2019-03-07
Renziani all’assalto del carro di Zingaretti
Delrio, vecchio braccio destro del Bullo, si spertica per il neo segretario. «Democratica», fino a ieri megafono del Giglio magico, celebra Zanda tesoriere: peccato che prima lo accusasse di «inciuci». In ascesa la De Micheli, già passata da Bersani a Gentiloni.Non è mica facile fare il dirigente del Pd. Tocca che ti svegli un giorno e d'improvviso devi inventarti zingarettiano, così di botto, anche se fino a ieri manco guardavi il Commissario Montalbano per evitare il sospetto di collusione familiare. E adesso invece, niente, tutti fan del nuovo segretario, tutti suoi estimatori dalla prima ora, tutti pronti a rivedersi in una notte la collezione completa della fiction Rai pur di esibire qualcosa in comune: «Prima stavo con Matteo Renzi, poi con Maurizio Martina. Ma seguo tuo fratello in tv da sempre: posso definirmi zingarettiano?». Poveretti, se ne devono inventare di ogni per restare a galla. Non è mica facile. E lo sappiamo che, da che mondo è mondo, per far politica bisogna saper saltare di qui e di là, aggrappandosi a quello che capita. Ma i big del Pd in questi giorni stanno battendo ogni record. Pure Tarzan morirà d'invidia.Prendete quel buonuomo di Graziano Delrio, padre di nove figli, una carriera onorevole come sindaco e ministro, già con Pierluigi Castagnetti nel Ppi, poi nella Margherita, poi renziano di ferro (l'ex premier l'aveva memorizzato sul suo telefonino come «Mosè», per dire), poi gran sostenitore di Martina: ora è diventato zingarettiano. Così, di colpo: stamattina mi sono svegliato e ho trovato l'ispirator. O bella ciao. L'intervista concessa a Repubblica da Graziano-Mosè non lascia dubbi: «Sto col segretario», è il titolo. E lo svolgimento è tutto un incensare il nuovo capo che «terrà insieme il Pd» (Delrio «ne è certo», ci mancherebbe), che «ha fatto bene a ripartire dalla Tav» (Delrio «gli ha fatto i complimenti», slurp), che ha la linea politica giusta (Delrio «condivide la posizione di Zingaretti», caso mai aveste qualche dubbio). E, per carità, il nuovo capo può anche, tranquillamente, tenere le due poltrone in Regione Lazio e al Nazareno: Delrio dice che «non vanno posti problemi su questo», anzi quasi quasi gliene proporrebbe volentieri anche una terza di poltrona. Ma sì, melius abundare: perché già che ci siamo non candidarlo direttamente alla presidenza della Repubblica? O alla segreteria dell'Onu? O al soglio pontificio?Il povero Graziano, capogruppo Pd alla Camera in attesa di riconferma («Sono pronto a collaborare con lealtà»), non esita a mettere in gioco anche i figli, pur di dimostrare il suo entusiasmo per il nuovo corso, più o meno come aveva sostenuto con entusiasmo il nuovo corso di Castagnetti, il nuovo corso di Renzi e il nuovo corso di Martina. «Tutti i miei figli sono andati al gazebo, tranne uno che non ha fatto in tempo», giura, lasciando per altro intravedere severe punizioni per il ribelle e/o ritardatario. Ovviamente non svela per chi abbia votato la prole. Ma ci tiene a far sapere che comunque la sua famiglia ha dato un contributo notevole al successo delle primarie e dunque all'entusiasmo che circonda il nuovo segretario Pd. Anche perché Zingaretti, anzi «Nicola», come precisa Graziano (ormai sono fratelli, tra un po' sarà il suo Mosè) «vuole l'unità» e «ha posto il tema della necessità del cambiamento». Una necessità impellente, quest'ultima. A tal punto che l'ex ministro, già braccio destro degli ultimi due capi del Pd, ritiene doveroso farne parte: vorrà mica Zingaretti che il cambiamento, di cui si sente così necessità, riguardi anche i