- Cibo sintetico, auto elettriche, case risparmiose: l’Unione Europea vuole cambiarci abitudini «per economizzare». Invece si spenderà di più.
- Il presidente di Assoambiente Chicco Testa: «Siamo senza tecnologie e materie prime, diventeremo dipendenti di Cina e Usa. Basta sprecare soldi nel fotovoltaico, meglio investire in centrali a carbone efficienti».
- Il direttore di Unionplast Libero Cantarella: «Normative Ue senza vantaggi ecologici con costi scaricati sui consumatori».
Cibo sintetico, auto elettriche, case risparmiose: l’Unione Europea vuole cambiarci abitudini «per economizzare». Invece si spenderà di più.Il presidente di Assoambiente Chicco Testa: «Siamo senza tecnologie e materie prime, diventeremo dipendenti di Cina e Usa. Basta sprecare soldi nel fotovoltaico, meglio investire in centrali a carbone efficienti».Il direttore di Unionplast Libero Cantarella: «Normative Ue senza vantaggi ecologici con costi scaricati sui consumatori».Lo speciale contiene tre articoliSi fa presto a dire economia verde. Il mondo che immagina Bruxelles e che cerca di imporre a colpi di direttive (nel migliore dei casi) e di regolamenti (quando non vuole interferenze) è molto costoso e si lascia dietro una scia di morti e feriti tra industrie che saranno costrette a chiudere, perdita di posti di lavoro, filiere da riorganizzare e strategie economiche da ridefinire. Anche i meccanismi finora considerati rispettosi dell’ambiente, come il riciclo degli imballaggi, sono rimessi in discussione. Le abitazioni, così come sono state coibentate secondo una sistema di classi energetiche, non vanno più bene, bisogna fare di più. I cibi, in particolare la dieta mediterranea, modello di sana alimentazione, è messa sotto accusa: sulle tavole arriveranno i cibi fatti in laboratorio. Ci sposteremo su auto elettriche molto più costose delle attuali vetture e iper tassate. Saranno sacrifici: ma ne sarà valsa la pena? I dubbi sull’efficacia della politica di transizione ecologica sono molti.Dal 2035 si potranno vendere solo auto elettriche. Al momento per la più economica vettura del genere bisogna mettere in conto una spesa di oltre 20.000 euro. C’è chi è convinto che i costi si ridurranno, ma alcuni indicatori dicono il contrario. Dal 2024 le compagnie di spedizione, anche quelle che trasportano veicoli, pagheranno le emissioni delle navi. Spese che saranno scaricate sui costi di trasporto dei veicoli importati. Gli aiuti finora stanziati per incentivare il ricambio del parco auto sono pochi e limitati nel tempo. In sostanza l’auto elettrica continua a essere un bene di lusso per la maggioranza degli automobilisti. Inoltre, alimentare le auto a corrente anziché a benzina non significa affatto risparmiare, dal momento che probabilmente l’energia sarà sempre più cara. Un interrogativo pesa sulla testa degli automobilisti: fino a quando continueranno gli sgravi all’acquisto, tra incentivi, bollo gratis, parcheggi gratuiti nelle città e ingresso illimitato nelle Ztl? Molto poco. Prima o poi, infatti, anche l’auto verde diventerà un bene da tassare. C’è chi già lo sta facendo. In Norvegia l’auto elettrica rappresenta oltre il 70% delle vendite di vetture, con un crollo del consumo di carburante e conseguente calo degli incassi statali per l’Iva sulla benzina: per ripianare il deficit creatosi sono state introdotte nuove imposte sui veicoli. C’è anche l’ipotesi di tassarli in base al peso. Londra ha già annunciato che dal 2025 pure l’elettrico sarà colpito e Tokyo sta valutando un’imposta in base alla potenza del mezzo. In Italia le accise sui prodotti petroliferi valgono 40 miliardi l’anno: lo stato vi rinuncerà facilmente per fare contenti gli ambientalisti?C’è poi il caso svizzero. Siccome l’inverno particolarmente rigido richiede un alto impiego di energia, si pensa a vietare la circolazione delle vetture elettriche tranne per esigenze lavorative e mediche. Anche