Dopo l’eliminazione di tutti i club dal torneo più importante, le chance di conservare il buon ranking passano dall’Europa League. Ma l’urna è stata beffarda: «derby» Milan-Roma e l’Atalanta pesca il Liverpool di Jurgen Klopp. In Conference Fiorentina-Viktoria Plzen.
Dopo l’eliminazione di tutti i club dal torneo più importante, le chance di conservare il buon ranking passano dall’Europa League. Ma l’urna è stata beffarda: «derby» Milan-Roma e l’Atalanta pesca il Liverpool di Jurgen Klopp. In Conference Fiorentina-Viktoria Plzen. La Caporetto delle italiane in Champions League non compromette del tutto il primato tricolore nel ranking europeo (la graduatoria delle nazioni valutata secondo il posizionamento di ciascun club nelle coppe continentali della stagione corrente) però c’è da stare in campana. Per rimanere primi, tenendo a distanza Germania e Inghilterra, occorre andare avanti il più possibile in Europa League e in Conference, gli unici trofei ancora alla nostra portata. La posta in gioco è golosa: le prime due federazioni del ranking porteranno alla Champions League 2024/25 le prime cinque squadre classificate nel proprio campionato nazionale, anziché le prime quattro. Grazie ai risultati conseguiti in Europa e Conference League, l’Italia (17.714 punti) compie un piccolo allungo sulla Germania (16.356), +0,4 rispetto a giovedì. Il resto della classifica vede l’Inghilterra inseguire a 16.250; poi Francia (14.750), Spagna (14.437). L’anno prossimo la Champions si allargherà, 36 squadre anziché 32, gettare alle ortiche un’occasione simile equivale a imitare l’Inter contro l’Atletico: baldanzosa nella sua convinzione di passare il turno, è stata poi uccellata dal gioco stranamente propositivo degli uomini del «Cholo» Simeone, che hanno beneficiato degli inediti svarioni dei nerazzurri durante la partita di ritorno degli ottavi. Ma veniamo al destino delle nostre società rimaste in corsa. Il sorteggio di Europa League vede una sfida fratricida, ancorché succulenta, ai quarti. L’11 aprile si disputerà il match di andata di Milan-Roma. Significa che almeno una nostra compagine avrà la certezza di accedere alle semifinali. L’esito dello scontro è in bilico. Il Milan di Stefano Pioli ha messo nel mirino la seconda coppa più importante del continente per riscattare un’annata altalenante in cui i cugini interisti hanno spadroneggiato in campionato, umiliando l’altra metà di Milano nel derby. Le vittorie contro Rennes e Slavia Praga sono confortanti a metà. Il Diavolo ha messo in mostra un calcio arrembante e razionale, minato da qualche amnesia difensiva, capace di valorizzare i suoi uomini rappresentativi: Loftus-Cheek nerboruto e dominante nel centrocampo avanzato, Pulisic gran cesellatore, Leao che quando fa Leao a tutto tondo si colloca tra i primi tre, quattro esterni offensivi del mondo. Dal canto suo, la Roma è stata rivitalizzata dalla cura De Rossi. Abbandonati il catenaccio e l’inclinazione alla rissa dell’epoca Mourinho, oggi sfodera un’attitudine offensiva calibrata, gioca la palla, ha consapevolezza di possedere, almeno dalla cintola in su, una rosa di tutto rispetto. Lukaku e Dybala davanti sono un tandem ancora con pochi eguali quando non vengono funestati da problemi fisici, il centrocampo annovera uomini come Pellegrini, Paredes, insomma, nomi in grado di infiammare la piazza. All’Atalanta poteva andare molto meglio. La Dea, rocciosa nell’eliminare lo Sporting Lisbona, incappa nella corazzata Liverpool, il cliente peggiore che potesse capitare. Tuttavia la tempra orobica è animata da spirito tignoso e laborioso. Quando il pericolo aumenta, aumentano pure le probabilità di cavarsela, perché i bergamaschi possono scendere in campo con la leggerezza di chi ha poco da perdere, affrontando chiunque senza timore reverenziale. A patto che sfruttino al meglio la rapidità nel ripartire. Il Liverpool ha rifilato un drammatico 6-1 allo Sparta Praga, è primo a pari punti con l’Arsenal in Premier League, il tecnico Jürgen Klopp saluterà il club a fine stagione e vorrebbe lasciare l’ennesimo trofeo del suo decennio d’oro. I nomi in rosa risuonano minacciosi, da Mohamed Salah a Darwin Nunez, da Dominik Szoboszlai a Virgil Van Dijk. Gli altri accoppiamenti vedono il Benfica opposto all’Olimpique Marsiglia di