2019-04-13
Quel babà che indusse Pertini in tentazione
Diete quirinalizie: il presidente, costantemente a stecchetto, capitolò di fronte allo zabaione. Giovanni Leone sdoganò lo spumante, Francesco Cossiga era un picconatore di bottarga. La figlia di Oscar Luigi Scalfaro inventò i menù con gli affreschi in copertina. Sergio Mattarella adora zuppe e timballi.L'esordio dell'Italia repubblicana tra le cucine e i banchetti dei Quirinale non fu così facile. Complici i tempi di una ricostruzione dalle macerie della guerra, ma anche per l'arrivo al soglio presidenziale di una figura riservata quale Enrico De Nicola che non era un particolare amante della convivialità. Di quei tempi esistono rare tracce di menù ufficiali con alcune note di colore. Ad esempio, in un pranzo a Venezia, la lista offriva il prosciutto di Parma, i carciofi alla romana, financo il pollo alla valdostana, ma nessuna memoria delle sarde in saor o delle seppie in umido. Anche il prosecco era ancora un carneade della vigna. Poco tempo dopo si replica a Firenze. Stavolta le vigne toscane onorano i calici, ma giusto per accompagnare i ravioli alla genovese o i petti di pollo alla parigina. La linea austera prosegue con Luigi Einaudi, piemontese di Carrù con tenute a Dogliani. I libretti del menù limitati al minimo indispensabile, stemma della Repubblica compreso. Divertente il contrasto tra i discreti raviolini in brodo e una pollanca del Valdarno alla luculliana. Sui vini le Langhe in giusta evidenza. Il convivio spesso terminava con dei cestini di frutta tanto che fu celebre l'episodio in cui il presidente, dopo aver tagliato a metà la sua mela, chiese, molto cortesemente, chi gli volesse fare da spalla. Con l'arrivo del pisano Giovanni Gronchi l'Italia uscì dagli anni dell'emergenza e si aprirono diverse occasioni di incontri ufficiali. Ad accompagnare la visita di Soraya di Persia uno splendido servizio di ceramiche di Meissen, con un menù coordinato da motivi floreali. Italia onorata in tutte le sue bellezze dalla grafica del menù predisposto a Londra dalla regina Elisabetta, un invito a replicare i gran tour dell'età romantica. Anche la cucina nazionale va alla riscossa, ambasciatrice l'aragosta che viene servita in bellavista a Charles De Gaulle; in gelatina al presidente del Perù, Manuel Prado, e in spuma alla Regina d'Inghilterra.Con Antonio Segni l'attenzione si focalizzò nel coordinare la grafica dei menù con il servizio in tavola. Ecco allora dei cartoncini bianchi, filettati in oro, che ben si accompagnavano al servizio tardo ottocentesco di Richard Ginori mentre l'altro, incorniciato con ghirlande di fiori, era ben abbinato agli «uccelli e insetti» della manifattura di Meissen e ai «fiori policromi» realizzati a Berlino. In alternativa alla storica etichetta dei brindisi finali, Ruinart, arriva Moet et Chandon. Giuseppe Saragat, da buon piemontese, preferiva i ravioli e le trote, meglio se valdostane. Alla regina Giuliana d'Olanda vennero servite una vellutina di pollo alla reale e un misterioso spumone arlecchino. Con Harold Wilson, invece, il menù Italia recitava uova alla genovese e fagiano tartufato. Fu l'occasione in cui, allo stappo delle bollicine per il brindisi finale, venne il turno di un altro marchio storico, la maison Krugg. Si andò oltre con Giovanni Leone, che sdoganò finalmente lo spumante anche se la cosa curiosa è che, tra gli eleganti menù decorati da motivi floreali, quasi mai apparvero piatti napoletani. Sandro Pertini era tenuto costantemente a dieta dai suoi archiatri presidenziali, ma come divennero famose le sue esternazioni fuori spartito, così ogni tanto si divertiva a stupire il cerimoniale con qualche comanda corsara di piatti dal bollino rosso. Uno su tutti il babà allo zabaione. Fu alla sua tavola che il Nobel Carlo Rubbia ebbe l'onore di un evento dedicato così come, con Elisabetta d'Inghilterra, ospiti d'onore ambasciatori italiani di grande talento quali Riccardo Muti (al tempo direttore della Filarmonica di Londra) e il pittore Pietro Annigoni, fresco di nomina quale pittore di corte. Per