
L’Unione frena il mercato quando funziona e gli toglie le briglie quando serve più Stato.Inutile sforzarsi a trovare il bandolo della matassa delle politiche economiche e monetarie europee perché il bandolo non c’è, c’è solo la matassa. Si susseguono provvedimenti, progetti di provvedimenti, dichiarazioni di vari commissari, dichiarazioni della presidente Von der Leyen, qualche rauco intervento della Lagarde. Ce ne fosse uno che spiega la ragione di quel provvedimento, e soprattutto il legame con altri provvedimenti. Si ha veramente l’impressione, e non credo personalmente di esagerare, di politiche economiche fatte a casaccio. E allora un dubbio diventa certezza: quando le politiche economiche non si spiegano con le ragioni di economia, cioè perché tendono a farla migliorare e sviluppare, allora c’è solo un’alternativa: vengono messe in atto a favore di qualcuno (ad esempio la Germania o la Francia) e a sfavore di qualcun altro (ad esempio l’Italia). Per fortuna i primi passi del premier Meloni si stanno muovendo in modo deciso e anche con la giusta quota di durezza nella presenza ai tavoli dove si decide.Nel secolo scorso ci si è posti una domanda fondamentale per il funzionamento dell’economia e per il ruolo dello Stato in rapporto ad essa. La domanda è semplice e vale tutt’oggi: quando il mercato va in crisi, per i più diversi motivi, interni o internazionali, inflazionistici, per carenza o abbondanza di domanda o di offerta, lo stesso mercato ce la può fare da solo a uscire dalla crisi o c’è bisogno dell’intervento dello Stato? Le risposte nell’arco del Novecento sono state fondamentalmente due. Quella liberista (Milton Friedman capo scuola) ha risposto che il mercato attraversa momenti naturali di crisi ma poi, lasciato a sé stesso e il più libero possibile dai vincoli dello Stato, ce la fa da solo a ripartire. Anzi, meno lo Stato interviene e meglio è, più lo Stato si ritira, più il mercato si espande. Al contrario, la risposta keynesiana (John Maynard Keynes capo scuola) ha sostenuto che il mercato può superare queste crisi attraverso un intervento massiccio dello Stato che consista in un aumento della spesa pubblica, anche in deficit, per finanziare opere pubbliche che generino occupazione, reddito e quindi consumi, oltre a una diminuzione della pressione fiscale. Il tutto nella convinzione che attraverso queste misure il mercato possa riprendersi, generare maggior reddito e quindi maggiori tasse per lo Stato gradualmente, ripianerebbe il deficit. Non siamo qui a discutere della bontà dell’una o dell’altra ricetta, ma piuttosto a rilevare che l’Unione europea è riuscita a mischiare le due ricette producendo un mostro che è la sua politica economica e anzi, se possibile, prendendo il peggio delle due ricette stesse. Facciamo alcuni esempi. Il primo. In molti nella comunità europea, anche recentemente, si sono espressi contro il cosiddetto debito comune europeo che sarebbe l’unica strada per poter intervenire velocemente, con soldi propri, nei momenti di crisi sul modello, ad esempio, degli Stati Uniti. Questi ultimi hanno finanziato 370 miliardi di dollari per un progetto di ripresa dell’economia americana. L’Europa ha naturalmente detto che bisognava rispondere all’iniziativa americana per aiutare gli imprenditori europei ma alle parole ha fatto seguito il nulla. D’altra parte, o l’Europa crede che il mercato vada aiutato e allora deve dotarsi degli strumenti adatti a farlo oppure deve dichiarare una scelta più liberista come quella che ha fatto in campo di restrizioni al deficit e al debito pubblico dei singoli Stati. Cioè: da una parte l’Europa si dimostra keynesiana adottando misure come il Next Generation Fund e il Recovery Fund (facendolo tra l’altro poi ripagare ai cittadini europei attraverso la Sugar Tax o la Plastic Tax) e dall’altra blocca il deficit e il debito dei Paesi europei che potrebbero, da soli, intervenire keynesianamente facendo debito a favore di famiglie e imprese. Il secondo. Compiendo un errore madornale, l’Europa vara provvedimenti senza considerare la specificità delle diverse economie. In questo caso non è né una prospettiva keynesiana, né una prospettiva liberista, è una prospettiva cretina. Infatti, il Recovery Fund ha difficoltà applicative notevoli nei diversi Stati perché è scritta in modo uguale per Paesi diversi. Sarebbe come dare lo stesso farmaco a uno che soffre di tallonite e a uno che soffre di reflusso gastroesofageo.Il terzo. La politica monetaria va in una direzione che poco ha a che fare con la politica economica. Infatti, mentre la Bce aumenta i tassi di interesse, un buon 30% degli operatori economici italiani quest’anno avrà crisi debitorie anche per l’aumento dei tassi. Con una mano ti levo e con quell’altra ti tolgo. Potrebbero essere molti altri gli esempi e soprattutto gli errori di politica economica e monetaria compiuti dall’Unione Europea oltre al fatto che essi sono in contraddizione tra di loro. Ma l’unica spiegazione possibile è quella che dicevamo all’inizio: sono provvedimenti non ad personam, come si diceva in Italia, ma ad membrum, naturalmente nel senso dello Stato.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.