Gasset, allenatore subentrato a Gennaro Gattuso. I tedeschi del Leverkusen se la vedranno invece col West Ham, un confronto che ci riguarda da vicino poiché vede affrontarsi una società tedesca contro una inglese, entrambe a caccia di punti per il ranking che garantisce, come si diceva, cinque club in Champions alle prime due federazioni classificate. In Conference League, la Fiorentina di Vincenzo Italiano, dopo aver eliminato il non irresistibile Maccabi Haifa, se la vedrà col Viktoria Plzen, formazione ceca in verità abbordabile. La mina vagante della competizione è l’Aston Villa, destinato a battersi con il Lilla. La Champions, orfana di Inter, Napoli e Lazio, promette scintille con un quarto di finale pirotecnico. Il Real di Carlo Ancelotti sfiderà il Manchester City detentore del titolo agli ordini di Pep Guardiola. Significa il braccio di ferro tra i due tecnici più blasonati e amati in circolazione, oltre che una sfilata star. Haaland da una parte, Bellingham dall’altra, De Bruyne e Rodri, Vinicius, Camavinga e Modric, tanto per pescare a casaccio. In Premier i citizens sono a un punto dalla vetta, in Liga i Blancos comandano davanti al sorprendente Girona e al Barcellona. Proprio i catalani animeranno l’altra disfida di cartello, quella contro il Psg. I blaugrana, giustizieri del Napoli, non stanno disputando la loro miglior stagione, i transalpini si coccolano Mbappé, Dembelé, Hakimi, dando la caccia alla coppa dalle grandi orecchie come un Eldorado avrebbe infiammato i sogni di un Hernan Cortes in terra azteca. Nelle altre partite, l’Atletico Madrid si confronterà col Borussia Dortmund, l’Arsenal sfiderà il Bayern Monaco. Per conservare il primato nel ranking, oltre a tifare perché le italiane arrivino in fondo nelle altre due coppe, c’è da sperare che Dortmund e bavaresi facciano le valigie prima delle semifinali.
Scienziati tedeschi negli Usa durante un test sulle V-2 nel 1946 (Getty Images)
Il 16 novembre 1945 cominciò il trasferimento negli Usa degli scienziati tedeschi del Terzo Reich, che saranno i protagonisti della corsa spaziale dei decenni seguenti.
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Il 16 luglio 1969 il razzo Saturn V portò in viaggio verso il primo allunaggio della storia l’equipaggio della missione Nasa Apollo 11. Il più grande passo per l’Uomo ed il più lungo sogno durato secoli si era avverato. Il successo della missione NASA fu il più grande simbolo di vittoria nella corsa spaziale nella Guerra fredda per Washington. All’origine di questo trionfo epocale vi fu un’operazione di intelligence iniziata esattamente 80 anni fa, nota come «Operation Paperclip». L’intento della missione del novembre 1945 era quella di trasferire negli Stati Uniti centinaia di scienziati che fino a pochi mesi prima erano stati al servizio di Aldolf Hitler e del Terzo Reich nello sviluppo della tecnologia aerospaziale, della chimica e dell’ingegneria naziste.
Nata inizialmente come operazione intesa ad ottenere supporto tecnologico per la tardiva resa del Giappone nei primi mesi del 1945, l’operazione «Paperclip» proseguì una volta che il nuovo nemico cambiò nell’Unione Sovietica, precedente alleato di Guerra. Dopo la caduta del Terzo Reich, migliaia di scienziati che avevano lavorato per la Germania nazista si erano sparsi per tutto il territorio nazionale, molti dei quali per sfuggire alla furia dei sovietici. L’OSS, il servizio segreto militare dal quale nascerà la CIA, si era già preoccupato di stilare un elenco delle figure apicali tra gli ingegneri, i fisici, i chimici e i medici che avrebbero potuto rappresentare un rischio se lasciati nelle mani dell’Urss. Il Terzo Reich, alla fine della guerra, aveva infatti raggiunto un livello molto avanzato nel campo dell’ingegneria aeronautica e dei razzi, uno dei campi di studio principali sin dai tempi della Repubblica di Weimar. I missili teleguidati V-2 e i primi aerei a reazione (Messerschmitt Me-262) rivelarono agli alleati quella che sarebbe stata una gravissima minaccia se solo Berlino fosse riuscita a produrre in serie quelle armi micidiali. Solamente l’efficacia dei potenti bombardamenti sulle principali strutture industriali tedesche ed il taglio dei rifornimenti impedì una situazione che avrebbe potuto cambiare in extremis l’esito del conflitto.
