di leggere il testo e le tabelle del documento che preme l'acceleratore sull'aborto farmacologico sostenuto dal ministro Roberto Speranza perché in grado di sbrigare, tra le mura domestiche, la pratica di eliminare una vita umana. Attenendosi ai dati del documento ministeriale, senza addentrarsi in temi etici, si scopre paradossalmente che il metodo farmacologico non è così sicuro come si vorrebbe far credere perché ha 10 volte le complicanze di una interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) ospedaliera. Questa però non è l'unica cosa che non torna. Certo, nel 2019 il numero degli aborti, in Italia, sarà anche diminuito (-4% rispetto al 2018), la procedura farmacologia interesserà un caso su quattro (24,9%) e la contraccezione di emergenza si sarà anche stabilizzata su circa 550.000 confezioni l'anno, ma nelle 99 pagine del report ci sono dati nel testo che non si ritrovano nelle tabelle o sono incoerenti, pezzi copiati e incollati da report precedenti che portano a conclusioni sballate, senza contare che sono quasi triplicati i dati non rilevati. «Ho notato il numero di 5.180 ricoveri di due giorni - il ricovero segnala una complicanza nella procedura - ma nella tabella riassuntiva (n. 27 a pag 92) ho trovato solo 411 complicanze complessive a fronte di 4.148 dati non rilevati», spiega Angelo Francesco Filardo, ginecologo, vice presidente nazionale dell'Associazione dei ginecologi e ostetrici cattolici (Aigoc). «Come è possibile», si domanda il medico, «che in una cartella clinica non vengano riportati questi dati?». Il dubbio sul fatto che i valori non rilevati possano essere stati eliminati si ricava anche solo osservando che, proprio per indicatori come il numero delle complicanze, il tipo di intervento e la durata delle degenze, siano triplicati i dati non rilevati rispetto al 2018. «Un po' di attenzione e di rispetto per i destinatari e i lettori», osserva Filardo, «avrebbe indotto i curatori dell'estensione della relazione per lo meno a sommare le 979 complicazioni totali delle Ivg farmacologiche sparse tra pag 53 e 55, alle 411 complicazioni totali riportate nella tabella 27». Meno complicanze ci sono e più si può procedere sicuri, avranno probabilmente pensato al ministero, ma non hanno riletto il testo, a quanto pare. Proprio sul tanto osannato metodo farmacologico, leggendo con attenzione, si scopre che le complicanze sono in aumento (+2%) e dieci volte di più rispetto all'Ivg chirurgica. «Confrontando la precedente relazione ministeriale - sempre firmata dal ministro Speranza - oltre al fatto evidente che una buona parte della relazione è fatta con un copia e incolla dal report del 2018», racconta l'esperto di Aigoc, «è chiaro che nelle Ivg farmacologiche - RU486+prostaglandine e un altro 2,9% di farmacologiche di cui non si hanno informazioni - nel 2019 le complicazioni immediate sono aumentate del 2%». Il testo registra delle percentuali sugli effetti avversi che, a una lettura frettolosa, fanno pensare a un calo (94,6% nel 2019 e 96,5% nel 2018). In realtà il dato è riferito ai casi di cui «non sono state riportate complicanze immediate». Tradotto, quindi, per differenza, nel 2019 sono stati segnalati il 5,5% dei casi contro il 3,5% del 2018: + 2%. Tutto questo, con buona pace del testo che segue, a pag. 53, copiato e incollato dal report del 2018, che non registrava l'incremento dei problemi, dopo la pillola abortiva. «Ma la cosa più sorprendente - aggiunge Filardo - è che nella tabella 27, il numero totale delle complicazioni riportate, 411, sono pari a 5,61/1.000 Ivg, che è nettamente inferiore alle 979 registrate nelle 17.799 Ivg farmacologiche, pari a 55,0/1.000 Ivg farmacologiche. Le complicazioni immediate registrate in 17.799 Ivg con pillola abortiva sarebbero dieci volte superiori a quelle registrate in tutte le 73.207 Ivg fatte nel 2019». Quanto fin qui descritto, «dimostra che le basi scientifiche su cui il ministro Speranza ha posto fiducia per emanare le linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con la pillola abortiva Ru486 (mifepristone) e prostaglandine non sono scientificamente fondate», commenta il medico di Aigoc. Lascia stupefatti l'arrogante sciatteria e superficialità con cui si scrivono e avvallano documenti su cui il Parlamento si basa per legiferare su questioni delicate come l'aborto. L'intento a rendere sempre più rapida e indolore l'eliminazione di una vita è anche nel «notevole, costante ed inspiegabile aumento, delle procedure d'urgenza previste per l'Ivg dopo il limite di 12 settimane», spiega Filardo. «Adesso si fanno anche alla settima settimana per poter prendere la pillola entro le 9 previste per l'aborto farmacologico». Nel 2019 il 23,5% delle Ivg sono state fatte d'urgenza. In alcune regioni italiane la percentuale è ancora più alta della media nazionale. Oltre il 40% in Lazio, Piemonte e la Puglia che ha il 45.1% in urgenza, ma nel 44% i dati non sono rilevati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/report-aborto-trucca-dati-rischi-2655170202.