
Rami, giovane egiziano di San Donato allo stadio con il suo campione: «Io non voglio essere un simbolo». Zittiti così gli ipocriti che ne volevano fare l'icona dello ius soli e della narrazione dell'Italia razzista.«È stato il momento più bello della mia vita». Rami, l'eroe dello scuolabus di San Donato, il tredicenne egiziano che ha salvato i suoi compagni dal terrorista senegalese, il piccolo coraggioso che ha evitato una strage (insieme ad altri suoi coetanei italiani, per la verità, anche se questi ultimi sono stati accuratamente occultati), ebbene: Rami ce l'ha fatta. Ha coronato il suo sogno. Ha finalmente ottenuto ciò che desiderava da sempre. È arrivato all'obiettivo agognato, quello cui pensava ogni minuto, la cosa che davvero chiedeva alla vita, come hanno riportato per settimane tutti i quotidiani e le tv italiane, intervistandolo a reti unificate. Dunque, voi penserete, gli hanno dato finalmente la cittadinanza italiana? Macché. Ha incontrato il suo idolo: Paulo Dybala.È successo l'altra sera allo stadio. C'era il derby Juve-Toro, e alla fine del primo tempo Dybala s'è avvicinato a Rami, ospite in tribuna d'onore. Il ragazzino era emozionatissimo, ma il campione è stato davvero gentile e l'ha messo a suo agio. Gli ha detto: «Sei stato un grande». Poi gli ha detto: «Hai avuto coraggio». Si è seduto accanto, hanno visto insieme tutto il secondo tempo. Rami tremava per la felicità. Si sono fatti anche una foto insieme, che ovviamente è finita su tutti i social. E poi è arrivata l'immancabile maglia autografata. «È stato il momento più bello della mia vita», ha commentato per l'appunto il ragazzino, tornato finalmente ragazzino. E la cittadinanza italiana?, gli ha chiesto un giornalista dell'Huffington Post. E lui, in vena di sincerità, ha fatto spallucce. Chi se ne importa? «Mi interessava molto di più incontrare Dybala».E come non capirlo? La cittadinanza italiana non fa gol. Nemmeno assist. Non dribbla gli avversari. Non vince gli scudetti. E nemmeno le Champions league (quelle nemmeno Dybala, per la verità: ma questo è un altro discorso). La cittadinanza italiana, per dirla sempre con Rami, è «un plus», un di più, una cosa non essenziale. «Se me la danno bene, altrimenti aspetto fino a 18 anni», dice tranquillo come un pascià. Averla o non averla, insomma, non gli cambia nulla. Proprio nulla. Mica come una foto con Dybala, che invece è una di quelle cose che ti può cambiare la vita… Vi sembra strano? Ma no. Ha ragione lui. Liberato dallo scuolabus in fiamme (prima) e dalla retorica del politicamente corretto (dopo), dove è stato tenuto due volte in ostaggio, il ragazzino ha semplicemente ricominciato a parlare come un ragazzino. Rivelando, nella sua sincera semplicità da stadio, quello che andiamo dicendo da tempo: non esiste nessuna discriminazione per i minori che non hanno cittadinanza italiana fino ai 18 anni. Tanto è vero che a volte, pur avendone la possibilità, le famiglie non la chiedono. E anche i medesimi minori, al compimento del diciottesimo, non sempre fanno la corsa a chiederla, perché l'unica cosa concreta che davvero cambia con la cittadinanza è il diritto di votare. Niente di meno, niente di più.Ma, per un bimbo, che non può votare, non cambia nulla. Ma proprio nulla. Con buona pace del lamento nazionale, dunque, i tanti Rami d'Italia non sono povere vittime straniere di un Paese razzista, non sono bimbi segregati come nella Soweto dei tempi cupi, non subiscono quotidiane umiliazioni e angherie, non debbono rinunciare a nulla. Vanno a scuola, giocano a calcio, inseguono le ragazze, sognano di incontrare Dybala, esattamente come tutti i loro coetanei italiani. Non c'è niente di essenziale che viene loro tolto dalla mancanza di cittadinanza, fino a quando compiono i 18 anni e, se vogliono, la possono prendere. Tanto è vero che molti di loro manco se ne accorgono. E quando se ne accorgono, la considerano in ogni caso un «plus». Quasi un orpello.E allora perché per questo «plus», per questo orpello, ci stiamo martellando gli zebedei dal giorno dello scuolabus in fiamme, tanto che il giornalista dell'Huffington Post si sente in dovere di incalzare Rami allo stadio, per chiedergli se il permesso tanto sospirato (ma solo dai giornaloni) è arrivato no? La spiegazione la dà il medesimo Rami, davvero straordinario ora che è ritornato un ragazzino che trema davanti al suo idolo, uscendo dal corpo mistico che gli avevano cucito addosso. «I giornalisti fanno domande sceme, banali», spiega infatti. «Ma ora non li ascolto più». Come a dire: vi ho preso per i fondelli. Ho detto quello che volevate sentire.Ma sì: c'era bisogno di un eroe, c'era bisogno di un simbolo nella narrazione dell'Italia razzista, c'era bisogno di una bandiera da sventolare per rilanciare il tema dello ius soli, c'era bisogno di un ragazzino marocchino da buttare in faccia al cattivo Matteo Salvini. Per questo, nella tragedia dello scuolabus, sono stati nascosti i ragazzini biondi con nomi italiani e si è costruito il monumento agli Adam e ai Rami. Quest'ultimo però, poi è andato nel pallone (nel senso dello stadio) e in un amen ha smontato il giochino costruito con tanto impegno e profusione d'inchiostro. «Non voglio essere né un simbolo né un eroe», ha sentenziato l'altra sera. «E di cittadinanza non voglio sentire più parlare». Bel contropiede, ragazzino. Proprio come quelli che fa il tuo campione preferito, Dybala. Il derby con il Toro non l'avete vinto. Ma, stai sicuro, quello con gli ipocriti è finito 4 a 0 per te.
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