L’Operazione «Paperclip», in italiano graffetta, ebbe questo nome perché si riferiva ai dossier individuali raccolti negli ultimi mesi di guerra sugli scienziati tedeschi, molti dei quali erano inevitabilmente compromessi con il regime nazista. Oltre ad aver sviluppato armi offensive (razzi e armi chimiche) avevano assecondato le drammatiche condizioni del lavoro forzato dei prigionieri dei campi di concentramento, caratterizzate da un tasso di mortalità elevatissimo. L’idea della graffetta simboleggiava il fatto che quei dossier fossero stati ripuliti volontariamente dalle accuse più gravi dai redattori dei servizi segreti americani, al fine di non generare inevitabili proteste nell’opinione pubblica mondiale. Dai mesi precedenti l’inizio dell’operazione, gli scienziati erano stati lungamente interrogati in Germania, prima di essere trasferiti in campi a loro riservati negli Stati Uniti a partire dal 16 novembre 1945.
Tra gli ingegneri aeronautici spiccavano i nomi che avevano progettato le V-2, costruite nel complesso industriale di Peenemünde sul Baltico. Il più importante tra questi era sicuramente Wernehr von Braun, il massimo esperto di razzi a propulsione liquida. Ex ufficiale delle SS, fu trasferito in a Fort Bliss in Texas. Durante i primi anni in America fu usato per testare alcune V-2 bottino di guerra, che von Braun svilupperà nei missili Redstone e Jupiter-C (che lanciarono il primo satellite made in Usa). Dopo la nascita della NASA fu trasferito al Marshall Space Flight Center. Qui nacque il progetto dei razzi Saturn, che in pochi anni di sviluppo portarono gli astronauti americani sulla Luna, determinando la vittoria sulla corsa spaziale con i sovietici e divenendo un eroe nazionale.
Con von Braun lavorò allo sviluppo dei razzi anche Ernst Stuhlinger, grande matematico, che fu estremamente importante nel calcolo delle traiettorie per la rotta dei razzi Saturn. Fu tra i primi a ipotizzare la possibilità di raggiungere Marte in tempi relativamente brevi. Nel team dei tedeschi che lavorarono per la Nasa figurava anche Arthur Rudolph, che sarà uno dei principali specialisti nei motori del Saturn. L’ingegnere tedesco si occupò in particolare del funzionamento del primo stadio del razzo che conquistò la Luna, un compito fondamentale per un corretto decollo dalla rampa di lancio. Rudolph era fortemente compromesso con il Terzo Reich in quanto membro prima del partito nazista e quindi delle SS. Nel 1984 decise di lasciare gli Stati Uniti dopo che nei primi anni ’80 iniziarono una serie di azioni giudiziarie contro quegli scienziati che più si erano esposti nella responsabilità dell’Olocausto. Morirà in Germania nel 1996.
Tra gli ingegneri, fisici e matematici trasferiti con l’operazione Paperclip fu anche Walter Häussermann, esperto in sistemi di guida dei razzi V-2. Figura chiave nel team di von Braun, sviluppò negli anni di collaborazione con la NASA gli accelerometri ed i giroscopi che il razzo vettore del programma Apollo utilizzò per fornire i dati di navigazione al computer di bordo.
In totale, l’operazione Paperclip riuscì a trasferire circa 1.600 scienziati tedeschi negli Stati Uniti. In ossequio alla realpolitik seguita alla corsa spaziale, la loro partecipazione diretta o indiretta alle attività belliche della Germania nazista fu superata dall’enfasi che il successo nella conquista della Luna generò a livello mondiale. Un cammino che dagli ultimi sussulti del Terzo Reich, quando le V-2 colpirono Londra per 1.400 volte, portò al primo fondamentale passo verso la conquista dello Spazio.
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