da noi, comunque, si comincia a tagliare le agevolazioni: ad Alessandria la giunta di sinistra ha deciso che dal prossimo anno le elettriche non avranno più i permessi di transito e sosta nella Ztl e i parcheggi gratis. Sullo sfondo resta il grande interrogativo se le auto elettriche contribuiscono davvero alla salvaguardia del pianeta. Per esempio, per costruire le batterie serve il nichel che è estratto con processi inquinanti e lo smaltimento dei nuovi motori ancora non si sa come sarà effettuato.Secondo gli ambientalisti gli allevamenti di animali sono tra le principali fonti di inquinamento atmosferico e consumo idrico. Costate e fiorentine dovrebbero lasciare il posto alla bistecca sintetica, fatta in laboratorio. I costi della ricerca scientifica sono elevatissimi: un hamburger staminali oggi costa più di 10 dollari. Queste aziende hanno avviato una potente attività di lobby e comunicazione per convincere i consumatori che la «carne» sintetica o di origine vegetale sia migliore di quella animale.Bruxelles vuole imporre norme più rigorose sulla certificazione energetica degli immobili. A questo si aggiunge l’obbligo di installazione pannelli solari. La prospettiva è un aumento esorbitante dei costi per tutti i proprietari di case. Senza la nuova certificazione, la casa non si potrà mettere a reddito. Quindi né vendere né affittare. Secondo una stima dell’Enea, il 60% degli edifici sono tra la classe G e la F quindi potenzialmente fuori mercato. Ma la batosta non finisce qui. I pannelli fotovoltaici sono costosi. Quelli da 4 chilowatt adatti a una famiglia di 3-4 persone vanno da 7.000 a 13.000 euro. Ma bisogna considerare una spesa extra per accumulatori che consentano di avere energia a disposizione anche quando non splende il sole. Le batterie più economiche sono al nichel (3.000-5.000 euro), quelle al litio sono di qualità superiore ma vanno da 8.000 fino a 15.000 euro. La manutenzione costa circa 400-600 euro l’anno. Si stima che per recuperare l’investimento iniziale occorrano in media tra 5 e 7 anni. Torniamo alla stessa domanda: il sacrificio vale il contributo all’economia più sostenibile? Il mercato dei pannelli è interamente in mano ai cinesi che per estrarre le materie prime usate negli impianti fotovoltaici non usano sistemi di estrazione rispettosi dell’ambiente.Addio riciclo, ora il nuovo diktat è il riuso. La Commissione europea vuole spingere al massimo l’industria del riuso, stravolgendo l’economia circolare organizzata dalle nostre imprese specializzate nel riciclo. La rivoluzione in questo settore porterà inevitabilmente a maggiori costi per i contenitori per liquidi e alimenti, ma anche per gli imballaggi di qualsiasi bene che si scaricheranno sul prodotto finale e sul consumatore.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quanto-ci-costera-il-green-2658948462.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-rivoluzione-verde-condanna-leuropa-a-perdere-le-industrie" data-post-id="2658948462" data-published-at="1670755547" data-use-pagination="False"> «La rivoluzione verde condanna l’Europa a perdere le industrie» «I paesi in via di sviluppo non possono crescere con pannelli fotovoltaici e auto elettriche, che peraltro esigono a loro volta alti consumi di energia, capacità tecnologica e investimenti colossali». Parola di Chicco Testa, ex politico ora dirigente d’azienda con un passato ai vertici di Enel, Acea, Wind e Cispel. Attualmente è presidente di Assoambiente. Europa e Usa insistono sulle energie rinnovabili. «I quattro quinti dell’umanità non fanno parte dei paesi sviluppati. Lo sviluppo economico ha bisogno di ingenti quantità di energia aggiuntiva e in questi contesti il maggiore contributo all’incremento delle emissioni proviene dall’uso del carbone per la produzione di energia. La Cop 27, conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, non ha affrontato questi temi