2018-05-09
«Quella non è una bandiera nazista». L’Arma assolve il militare di Firenze
Chiusa l'indagine interna dopo il caso creato da una foto scattata a un giovane carabiniere beccato con una bandiera imperiale tedesca affissa nella sua camera nella caserma Baldissera che ospita il VI Battaglione carabinieri Toscana, a Firenze. Sei mesi per capire che il secondo Reich non è il terzo.Il secondo Reich non è il terzo Reich. Ci volevano quasi sei mesi di indagine per arrivare a tale sconvolgente conclusione storica. E no, il giovane carabiniere che ai primi di dicembre venne beccato con una bandiera imperiale tedesca affissa nella sua camera, all'interno della caserma Baldissera che ospita il VI Battaglione carabinieri Toscana, a Firenze, non verrà cacciato dall'Arma. L'indagine interna finisce quindi in un assai prevedibile nulla di fatto, dopo che al militare era stata comminata una prima sanzione (tre giorni di consegna) ieri annullata. Tira un sospiro di sollievo il carabiniere romano di 24 anni, iscritto alla facoltà di storia alla Sapienza, difeso dagli avvocati Giorgio Carta e Giuseppe Piscitelli, che in caso di conferma della sanzione avrebbe rischiato di non poter più lavorare nell'Arma. Quel drappo non ha nulla a che fare con il nazismo, quindi, anche se a caldo tutta la stampa italiana e metà dei politici (non solo di centrosinistra) si lasciarono sfuggire la dichiarazione indignata sulla bandiera nazista in caserma, con tanto di ovvio corollario sulle forze dell'ordine reazionarie e, quindi, para golpiste. Poi la mira venne corretta, passando dal terzo al secondo Reich, appunto, cioè, per capirci, da Adolf Hitler a Otto von Bismarck. Per la precisione, si trattava della bandiera della Kriegsmarine, la marina di guerra. Ma si sa, per il pubblico poco informato e che legge di fretta, un Reich vale l'altro. Poco importa se lo Stato in questione era una monarchia costituzionale, con le leggi sociali più avanzate dell'epoca, con una forte opposizione socialdemocratica, con giornali satirici che potevano ironizzavano abitualmente sui governanti, nonché alleato dell'Italia liberale di Giovanni Giolitti. Fatta la gaffe, non restò che ripiegare su una strategia vagamente orwelliana: no, il nazismo non c'entra, ma la bandiera è utilizzata spesso in Germania da gruppi neonazisti. È quindi chiaro che... E invece non era chiaro per niente, anche perché far riferimento al modo in cui un simbolo è recepito in un contesto culturale dato (la società tedesca in cui ogni riferimento iconico diretto al nazionalsocialismo è vietato per legge) e applicare tale codice in un altro contesto non si capisce che senso abbia. Detto in altri termini: può anche darsi che quel simbolo, non nazista, possa essere interpretato come tale in Germania. Ma Firenze non è Amburgo, qui non valgono le leggi tedesche, non ci sono gli stessi tabù né, quindi, le stesse strategie usate per aggirarli. Senza parlare del fatto che processare le intenzioni è sempre eticamente e giuridicamente sconsigliabile. Basta ascoltare Richard Wagner per essere tacciati di nazismo, solo perché il compositore piaceva a Hitler? Certamente no. E se anche qualcuno ascoltasse il Lohengrin in onore del Führer, non si vede in base a cosa la pratica possa diventare sanzionabile: in uno Stato di diritto, una cosa o è legale, o non lo è, non occorre leggere nel pensiero della gente. Argomentazioni che non devono aver sfiorato il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che non aveva potuto fare a meno di indignarsi, in quanto «chi espone una bandiera del Reich non può essere degno di far parte delle forze armate». Chissà che ha fatto, il povero Bismarck, a una Costituzione entrata in vigore 50 anni dopo la sua morte. Ma di certo la questione non ha fornito l'occasione per studiare meglio quel periodo, se è vero che ieri il Corriere della Sera dava conto del proscioglimento del militare parlando di una bandiera «asburgica». Gli Asburgo, Bismark, Hitler: in fondo che differenza fa?
Nella prima mattinata del 28 ottobre 2025 la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato hanno eseguito numerose perquisizioni domiciliari in tutta Italia ed effettuato il sequestro preventivo d’urgenza del portale www.voltaiko.com, con contestuale blocco di 95 conti correnti riconducibili all’omonimo gruppo societario.
Si tratta del risultato di una complessa indagine condotta dal Nucleo Operativo Metropolitano della Guardia di Finanza di Bologna e dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica per l’Emilia-Romagna, sotto la direzione del Pubblico Ministero Marco Imperato della Procura della Repubblica di Bologna.
Un’azione coordinata che ha visto impegnate in prima linea anche le Sezioni Operative Sicurezza Cibernetica delle varie Regioni e gli altri reparti territoriali della Fiamme Gialle nelle province di Bologna, Rimini, Modena, Milano, Varese, Arezzo, Frosinone, Teramo, Pescara, Ragusa.
L’operazione ha permesso di ricostruire il modus operandi di un gruppo criminale transnazionale con struttura piramidale tipica del «network marketing multi level» dedito ad un numero indeterminato di truffe, perpetrate a danno anche di persone fragili, secondo il cosiddetto schema Ponzi (modello di truffa che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi investitori, a loro volta vittime del meccanismo di vendita).
La proposta green di investimenti nel settore delle energie rinnovabili non prevedeva l’installazione di impianti fisici presso le proprie abitazioni, bensì il noleggio di pannelli fotovoltaici collocati in Paesi ad alta produttività energetica, in realtà inesistenti, con allettanti rendimenti mensili o trimestrali in energy point. Le somme investite erano tuttavia vincolate per tre anni, consentendo così di allargare enormemente la leva finanziaria.
Si stima che siano circa 6.000 le persone offese sul territorio nazionale che venivano persuase dai numerosi procacciatori ad investire sul portale, generando un volume di investimenti stimato in circa 80 milioni di euro.
La Procura della Repubblica di Bologna ha disposto in via d’urgenza il sequestro preventivo del portale www.voltaiko.com e di tutti i rapporti finanziari riconducibili alle società coinvolte e agli indagati, da ritenersi innocenti fino a sentenza definitiva.
Nel corso delle perquisizioni è stato possibile rinvenire e sottoporre a sequestro criptovalute, dispositivi elettronici, beni di lusso, lingotti d’oro e documentazione di rilevante interesse investigativo.
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