2025-07-18
Razza: «Preoccupano le tasse sulle aziende. Chi è in crisi rischia di pagare di più»
Ruggero Razza (Imagoenomica)
L’europarlamentare: «Il piano di Ursula ci ha deluso, soprattutto sull’agricoltura».In occasione della presentazione del quadro finanziario pluriennale della Commissione Ursula von der Leyen abbiamo assistito a una sollevazione dell’Eurocamera. Ruggero Razza, lei è membro della Commissione bilancio del Parlamento Ue per il gruppo Ecr. Qual è la vostra posizione?«Questo Qfp delude le nostre aspettative soprattutto sulle questioni forti, la prima di tutte è l’agricoltura. Noi ci aspettavamo un cambio di passo in senso positivo perché, anche grazie al lavoro del nostro ministro competente Francesco Lollobrigida e dell’Italia, la Commissione europea aveva dato la sensazione di non considerare più gli agricoltori dei pericolosi inquinatori. La contrazione della politica della Pac va anche contro tutto quello che fino ad oggi si è fatto e detto. Meno 20% al netto dell’inflazione è un taglio che il Parlamento farà di tutto per risistemare. Altro tema su cui ci batteremo è quello del mantenimento del fondo di coesione con una governance chiara che coinvolga le Regioni. Battaglia già avviata del nostro commissario Raffaele Fitto che con grande merito è riuscito a sparigliare il pronostico che voleva una riduzione, invece si prevede una dotazione complessiva di 450 miliardi».Il Qfp prevede anche l’imposizione di nuove risorse proprie. È giusto?«Non solo siamo contrari alla tassa sul tabacco, ci preoccupa molto anche l’imposizione fiscale sulle aziende. Quando si individua come livello il fatturato di 100 milioni l’anno si individuano delle aziende che fatturano meno di 10 milioni di euro al mese che in astratto può sembrare un livello molto alto, ma non è così, molte le aziende fatturano quelle cifre ma le spendono anche. Noi stiamo chiedendo alle imprese che già subiscono una forte tassazione interna di pagare una nuova tassa considerando anche che pagano l’energia di più rispetto ai competitor globali per via delle politiche sul green deal. Stiamo in sostanza dicendo a chi già è in forte crisi di metter mano al portafoglio. Se poi questo dovesse produrre delocalizzazione riduzione degli investimenti o perdita di posti di lavoro, evidentemente sarebbe l’esatto contrario del rilancio della competitività che invece dovrebbe essere uno degli obiettivi». Non pensa che il fatto che siano state scelte quelle che vengono considerate «grandi aziende» invii un messaggio sbagliato, ovvero: «in Europa conviene rimanere una Pmi»?«Ma è proprio il principio che è sbagliato, noi avevamo, anche come Italia, fatto riferimento ad alcune proposte innovative. Per esempio quella degli eurobond. La sensazione è che la Commissione, anzi soprattuto il suo presidente von der Leyen che ha molto accentrato questa proposta su di sé abbia ragionato: partiamo dall’aumento delle tasse, dal gravare sui cittadini e sulle imprese. Per noi questa non è la strada giusta». Un altro capitolo di discussione deriva dalla possibilità di bloccare l’erogazione dei fondi europei verso i Paesi nel caso in cui si ritenga che questo non sia osservato. Non è una deriva pericolosa?«Noi chiediamo quantomeno equità. Pochi giorni fa si è discusso se bloccare i fondi di coesione alla Romania, perché la Romania si trova in uno grave stato di deficit di bilancio, ma siccome i romeni hanno votato “bene” nel senso che hanno votato come vogliono a Bruxelles e quindi lì si rallenta. In altre situazioni si cerca di accelerare».Come con l’Ungheria?«Esatto come con l’Ungheria, come con altri Paesi nel passato. Lo stato di diritto non può essere usato come clava sugli stati governati da esecutivi che non piacciono, perché altrimenti non si parla più di stato di diritto, ma diventa abuso di diritto». Come ci si può opporre?«Il Qfp si compone di tanti regolamenti ed è anche un quadro giuridico. Ogni atto connesso a Qfp deve ricevere due diverse approvazioni, quella del Consiglio, che soprattutto in caso delle innovazioni, come le nuove tasse deve votare all’unanimità, e quella del Parlamento, a maggioranza assoluta. È partito un negoziato, ma è partito nel peggior modo possibile».
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