2023-01-03
Una gioia eterna e «personalizzata». Ecco il paradiso secondo Ratzinger
Benedetto XVI aveva sintetizzato la teologia della salvezza in un libro che considerava la sua opera migliore In cui spiega che il cielo non è «altro» dal mondo ma il compimento in Gesù del desiderio di felicità dell’uomo.«Oggi tutti ci crediamo talmente buoni da non potere meritare altro che il paradiso». Così diceva Joseph Ratzinger, allora prefetto per la Congregazione della dottrina della fede, a Vittorio Messori, nel celebre libro-intervista «Rapporto sulla fede» pubblicato dalle Edizioni San Paolo nel 1985. «Qui», proseguiva il futuro Benedetto XVI, «c’è certamente la responsabilità di una cultura che, a forza di attenuanti e alibi, tende a sottrarre agli uomini il senso della loro colpa, del loro peccato». Con il pontefice emerito appena scomparso si ribalta quasi la speculazione teologica sull’inferno vuoto: nel suo caso, se il paradiso esiste è difficile immaginare che non lo stia ospitando. È un pensiero cui lo stesso Messori in queste ore ha dato forza. Ma, dando per scontate le verità di fede riassunte nel Catechismo (che ha contribuito a consolidare), cosa ha detto e pensato Ratzinger del paradiso? Come ha immaginato il «luogo» in cui la fede lo crede ora?Le tre encicliche da lui firmate non hanno parti rilevanti dedicate al regno dell’aldilà: fa eccezione un passaggio della «Spe salvi» che introduce una categoria decisiva per la concezione ratzingeriana del paradiso: il desiderio di felicità. L’allora Papa regnante spiegava: «Da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall’altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente, e anche la terra non è stata creata con questa prospettiva. Allora, che cosa vogliamo veramente? Questo paradosso del nostro stesso atteggiamento suscita una domanda più profonda: che cosa è, in realtà, la “vita”? E che cosa significa veramente “eternità”? Ci sono dei momenti in cui percepiamo all’improvviso: sì, sarebbe propriamente questo - la “vita” vera - così essa dovrebbe essere. A confronto, ciò che nella quotidianità chiamiamo “vita”, in verità non lo è […] Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. […] La parola “vita eterna” cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. […] Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo - il prima e il dopo - non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia».Ma è in un testo meno noto, malgrado l’autore lo considerasse la sua opera «meglio riuscita», che Ratzinger ha squadernato una vera teologia della salvezza, descrivendo in maniera suggestiva e più profonda cosa sia il paradiso. Nel libro Escatologia, ripubblicato da Cittadella editore nel 2017 per la curatela di monsignor Sergio Ubbiali, Ratzinger compie un viaggio affascinante tra i fondamenti della fede cristiana e chiude proprio con un focus su inferno, purgatorio e paradiso. Con «cielo», scrive il futuro Papa, «la tradizione cristiana definisce il compimento dell’esistenza umana tramite la pienezza di quell’Amore verso il quale si muove la fede. Per il cristiano un simile perfezionamento non è semplicemente “musica del futuro”, ma rappresenta ciò che avviene nell’incontro con Cristo e che è già fondamentalmente presente. Domandare cosa significhi “cielo” non vuol dire quindi perdersi in fantasticherie, ma voler conoscere meglio quella presenza nascosta che ci consente di vivere la nostra vita in modo autentico». Il paradiso quindi «non è un luogo senza storia, “dove” si giunge», ma «primariamente una realtà personale». Questa «personalizzazione» del paradiso è però l’opposto di un solipsismo in odor di nirvana: «Il cielo», prosegue Ratzinger, «non conosce alcun isolamento: esso è l’aperta comunità dei Santi e quindi anche la pienezza di ogni umana convivenza quale conseguenza della totale apertura per il volto di Dio […] Il fondersi dell’“Io” con il corpo di Cristo non significa un dissolvimento dell’“Io” bensì la sua purificazione, che realizza insieme le sue più alte possibilità. Per questo motivo il cielo è per ciascuno individuale». E non è «da intendersi nel senso di uno spazio, ma essenzialmente nel senso di “elevatezza”». È giusto, spiega, l’aspetto della concezione popolare che fa riferimento al potere dell’Amore sopra il mondo; meno giusto è quello che inscena una separazione del paradiso dal mondo: il cielo è infatti «una realtà escatologica, l’aprirsi di quanto è definitivo e radicalmente diverso», destinata a essere completa solo con la resurrezione della carne di tutti gli uomini salvati. «Allora l’intero creato sarà un “cantico”, un gesto con cui l’essere si libera nel tutto e insieme un entrare del tutto nel proprio essere, un gaudio in cui tutte le domande avranno risposta ed esaudimento».A lui ora è dato sapere se avesse ragione. Ai non credenti ha lasciato e lascerà sempre il dubbio che Dio esista, e faccia sul serio.