2021-03-12
«Dire il falso per uscire non è reato». Giudice fa a pezzi i dpcm di Giuseppi
Giuseppe Conte (Getty Images)
Magistrato di Reggio Emilia annulla le multe inflitte a una coppia. Definendo la norma «costituzionalmente illegittima»: solo per alcuni reati si può essere chiusi in casa. E ora il precedente può far scatenare i ricorsi.Produrre un'autocertificazione falsa per uscire durante il lockdown non è un reato. L'ha stabilito un giudice di Reggio Emilia che ha anche annullato la multa inflitta a una coppia. La sentenza è clamorosa soprattutto perché il magistrato, Dario De Luca, afferma che un dpcm non può limitare la libertà personale perché è un atto amministrativo. Quindi un decreto del premier è illegittimo se vieta diritti costituzionali. Una bella bomba questa decisione del coordinatore della sezione gip-gup del tribunale di Reggio Emilia, emessa lo scorso 27 gennaio e depositata ieri in cancelleria. La notizia esce a ridosso di nuove chiusure sempre in base a un dpcm, questa volta voluto dal governo Draghi.La vicenda presa in esame dal giudice risale al marzo dell'anno scorso, quando i carabinieri di Correggio scoprirono che era falsa l'autocertificazione esibita da una coppia trovata al di fuori dell'abitazione, malgrado il divieto di circolazione imposto con il primo dpcm dell'ex premier Giuseppe Conte, l'8 marzo 2020. La donna aveva dichiarato di «essere andata a sottoporsi a esami clinici», il marito di averla accompagnata, ma i militari accertarono che la signora non si era recata in ospedale. I due furono denunciati e finirono sotto processo per il reato di falso ideologico in atto pubblico, che prevede una pena fino a due anni di reclusione. Il giudice emiliano, invece, li ha assolti «perché il fatto non costituisce reato». È un «falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente». L'autocertificazione era stata imposta con una norma giuridica del dpcm, che il magistrato definisce «costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata». Nessun cittadino può essere costretto a sottoscriverla. Nelle motivazioni, spiega che le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base a un atto dell'autorità giudiziaria, non disposte da un atto amministrativo, quale è il decreto emanato dal premier. De Luca rileva l'«indiscutibile illegittimità» del dpcm dell'8 marzo 2020, «come pure di tutti quelli successivamente emanati dal capo del governo», perché per contrastare e contenere il diffondersi del coronavirus le misure imponevano di evitare ogni spostamento. Ma, osserva il magistrato, stabilire un «divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare». E nel nostro ordinamento, una simile restrizione della libertà personale viene stabilita da un giudice penale per alcuni reati, infatti l'articolo 13 della Costituzione sancisce che tali misure «possono essere adottate solo su “atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge"». Il giudice di Reggio Emilia ricorda che «anche l'accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale, con conseguente dichiarazione d'illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del giudice ordinario sulla misura, controllo poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Consulta». A maggior motivo la libertà personale non può essere limitata al singolo e «a una pluralità indeterminata di cittadini», da un dpcm che il giudice classifica «fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge». Già queste motivazioni dovrebbero far sussultare chi siede al governo e ancora adotta questo strumento per chiuderci in casa. Ma il giudice va oltre. Spiega che ha «disapplicato» l'atto amministrativo per illegittimità costituzionalmente rilevante, quindi senza bisogno di ricorrere alla Consulta, e toglie ogni fondatezza alle possibili obiezioni sulla necessità di limitare la circolazione per l'emergenza. «Quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione, è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale», dichiara nella sentenza. A Reggio Emilia, dunque, un giudice ha appallottolato la richiesta di condanna avanzata dal pm e ha fatto carta straccia anche delle giustificazioni che rendono obbligatorie le misure introdotte dai dpcm «Emergenza Covid». Plaudono alla sentenza avvocati e giuristi (più di un centinaio), che il 30 aprile 2020 scrissero a Conte una lettera aperta carica di preoccupazioni per le restrizioni delle libertà fondamentali introdotte con il decreto. Non furono presi in considerazione. «L'abbiamo detto fin dal principio», commenta un avvocato a nome di tutti, «osteggiati persino da illustri costituzionalisti che pretendevano di inquadrare lo “stai a casa" come semplice limitazione al diritto di circolazione e non, di fatto, come arresti domiciliari comminati in violazione della Costituzione. Senza reato e senza proporzionalità». E ora c'è da attendersi una pioggia di ricorsi. Fuori dall'Italia, altri giudici si muovono . Il Justice center for constitutional freedoms (Jccf), organizzazione canadese di difesa legale che rappresenta un centinaio di persone multate per presunte violazioni, ha fatto sapere che molte sanzioni sono state ritirate dai procuratori della Provincia dell'Alberta.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)