2022-10-18
Ramin Bahrami: «Il mio Iran non ha bisogno di qualche ciocca di capelli. L’Europa difenda i suoi avi»
Il pianista fuggito da Teheran dopo la rivoluzione islamica: «Il regime che incarcerò e uccise papà può cadere. L’Occidente non svenda per affari chi lotta per la libertà».I pasdaran iraniani circondano una donna. L’hanno vista chiacchierare con un uomo, lungo la strada, e vogliono arrestarla per aver violato le prescrizioni coraniche. Il bimbo che è con lei però inizia a piangere e a urlare come un indemoniato. Ha solo sette anni e mette il suo corpo davanti alla jeep della Guardia rivoluzionaria e non la lascia passare, fino a quando i miliziani non decidono miracolosamente di abbandonare la preda. La sua immagine potrebbe ricordare l’uomo che sbarra la strada ai carri armati in Piazza Tienanmen, se non fosse che il massacro degli studenti cinesi a Pechino non è ancora avvenuto. Siamo nella Teheran dei primi anni Ottanta e la rivoluzione islamica del 1979 ha appena spazzato via le atmosfere da Mille e una notte tipiche del periodo dello Scià.Circa 40 anni dopo, i Vip di casa nostra si accorgono che in Iran per un velo indossato male si muore e in segno di solidarietà postano coraggiosamente sui social network il taglio di una ciocca di capelli, dal divano di casa. Mentre quel bambino iraniano è diventato un pianista acclamato in tutto il mondo, dopo essere fuggito in Europa senza più fare ritorno in patria. Il suo nome è Ramin Bahrami ed è apprezzato soprattutto per la sua originale interpretazione dell’opera di Johann Sebastian Bach. La folgorazione per il compositore tedesco avviene a sei anni, grazie a un Lp che contiene l’incisione della Toccata della Sesta Partita in mi minore, nell’interpretazione del geniale pianista canadese Glenn Gould. Un ascolto clandestino - visto che, per volere dell’ayatollah Khomeini, l’unica musica consentita era il canto del muezzin -, ma che gli cambierà la vita. Maestro, c’è voluto un incendio nel carcere di Evin (otto morti e oltre 60 feriti) - dove è rinchiusa anche l’italiana Alessia Piperno - per riaccendere l’interesse sull’Iran. L’ondata di commozione per l’uccisione della ventiduenne Mahsa Amini, colpevole di aver lasciato intravedere i capelli da sotto il velo, sembra già esaurita. Sui social e sui media occidentali la protesta iraniana è passata in secondo piano, anche se la repressione, secondo i dati dell’Ong Rights group, ha lasciato sulle strade almeno 233 vittime. «Seguo con un dolore immane le notizie del mio Paese, anche perché in una prigione come quella è stato incarcerato, come un topo, mio padre. E probabilmente lì è stato ucciso, anche se le autorità non ci hanno mai detto dove siano i suoi resti. Non pensate che quelle galere somiglino a quelle italiane: sono luoghi di grande perversione e cattiveria, molto simili all’Inferno. Mi auguro che l’Occidente rinunci ai propri interessi e aiuti il mio popolo in lotta, alla ricerca della libertà. Sto ancora aspettando una parola da parte dei signori Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Mario Draghi. Il loro silenzio è vergognoso». A quali interessi si riferisce?«L’Iran è un gigante energetico e non è certo la prima volta che l’Occidente si gira dall’altra parte davanti a una rivolta popolare. Evidentemente i rapporti e gli affari con un regime costruito sul terrore sono più importanti di tutto il resto. Davanti al vil danaro il sangue di un iraniano sembra meno rosso di quello di un tedesco, di un francese o di un ucraino. L’Europa sta permettendo da troppo tempo che vengano calpestati i diritti dei suoi avi…». Ci spieghi meglio. «Il mio popolo proviene da una civiltà millenaria, ispirata da una religione luminosa e pacifica come lo zoroastrismo. Pensi che l’impero persiano, a differenza dei greci e dei romani, non concepiva la schiavitù. E visse in armonia fino all’invasione musulmana, che impose un nuovo credo con la violenza. Noi siamo indoeuropei, siamo i progenitori degli europei di oggi. Ma la classe politica che c’è a Bruxelles non sembra molto interessata a tutto questo. E nemmeno all’altezza, come dimostra la situazione in Ucraina». È critico anche sulla gestione della guerra in corso nel cuore dell’Europa?