festeggiare vol-au-vent all'ammiraglia e tacchino novello ripieno. Fu con Pertini che il cerimoniale fece esordire una significativa novità. Dei cordoncini colorati che non solo servivano a tenere assieme i fogli del menù ma, essendo doppi, uno aveva i colori della Repubblica, l'altro quello della bandiera dello stato ospite. Francesco Cossiga si sentiva italiano, ma soprattutto sardo, tanto da essere goloso picconatore di bottarga à gogo e altre squisitezze dell'isola, come ricorda Pietro Catzola, chef dell'Amerigo Vespucci che venne arruolato dal presidente seduta stante ai fornelli del Quirinale dopo aver assaggiato un suo intrigante maialetto, durante un evento a Cagliari. Marianna Scalfaro, figlia del Presidente Oscar Luigi, fu un'importante innovatrice. Volle che si creassero degli orti a Castel Porziano, residenza estiva, quali risorsa per la fornitura delle cucine presidenziali che rinnovò con il meglio della tecnologia moderna. Non solo, ma diede luogo a una nuova e inedita serie di menù che riproducevano in copertina importanti arazzi e affreschi del Quirinale. La copertina dagli angoli arrotondati portò a trasferire i nomi degli ospiti all'interno e, fatto del tutto inedito, il menù era scritto in doppia lingua. Italiano e quella del Paese ospite. Si iniziò con il presidente finlandese Martti Athisaari, il 26 gennaio del 1997. Si passò a tre portate per un tempo di servizio di 45 minuti, questo per permettere il regolare svolgimento del complesso protocollo ufficiale tra i saluti iniziali (nella sala del Brustolon, da cui ogni anno il presidente registra gli auguri al Paese); la presentazione degli ospiti nella Sala dei Corazzieri, dove si svolgono anche i saluti finali accompagnati da un buon caffè. Tradizione, quella dei menù artistici, proseguita sotto la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi. Una simpatica sinergia quella tra la signora Franca e Catzola. L'una, emiliana, a insegnarli i segreti della pasta fresca tirata al mattarello e del caciucco livornese, omaggio all'illustre consorte; l'altro a ricambiare con la fregula (palline di semola tostate al forno) o i maccarones de busa (una pasta tipica dell'Ogliastra). Una cucina frugale, quella dei coniugi Ciampi, che però seppe dare la zampata del leone proprio a Londra, nell'ambasciata italiana, ospite la Regina Elisabetta, offrendo il meglio.Da un risotto mantecato con ragù di crostacei a un carrè di vitello marinato agli agrumi, una pera aromatizzata alla cannella con zabaione al marsala. Giorgio Napolitano è ricordato da tutto lo staff come uno dei presidenti più sensibili a valorizzare questa preziosa risorsa del nostro paese che passa per la sua cucina e il servizio di sala. Mentre la moglie Clio emulò Franca Ciampi trasmettendo i segreti del cardone (una zuppa di cardo), il presidente è stato un estimatore di piatti semplici quali gli spaghetti al pomodoro o la lasagna napoletana, ma pure curioso, autorizzando la cucina a proporre un piatto prova alla settimana, ma sempre nella tradizione italiana. Infine l'attuale presidente Sergio Mattarella, siciliano, ma dai gusti semplici di una cucina che passa per le zuppe di legumi e verdure, timballi, polpettine al pomodoro o involtini di carne. Un lungo viaggio, quindi, tra la storia della cucina del Quirinale che si può ammirare, anche senza essere invitati in tenuta da gran soirèè, visitando i locali di una residenza che ha moltissimo da far vedere, a partire dalle sale delle Vaselle, dove sono custoditi ed esposti tutti gli arredi che hanno allietato i pranzi dei potenti della terra posto che, oramai da anni, tutto quello che fa parte del servizio di sala è copia perfetta degli originali custoditi al riparo dagli insulti del tempo. Infine fa piacere ricordare anche un altro aspetto, che potrebbe sembrare inusuale per un luogo di tale eccellenza, tanto che, come ricorda Fabrizio Boca, altro chef del Quirinale, le porte delle sue cucine si sono aperte a degli stage di formazione di giovane studenti degli istituti alberghieri e a programmi di sostegno verso ragazzi con disabilità.