2023-10-02
Federico Rampini: «A forza di auto flagellarci lasciamo l’Africa ai cinesi»
Federico Rampini (Getty Images)
Il giornalista: «La Ue è troppo impegnata a incolparsi di razzismo, mentre Joe Biden vuole imporre al continente politiche Lgbt. Invece Pechino piace perché non fa prediche».Federico Rampini in libreria con La speranza africana edito da Mondadori. Ti chiedo: c’è una sola Africa con un enorme problema di povertà e l’immigrazione di massa a Lampedusa lo dimostra. Giusto?«Nel mio libro in realtà distruggo questa provocatoria caricatura. Ci sono 54 Afriche. È un continente più vasto di Cina India e Stati Uniti messi assieme. Nei miei viaggi, una delle fonti di questo libro, ho sempre notato che la cosiddetta emergenza profughi ha pochissima visibilità sui media africani: lì si parla d’altro. È ora che ascoltiamo di cosa parlano loro, per capire dove sta andando questo continente. Un’operazione che faccio è anche questa: do la parola a loro. Viene fuori un quadro più interessante rispetto all’Apocalisse ossessiva che è l’Africa degli italiani. Hanno un mare di problemi, ma sono meno catastrofisti di noi».Quanto è diversa l’Africa che racconti tu da quella stereotipata dei nostri media?«I media occidentali raccontano l’Africa solo quando è sinonimo di tragedie, sofferenze, calamità. Le buone notizie, o anche solo le notizie “normali”, sono cancellate. Vale perfino con il cinema: nei nostri festival premiamo film africani solo se denunciano qualche orrore. Oltre il 99% della loro vasta produzione cinematografica è invece allegra. Racconta storie di ceto medio urbano. L’Africa in Occidente è diventata una metafora di qualcos’altro, è il terreno su cui esercitiamo il nostro sport sado-maso preferito: l’autoflagellazione. Compassione e commiserazione verso gli africani sono funzionali ad eccitare i nostri complessi di colpa. È la versione aggiornata dell’euro-centrismo o occidento-centrismo. Vogliamo ancora vederci al centro dell’universo. Per sentirci importanti abbiamo bisogno di credere che tutte le sofferenze dell’umanità dipendono da noi».Parli spesso di Africa come «continente senza speranza». Espressione che cozza col titolo del tuo libro.«In realtà no. Anche perché Hopeless Continent - cioè continente senza speranza - è un titolo altrui che io cito spesso ma per contestarlo. Fu una celebre copertina dell’Economist. Quel titolo è un concentrato dei nostri pregiudizi. Pier Paolo Pasolini diceva la stessa cosa dell’India negli anni Sessanta: un Paese senza speranza, appunto. Di lì a poco l’India intraprese una rivoluzione agricola che ne fece una superpotenza nella produzione di alimenti. Poi si diede un settore tecnologico avanzatissimo con aziende diventate leader nel software. Oggi è sbarcata sulla luna. Nessuno dei cosiddetti miracoli asiatici era stato previsto in partenza. Perché non dovremmo sbagliarci altrettanto sull’Africa?».Le potenzialità di crescita economica dell’Africa sono concrete o solo teoriche?«Il passaggio dalle possibilità teoriche alle realizzazioni concrete a volte c’è stato. Nel vasto inventario delle 54 nazioni africane i successi ci sono eccome. In altri casi ci sono state delusioni molteplici, ma la causa va cercata nei fallimenti delle classi dirigenti locali, non nell’eterno alibi del colonialismo. Molti Paesi asiatici che sono stati protagonisti di miracoli economici, dall’India al Vietnam e Singapore, furono colonie più a lungo degli africani. I modelli asiatici, non a caso, oggi attirano un vivace dibattito in Africa». Si citano spesso le brillanti performance economiche di molti Paesi africani, quali la Nigeria. Ma come si concilia tutto questo con l’emigrazione verso nord in Europa?«Dall’Africa si emigra anche verso gli Stati Uniti e qui mi colpisce una cosa: la diaspora africana è molto qualificata. Ha livelli di istruzione e titoli professionali più elevati di tutte le altre minoranze etniche. Contraddice la visione catastrofista e pauperista dell’Africa. Alcuni di quei Paesi hanno buone scuole e buone università. Emigrano perché i loro Paesi non offrono opportunità adeguate: su questo versante bisogna intervenire». La narrazione di un’Africa taglieggiata e dominata dai bianchi occidentali è ancora oggi la fotografia esatta della situazione?«Un neonato che vede la luce oggi in Africa ha dei nonni e perfino bisnonni che nacquero dopo l’indipendenza. Continuare a tirare in ballo il colonialismo dopo tre generazioni è un alibi per le classi dirigenti locali più incompetenti e corrotte. I bianchi occidentali che ripetono la stessa narrazione sono colpevoli della nuova forma di razzismo: continuare a descrivere gli africani come prede. Vittime delle malefatte altrui. Significa infantilizzarli. Ridurli a dei bambini che non sanno quel che fanno. I dirigenti africani sono protagonisti delle loro scelte, anche quando mettono in vendita le loro risorse a questa o quella potenza straniera».