dirigenti?Sembrerebbe proprio di no. Infatti la vice del nuovo segretario dovrebbe essere Paola De Micheli, una piacentina che a dispetto della giovane età vanta già un cursus lianorum (Tarzan docet) di tutto rispetto: giovane democristiana, è passata per il Ppi e la Margherita, per approdare poi al Pd dove si è scoperta bersaniana di ferro, con tendenza Stefano Fassina, salvo poi diventare ai tempi di Enrico Letta profondamente lettiana, così lettiana che pianse come una fontana quando il suo leader venne defenestrato da Renzi. Le lacrime però non le impedirono di vedere la poltrona che il medesimo Renzi le indicò per nominarla sottosegretario all'Economia del suo governo. Quando Renzi cadde la De Micheli (ex bersaniana, ex lettiana, ex sottosegretaria renziana) si scoprì senza più lacrime ma gentiloniana quel tanto che bastava per farsi nominare commissario straordinario per la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto: i terremotati non ne hanno tratto un gran beneficio, lei invece sì, perché mentre stazionava su quella poltrona ha conosciuto Zingaretti. E così ha potuto subito preparare il salto per la poltrona successiva, organizzandogli la campagna elettorale per le primarie.Ma non vi pare una fatica mostruosa? Poi dicono che a far politica non si lavora. Macché: in realtà è uno sforzo sovrumano dover star dietro a tutti questi passaggi, arrivando sempre con la conversione giusta al momento giusto: bersaniani quando comanda Pier Luigi Bersani, lettiani quando comanda Letta, renziani quando comanda Renzi e ora, ovviamente zingarettiani. Cambiare idea è un conto, lo sanno fare tutti. Ma cambiare idea quando cambia il segretario, tac, tac, con il tempismo del metronomo, ecco, quello è un impegno serio. Prendete Democratica, organo ufficiale del Pd, diretto da Andrea Romano e vicediretto da Mario Lavia: ieri ha elogiato la decisione di Zingaretti di nominare tesoriere del partito Luigi Zanda. «Bene la prima scelta», ha esultato, sperticandosi in elogi per «il dirigente di lunghissima esperienza, tra i fondatori del Pd». Eppure dev'essere lo stesso Zanda che la medesima Democratica, sempre diretta da Romano e vicediretta da Lavia, trattava in pratica da vecchio arnese della politica, accusandolo di avere in mente «un modello fatto di caminetti e di inciuci». Lo vedete alle volte come basta poco? Il tocco magico di Zingaretti e, oplà, i «caminetti» spariscono, gli «inciuci» pure i dubbi si dissolvono. E, davanti al bivio, si trova subito Lavia più accomodante.Se questo è l'inizio, immaginiamo il seguito: l'impressione è che manchino solo i pop corn, come direbbe Renzi. Perdonatemi la citazione e preparatevi allo spettacolo: dopo la corsa alla segretaria, è cominciata, evidentemente, la corsa al segretario. Quanto ci metterà a scoprirsi zingarettiana dalla prima ora Alessandra Ladylike Moretti, già portavoce bersaniana poi diventata renziana di ferro? Arriverà prima lei o Alessia Rotta? Si convertiranno anche le pasdaran del renzismo come Simona Malpezzi e Anna Ascani? Magari con Emanuele Fiano? E pure il direttore di Democratica, Andrea Romano, già dalemiano, poi montezemoliano, poi montiano e infine naturalmente renziano, dopo gli applausi a Zanda, si dichiarerà esplicitamente zingarettiamo, in nome dell'unità, della fratellanza, dell'amicizia, delle feste con la salamella o di qualche altro buon motivo? Del resto un buon motivo per strizzare l'occhio al nuovo segretario c'è sempre, come insegna Delrio. E guai a chi pensa alla cadrega.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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