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-padri-di-san-marino-si-uniscano-contro-il-voto-che-minaccia-la-vita" data-post-id="2655170202" data-published-at="1632506278" data-use-pagination="False"> I padri di San Marino si uniscano contro il voto che minaccia la vita «Il più grande problema che vedo in questo Paese non è vincere la guerra contro il terrorismo. Il vero problema riguarda gli uomini, che non hanno più la responsabilità per i bambini che hanno generato». Così esordì nel 2002, in un suo intervento pubblico, il senatore Usa Oliver North (Democratici) e gli fecero eco, nello stesso anno, scrittrici che svolsero un ruolo importante nel movimento femminista e nello sviluppo del pensiero ad esso correlato, come Doris Lessing e Susan Faludi, le quali non esitarono a denunciare la «distruttività dell'eliminazione del padre, del maschio». È in atto, peraltro, un graduale cambiamento nella coscienza collettiva provocato da padri che rivendicano la responsabilità sui propri figli. Così in Scozia, nella zona dell'East Enders, uno studio sui «ragazzi che diventano padri» condotto a seguito di numerose nascite dopo relazioni tra giovanissimi documentò l'aspettativa e conseguente responsabilità dei maschi sul bimbo in arrivo, a fronte della pretesa delle famiglie che i ragazzi-padri «sparissero» prima dell'aborto o dopo la nascita. Da qui le leggi sull'affido condiviso presenti in vari Paesi europei, tra cui l'Italia (in seguito alla riforma introdotta con il D.lgs. 154/2013). Ai padri sanmarinesi, a partire da coloro le cui donne vivono una gravidanza difficile o inattesa, al punto da metterne in dubbio l'accoglienza, mi permetto di rivolgere un appello. A partire dal grande significato affettivo e simbolico della posizione del padre verso il figlio procreato. Proprio perché coautore del processo riproduttivo - uno dei connotati più salienti della funzione maschile - il padre non può essere lasciato ai margini della genitorialità o autoescludersi dalla stessa, pena ricadute negative (e purtroppo, tendenzialmente permanenti) sulla madre e sul figlio! «Al centro della virilità - annota Claudio Risè nel suo Il padre, l'assente inaccettabile, 2003 - non c'è mai stato altro, in fondo, che questa consapevolezza profonda: il diritto proteggere il debole. All'uomo tocca l'assunzione del dovere». È vero che oggi la prassi e certa legislazione privano spesso il padre di ogni responsabilità nel processo riproduttivo. Ma ciò alimenta una condizione ingiusta sotto il profilo affettivo, assai dannosa sul versante simbolico e decisamente infondata dal punto di vista biologico e antropologico. Proprio per questo è necessario lavorare e collaborare insieme per la formazione di una cultura che equipari davvero donna e uomo nella procreazione. E ciò per il bene della vita, della famiglia, della società. Certamente la volontà e l'interesse della donna vanno garantiti, nel quadro della cura sociale per l'accoglienza della vita e per la promozione della famiglia. Ma non si può ignorare o peggio cancellare il ruolo pregnante che il padre può (e deve, senza sottrarsi, come sin troppo sovente accade, alla proprie responsabilità) avere nella gravidanza della sua donna e nell'attesa del loro figlio. Specie quando la donna vive una gestazione imprevista e quindi non ha avuto il tempo di maturare l'idea del figlio in un previo desiderio di maternità, diviene acuto il suo bisogno di qualcuno che le resti accanto nell'affrontare un'esperienza che a lei sembra intollerabile e che la faccia sentire accolta. Il ruolo dell'uomo diventa pertanto preziosissimo nell'accoglienza della vita nascente, facendosi «custode» della stessa e della relazione con la sua donna e con suo figlio. È un altro modo per donare vita. La proposta referendaria di domenica prossima, se approvata, infliggerebbe un colpo esiziale anche al fondamentale ruolo del padre nell'esperienza procreatica e genitoriale. Facciamo tutto il possibile perché ciò non accada. Per il bene comune. Ciascuno è figlio, ciascuno è stato embrione. Il volontariato per la vita è a disposizione di chiunque sia in difficoltà per una gravidanza inattesa o indesiderata. Pino MorandiniVicepresidente vicario di Mpv
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