«Un importante esponente africano mi raccontava che la Cina da loro è popolare perché se gli chiedono un aeroporto i cinesi glielo fanno. Se lo chiedono a noi gli facciamo la predica». Lo diceva Larry Summers già segretario al Tesoro di Obama.«La battuta è corretta. Ho una mia versione raccolta direttamente sul campo. Quando attraverso l’Etiopia vedo bambine che camminano su strade sterrate per ore, tra fatica e pericoli, per raggiungere scuole distanti o per trasportare l’acqua potabile. Quando finalmente appare una ditta che asfalta la strada e riduce i tempi del tragitto, quella ditta è cinese». Da un colonialismo all’altro!«In realtà nel mio libro faccio anche pulizia degli stereotipi sulla colonizzazione cinese dell’Africa. Sotto quel termine generico si nascondono anche cambiamenti positivi. E la Cina non è sola. In Africa investono India, Giappone, Arabia saudita e Turchia. Se fosse davvero un buco nero di tragedie, tutti quegli investitori sarebbero degli idioti». Gira e rigira gli Stati Uniti però in Africa non hanno mai avuto un ruolo di primo piano come in altre parti del mondo. Percezione corretta o sbagliata?«Ci sono state delle Afriche filoamericane ed altre profondamente ostili all’Occidente. Dopo l’11 settembre 2001 Washington ha però guardato l’Africa sotto il profilo troppo esclusivo della sicurezza. Ha investito più in operazioni militari anti jihad ma meno sul terreno economico, lasciando spazio alla Cina. Oggi tenta di correggere gli errori. Però la sinistra radicale che condiziona l’Amministrazione Biden non aiuta. La lobby Lgbtq esige dagli Stati africani gli stessi livelli di tutele per le minoranze sessuali che esistono in California. Molti africani descrivono questo fenomeno come il nuovo imperialismo culturale americano».Quanto è popolare oggi la Francia in Africa?«È il Paese occidentale più odiato. Gli ultimi colpi di Stato militari hanno preso di mira i francesi, spesso chiedendo l’allontanamento dei loro soldati, talvolta invitando i russi al loro posto».Dopo l’invasione di Putin in Ucraina, i Paesi africani da che parte stanno?«Una maggioranza si definiscono non allineati e rifiutano di applicare le nostre sanzioni contro la Russia».La Cina è stato il motore dell’economia mondiale negli ultimi trent’anni. Per quanto promettente, l’Africa non potrà mai esserlo però… giusto?«Credo sia ancora ragionevole descrivere il XXI secolo come un secolo asiatico, però le caratteristiche della nuova globalizzazione daranno all’Africa un ruolo importante. 18 anni fa io raccontai agli italiani una nuova Cina che pochi allora conoscevano, poi aggiunsi l’India, nei miei best seller: Il secolo cinese e L’impero di Cindia. Oggi vorrei ripetere quell’operazione, aggiornando una visione dell’Africa che è prigioniera degli stereotipi».Le influenze di Cina e Russia in Africa in cosa si differenziano?«La Cina dà un contributo sostanziale e in buona parte positivo all’industrializzazione dell’Africa. La Russia è inesistente sul piano economico però offre sicurezza a pagamento. E in Africa c’è un gran bisogno di sicurezza».Se sentono parlare di Piano Mattei come fa Giorgia Meloni in Africa cosa pensano?«Per adesso poco o niente. Il nome di Mattei è ignoto alle nuove generazioni delle classi dirigenti africane. Giudicheranno sui contenuti quando lo vedranno. Se il Piano Mattei serve a riportare in Africa più imprese e investimenti dall’Italia, sarà benvenuto».Ed in Occidente?«L’Italia deve assumersi un ruolo di stimolo e di ispirazione per altre nazioni occidentali, riportando l’attenzione a Sud. Però per essere credibile deve investire anche nelle forze armate. Nel Mediterraneo e in Africa si è rispettati anche per i muscoli militari».Il Sud Globale come lo chiami tu domani starà con Pechino e non con Washington… giusto?«Il Grande Sud globale simpatizza più con Pechino che con noi, questa è la realtà di oggi che fotografo nel mio libro. Ma è una realtà in continua evoluzione e sta a noi cambiarla. Quello che non serve è crogiolarci nella cultura della commiserazione degli africani, e nei riti liturgici di espiazione dei nostri peccati coloniali». Ci crediamo ancora al centro del mondo noi occidentali.«Oggi buona parte dell’Occidente è impegnato a denunciare sé stesso come l’impero del male, anche a costo di falsificazioni storiche (nel libro racconto lo schiavismo praticato dagli africani stessi, un tabù che è proibito insegnare nelle scuole degli Stati Uniti). E questo ci condanna all’impotenza, all’irrilevanza».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.