ed è stata l’ennesimo fallimento. Ma davvero si può pensare che la crescita energetica dei paesi possa avvenire con pannelli fotovoltaici, auto elettriche e idrogeno?» Perché questi fallimenti? «È sotto gli occhi di tutti che i risultati sono zero. Negli ultimi 30 anni le emissioni di CO2 nell’atmosfera sono state pari a tutte le emissioni dei secoli precedenti, quindi continuano ad aumentare sia in senso assoluto sia come accumulo. Nel 2030 le emissioni totali europee peseranno per circa il 6/7% e quelle dell’Italia ben meno dell’1%. Chi vive fuori dall’area dei Paesi sviluppati ha bisogno di crescere, quindi di energia. Pertanto le loro emissioni continueranno ad aumentare. La riduzione di CO2 in Europa non compenserà la crescita enorme di questi paesi. Quindi bisogna cambiare la filosofia, con un approccio più realistico. Ad esempio sul carbone». Sul carbone? Il più inquinante? «Il carbone è il massimo colpevole di emissioni, ma è anche il modo più facile e conveniente di produrre energia in grandi quantità in paesi come l’India, dove infatti si realizzano centinaia di queste centrali. Allora, che almeno siano efficienti. Migliorarne l’efficienza significherebbe ridurre la CO2 molto più di quanto noi otteniamo investendo cifre enormi per installare i pannelli fotovoltaici». Quindi finora abbiamo sbagliato tutto? «Dovremmo domandarci come mai abbiamo fallito, cosa bisogna fare, quale strada intraprendere, dal momento che quella finora percorsa non ha dato risultati. Invece si mette la testa sotto la sabbia. È inutile continuare a dire che la Cina è responsabile di una grande quantità di emissioni inquinanti senza tener conto che ha oltre un miliardo di abitanti. I numeri vanno guardati pro capite e allora si scopre che gli americani continuano ad avere emissioni ben superiori a quelle della Cina e dell’India. Bisognerebbe chiedersi quale è il modo più efficiente e meno costoso per ridurre una tonnellata di CO2, dove conviene farlo, quali tecnologie impiegare. Allora si scoprirebbe che i soldi andrebbero investiti quasi tutti in questi paesi in via di sviluppo su tecnologie basiche che consentono di consumare meno energia». Quali sono le tecnologie meno costose? «Io ho dubbi che si possa creare energia in grandi quantità in paesi con 30-40 milioni di abitanti solo con le fonti rinnovabili. Sarebbe importante costruire nuove centrali con efficienze più elevate di cui questi Paesi possono disporre. Va reimpostata tutta la questione». C’è il rischio che si vada a una deindustrializzazione finendo per dipendere da Paesi cui non interessa il rispetto dell’ambiente? «È un rischio europeo. L’Europa purtroppo è priva di tecnologie. Siamo grandi realizzatori di impianti di fonti rinnovabili ma importiamo pannelli a tutto spiano dalla Cina. Spingiamo per l’auto elettrica ma non abbiamo industrie per la realizzazione di batterie perché i grandi costruttori sono gli Stati Uniti e la Cina. Abbiamo problemi di dipendenza di materie prime come le terre rare e i metalli, a cominciare dal litio, che sono fondamentali per queste tecnologie. Mi pare che affrontiamo tutta la questione in modo poco accorto e poco lungimirante». C’è una certa superficialità e scarsa visione nella politica di transizione ecologica di Bruxelles? «A Bruxelles c’è un signore che si chiama Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che ha scelto in maniera ideologica di diventare il leader della transizione ecologica ma tenendo in scarsa considerazione i dati della realtà e le evidenze scientifiche». Dietro ci sono anche lobby industriali che premono, oltre all’ambientalismo ideologico? «Le lobby industriali ci sono ovunque, stanno dietro a ogni scelta. Timmermans ha scelto una parte di queste che è minoritaria». Il nucleare può considerarsi archiviato? «Abbiamo bisogno di energia che produca in modo continuo e l’unica fonte che ha emissione zero è il nucleare. Noi non potremmo mai arrivare all’obiettivo zero emissioni se non mettiamo in campo il nucleare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quanto-ci-costera-il-green-2658948462.