«Certamente, ma non sono io, un povero essere umano, a dirlo. Mi rifaccio alle parole di papa Francesco, che è molto più illustre di me, e ai suoi appelli inascoltati per la pace. L’industria delle armi si rivela ancora una volta la più pesante di tutte...». Tornando alla situazione del suo Paese. Questa rivolta può portare a qualcosa di buono o rischia soltanto di essere schiacciata nel sangue?«Gli uomini e le donne che stanno scendendo in piazza sono eroi ed eroine e questa volta può esserci davvero una svolta. Non dobbiamo lasciare sole queste persone. Chiedo all’Occidente e a voi italiani, che mi avete accolto come un figlio, di non lasciar passare nemmeno un giorno nel silenzio. Tagliarsi i capelli in segno di solidarietà è troppo poco: bisogna smuovere la politica».Davanti al male del mondo lei, fin da piccolo, ha trovato un rifugio inespugnabile. E, come racconta in un suo libro di qualche anno fa, Come Bach mi ha salvato la vita (Mondadori), è proprio l’universo sonoro del compositore barocco. «Senza Johann Sebastian Bach sarei certamente finito in manicomio, quando la mia infanzia è andata in frantumi. Quello che è successo alla mia famiglia mi ha causato ansie terribili, che mi hanno accompagnato per anni. Ricordo l’angoscia che suscitava in me all’asilo l’invocazione araba “Allah Akbar” e la minaccia costante dei bombardamenti quando scoppiò la guerra con l’Iraq. Infine l’arresto di mio padre Parviz. La sua colpa? Aver progettato delle scuole moderne per il suo Paese. Davanti a quelle tenebre, Bach è stato la luce. La sua musica è dominata da una leggerezza profonda ed è un modello di civiltà e di dialogo: ogni voce ha la possibilità di esprimersi senza entrare in conflitto con le altre, in un contrappunto perfetto». Lei racconta che nel momento più tragico della sua vita, quando nel 1990 ricevette la telefonata che le annunciava la morte di suo padre, trovò consolazione in un altro autore e d’impeto si mise a suonare l’Improvviso n. 4 in La bemolle maggiore di Franz Schubert. Si è mai chiesto perché?«In quel momento Schubert cantava in maniera terrena, ma meravigliosa, il mio dolore. Il compositore austriaco era un uomo come me, fragile. Bach invece va al di là delle pene terrene. Conosce il dolore e la gioia, ma riesce a guardarli con gli occhi di Cristo. Sono attimi misteriosi: avrei voluto piangere subito, ma le lacrime sono sgorgate dopo una settimana. Negli anni successivi è arrivata anche la mia conversione».Le andrebbe di raccontarla?«Certo, sono nato in una famiglia cosmopolita che riusciva a tenere magicamente insieme Oriente e Occidente. Il cristianesimo era già nelle mie vene, grazie alla nonna paterna, tedesca e luterana. Mentre mio padre era musulmano per tradizione nazionale e ci faceva festeggiare tutte le feste delle diverse religioni. Molti anni dopo, agli inizi della mia attività concertistica, entrai in una profonda crisi, dopo un tour in Messico. Non riuscivo più a dormire, pensavo di morire da un momento all’altro e non avevo più alcun desiderio di suonare. I concerti però non potevano essere annullati e nell’ora più buia trovai per terra una meravigliosa immagine di Cristo. C’era una scritta, semplice ma indimenticabile: “Amami come sei”. Da quel momento mi sono sentito abbracciato in tutta la mia fragilità».Il maestro Piero Rattalino, dopo la prima lezione con lei, disse che c’erano molti aspetti da correggere, ma sentendola suonare era eloquente «una conoscenza del dolore del tutto inconsueta per la sua età». Per interpretare alcune pagine bisogna aver sofferto molto?«Le rispondo facendomi aiutare dai giganti. Gabriele D’Annunzio scrisse per la morte di Giuseppe Verdi: “Pianse e amò per tutti”. Alexis Weissenberg invece mi ammonì, interrompendomi mentre lavoravamo sulle Variazioni Goldberg: “Devi sentire il peso delle sofferenze del mondo”. Io credo che un esecutore abbia questa responsabilità: deve soffrire, ma anche gioire, insieme ai suoi fratelli uomini».Domani sera tornerà a suonare proprio in quel Conservatorio di Milano che la accolse, con un programma, guarda caso, completamente bachiano. Ogni tanto si concede anche altre passioni musicali?«L’amore per Bach è quello del primo giorno, ma è maturato insieme a me. E oggi mi ha portato ad abbracciare altri grandi compositori come Fryderyk Chopin, Johannes Brahms, Sergei Rachmaninoff... Bach diceva che la musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori. Lui non è geloso, ama tutti e mi ha già perdonato».
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)