2020-08-09
Quei martiri milanesi dimenticati e colpevoli soltanto di avere fame
Domani 76° anniversario della strage di piazzale Loreto. Su ordine tedesco vennero fucilati 15 antifascisti. Rappresaglia per due ordigni contro un camion di soldati del Führer in cui morirono anche diversi civili italiani.Chi ha messo la bomba? È una domanda molto italiana che attraversa la storia degli ultimi 50 anni, dallo stragismo al terrorismo, alle mafie, con una mefitica continuità. Piazza Fontana, l'Italicus, la stazione di Bologna, Piazza della Loggia a Brescia, Ustica, le notti dei fuochi: si sa tutto sulle vittime, qualcosa sui colpevoli, poco o niente sui mandanti. Omertà, depistaggi, pigrizie investigative, versioni di facciata. L'italiano passa la vita a chiedere a gran voce la verità, ma accetta solo quella che gli fa comodo, anche se incompleta. Qualcosa di simile accade anche per l'eccidio di piazzale Loreto a Milano, stessa piazza della macabra ostensione di Benito Mussolini e Claretta Petacci, ma un anno prima. È il massacro di San Lorenzo, 10 agosto 1944, quando 15 antifascisti vengono fucilati per rappresaglia dai nazifascisti dopo l'esplosione di una bomba su un camion tedesco due giorni prima, che nessuno rivendicò.«Il sangue di piazzale Loreto lo pagheremo molto caro», disse allora il duce con frase profetica. Come ogni anno, anche domani i 15 martiri verranno ricordati con una doverosa cerimonia. E come ogni anno saranno dimenticate come un imbarazzante effetto collaterale le vittime civili italiane dell'attentato, ufficialmente 6 più 11 feriti, i cui nomi scanditi a voce alta potrebbero rispondere alla domanda «chi ha messo la bomba?». Anzi le bombe, perché erano due e andarono a colpire il camion e il rimorchio fermi in viale Abruzzi 77 (meno di 300 metri da piazzale Loreto), mentre i soldati erano intenti a distribuire i viveri ai cittadini indigenti. Nonni e nipoti in fila per un pezzo di pane, massacrati anche loro e per 76 anni figli di nessuno. Ora la dimenticanza sta per essere colmata e il fatto sta per diventare un libro. Lo firma Pierangelo Pavesi, storico-ricercatore, che dopo il successo di Sparami al petto sugli ultimi due giorni di Mussolini (Ritter editore), si è dedicato al massacro di piazzale Loreto. Dall'inizio alla fine. «Il 10 agosto, 15 antifascisti furono prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto, di fianco al distributore di benzina, dove vennero fucilati da un plotone di esecuzione formato da 30 militi delle Brigate nere, della Guardia nazionale repubblicana e della legione Muti», spiega Pavesi che ha sempre privilegiato la ricerca attraverso le testimonianze e i memoriali per poi assemblare il puzzle della grande Storia attraverso le piccole storie. «Eraldo Soncini, uno dei 15 predestinati, tentò di scappare imboccando via Andrea Doria e si rifugiò all'interno del sottoscala dell'edificio al 9 di via Palestrina, dove fu raggiunto dalle brigate nere e falciato con una raffica di mitra. C'è un testimone di quel fatto, si chiama Renato Ontani. Allora aveva 9 anni e abitava al quarto piano. Testimonia che un ragazzo gli sparò, poi si accese una sigaretta».Si compiva una tragedia cominciata due giorni prima, la parte più facilmente dimenticata, assieme alle sue vittime innocenti. La parola torna a Pavesi. «C'è un rapporto del comandante del commissariato Monforte che sintetizza: “Ore 8.15 di oggi in viale Abruzzi all'altezza dello stabile segnato con il numero 77 scoppiavano due ordigni applicati ad opera di ignoti all'autocarro germanico con rimorchio, targa WM 111092 lì sostante dalle ore 3 di stamane e affidato all'autiere caporalmaggiore Heinz Kuhn che dormiva al posto di guida". Parla di due bombe. Secondo il rapporto della Guardia nazionale repubblicana sei persone persero la vita e 11 rimasero ferite. Ma il Corriere della Sera dell'11 agosto scrive che furono molte di più». Le ricerche di Pavesi, oggetto del saggio che uscirà entro la fine dell'anno, portano ad approfondire la vicenda. Si trattava di due bombe a tempo e la seconda scoppiò pochi minuti dopo la prima, uccidendo chi stava soccorrendo i feriti. Infatti fra le vittime riconosciute ci sono anche persone che abitavano in viale Abruzzi, nelle case vicine al luogo delle esplosioni, come il ragionier Masnata e il droghiere Beltramini. Sottolinea Pavesi: «La perfidia dell'atto consiste nel fatto che gli uccisi e i feriti erano gente del popolo che si trovava attorno a quel camion e al rimorchio tedesco per prendere generi alimentari distribuiti dai tedeschi. Gente con o senza fede politica che aveva un bisogno primario da soddisfare: la fame».Durante il lockdown l'autore ha recuperato la pepita, l'anello mancante della catena. «Grazie all'amico e collaboratore Giovanni Peco, abbiamo trovato nell'archivio dell'Istituto Gramsci di Roma il Bollettino delle azioni dei Gap e delle Sap associati alle Brigate Garibaldi della Lombardia. Era archiviato con una data inesatta, quindi quasi introvabile. Nella cartella Milano e provincia, foglio 011033, c'è tutto, anche la firma di chi ha messo le bombe, i gappisti comunisti del distaccamento Walter, noti per altre eclatanti azioni a Milano, Rho e in valle Olona». Esattamente in quel documento c'è scritto: «Il 6 agosto alle 9 del mattino in corso Sempione una squadra del distaccamento Walter ha fatto saltare un grosso camion tedesco. Il giorno dopo la stessa squadra attaccava in viale Abruzzi un grosso camion tedesco carico di munizioni. I Gap collocavano una bomba sul camion, una sul rimorchio e quindi si ritiravano avvertendo la popolazione di allontanarsi. Questo venne udito da un tedesco che si mise all'inseguimento di un Gap. Il camion con il rimorchio è saltato in aria: due tedeschi uccisi, alcuni feriti. Purtroppo si lamentano morti e feriti fra la popolazione civile». Giovanni Pesce, medaglia d'oro della Resistenza, leader dei Gap (gruppi azione patriottica), capo della scorta di Palmiro Togliatti, ha sempre smentito ogni coinvolgimento.In fondo alla ricerca di una verità obiettiva resta sempre un dilemma: perché le versioni ufficiali di molti storici tendono a nascondere più che a illuminare? Pavesi scuote il capo: «Giampaolo Pansa parlava di “gendarmi della memoria", storici che occultano la verità e riscrivono la Storia a loro piacimento». Infine, una speranza che va oltre il destino di un libro prossimo venturo. «Sarebbe giusto che la commemorazione del 2021 comprendesse anche i nomi e i volti delle vittime civili dimenticate. E che in ricordo di quel sacrificio il Comune di Milano dedichi anche a loro una lapide». Nessuno, mai, ha l'esclusiva della sofferenza.