2023-08-15
Usa 2024: la quarta incriminazione di Trump irrompe nella campagna elettorale
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Un gran giurì di Atlanta ha emesso un’incriminazione contro Donald Trump: si tratta della quarta finora subita dall’ex presidente. E intanto il clima elettorale si fa sempre più rovente. Nella nuova incriminazione, Trump deve in particolare affrontare 13 capi di imputazione. Il caso è quello della presunta interferenza nelle elezioni del 2020 nello Stato della Georgia. Assieme a lui, sono state incriminate altre 18 persone (tra cui Rudy Giuliani e Mark Meadows) per un totale di 41 capi d’imputazione complessivi. Gli imputati dovranno consegnarsi entro il 25 agosto, mentre la procuratrice distrettuale di Fulton County, Fani Willis, ha reso noto di voler avviare il processo entro sei mesi: vale a dire quando le primarie presidenziali repubblicane saranno già iniziate. Delle varie accuse, probabilmente la più grave e potenzialmente pericolosa è quella di aver violato la legge statale della Georgia sul racket: il cosiddetto Rico Act. Entrata in vigore nel 1980, questa normativa è molto più severa dell’omologa a livello federale. Originariamente concepita per contrastare i reati di mafia e delle street gang, nel tempo è stata usata anche per perseguire crimini estranei a queste fattispecie. Gli esperti da tempo si dividono tra chi elogia questa legge per il contrasto alla criminalità e chi, al contrario, la considera troppo ampia. Proprio a causa di questa ampiezza, Trump corre dei seri rischi, anche perché – come sottolineato dal professor Anthony Michael Kreis – questo tipo di accusa spinge solitamente i coimputati a cooperare con le procure. Inoltre, in caso di condanna, Trump - anche qualora tornasse alla Casa Bianca - non potrebbe autoperdonarsi, visto che si tratta di un'incriminazione statale e non federale. Probabilmente il team legale dell'ex presidente sosterrà che era diritto del diretto interessato contestare i risultati elettorali. È in questa direzione che sembrano andare le analisi legali del professor Jonathan Turley (che ha parlato di “criminalizzazione delle controversie elettorali”) e dell’avvocato Alan Dershowitz. “È praticamente la stessa cosa che ho fatto io col professor Lawrence Tribe, e quelli di noi che erano nella squadra di Al Gore”, ha detto Dershowitz. “Stavo rappresentando gli elettori della contea di Palm Beach e dicevamo 'per favore controlla questa contea, controlla quella contea, trova questo voto trova quei voti. Pensiamo che ci siano più voti'”, ha aggiunto, riferendosi alla controversa telefonata di inizio 2021 tra Trump e il segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, in cui l’allora presidente disse: “Tutto quello che voglio fare è questo. Voglio solo trovare 11.780 voti, che è uno in più di quelli che abbiamo. Perché abbiamo vinto lo Stato”. Al di là delle rispettive strategie legali, il nodo è ovviamente politico. Trump ormai deve affrontare complessivamente quasi un centinaio di capi d’imputazione per un totale di oltre 600 anni di galera. Se sul Dipartimento di Giustizia pesano fondati sospetti di doppiopesismo (basta vedere la recente testimonianza dei due informatori dell’Irs sulle sue interferenze nell’indagine relativa a Hunter Biden), le cose non vanno meglio sul piano statale. La procuratrice Willis appartiene al Partito democratico e l’anno scorso è stata rimproverata da un giudice per aver ospitato un evento di fundraising a favore di un candidato locale dem che stava concorrendo contro un repubblicano oggetto della sua stessa inchiesta. Anche il fatto che la procura di Fulton vuole avviare il processo nel pieno delle primarie presidenziali repubblicane è un "dettaglio" che non passa inosservato. È chiaro come tutte queste circostanze rafforzino indirettamente la narrazione trumpista – giusta o sbagliata che sia – di una persecuzione politica. E non è forse un caso che l’ex presidente abbia ripreso a salire nei sondaggi a seguito delle varie incriminazioni subite.
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