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="vogliono-affossare-litalia-leader-del-riciclo" data-post-id="2658948462" data-published-at="1670755547" data-use-pagination="False"> «Vogliono affossare l’Italia leader del riciclo» «Forse l’Europa pensa a un mondo in cui usciremo dal supermercato con le fette di prosciutto in mano e la pasta sfusa sotto il braccio». Secondo Libero Cantarella, direttore di Unionplast, l’Unione dei trasformatori della plastica, è la direzione in cui va il regolamento proposto dalla Commissione Ue sugli imballaggi con cui Bruxelles ridisegna il sistema di economia circolare creato in 25 anni e che ha conseguito risultati importanti. Quali le conseguenze per le industrie? «Significa riorganizzare tutta la filiera. L’Europa chiede non solo di riutilizzare i contenitori di plastica - mi chiedo con quali garanzie di igiene - ma anche di utilizzare plastica riciclata per produrre gli imballaggi per alimenti. Cosa al momento impossibile perché è lo stesso normatore europeo che che lo vieta». E per i consumatori? «I costi della riorganizzazione arriveranno anche al consumatore finale. Ma ci sarà un maggiore spreco di alimenti che, non potendo essere conservati adeguatamente, andranno persi. Potrebbe esserci anche un ridimensionamento degli acquisti legati a diversi stili di vita: si andrà meno a fare la spesa. La stessa Commissione, nella valutazione di impatto, afferma che i soli costi amministrativi annui aggiuntivi - determinati dalle nuove norme - sono pari a 1,3 miliardi di euro e deriveranno dalla certificazione della riciclabilità degli imballaggi e del contenuto di materiale riciclato negli imballaggi in plastica. E sono solo due aspetti dei nuovi adempimenti». Una sorta di decrescita ma poco felice? «Mi sembra questa la direzione. Ma mi chiedo con quali vantaggi sull’ambiente. Cina e India, che hanno pochissimi vincoli ambientali, continuano a produrre come prima. Ma soprattutto ciò che non convince è la mancanza di basi oggettive e scientifiche nel regolamentare in maniera unidirezionale una materia che peraltro presenta specificità importanti nei singoli paesi membri dell’Ue». Avete stimato i danni? «Si tratta di una “probatio diabolica”: come quantificare il danno di un settore quale quello della produzione di imballaggi che serve trasversalmente numerosissime filiere, dall’alimentare alla moda? Il settore degli imballaggi in plastica conta 50.000 addetti impegnati in 3.000 imprese che generano un fatturato di 15 miliardi di euro l’anno. E poi bisogna calcolare i danni a valle della nostra filiera. È un sistema che ora rischia grosso». Che ne sarà dei fondi del Pnrr destinati a estendere il riciclo? «Bella domanda. E rischia di fermarsi anche la ricerca di nuove tecnologie: senza certezze sulla possibilità di un’applicazione industriale, anche le sperimentazioni si bloccano. Per dare un’idea di come l’Italia sia avanti anche nella ricerca sul riciclo, basti pensare che l’Istituto per la promozione delle plastiche da riciclo ha portato a certificare più di 7.000 prodotti che incorporano mediamente il 70% di plastiche riciclate. Solo in Italia, oltre un milione di tonnellate di plastiche riciclate incorporate in nuovi prodotti». Ma gli altri Paesi non hanno reagito? «La risposta dell’industria europea è stata molto forte, tanto che la Commissione ha dovuto fare più di un comunicato stampa per frenare le reazioni, ma ha comunque pubblicato la proposta ufficiale di regolamento. Agli organi legislativi europei spetteranno i prossimi passaggi e speriamo di poterli emendare».
Marco Minniti (Ansa)
L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Il panel dell’evento de La Verità, moderato dal vicedirettore Giuliano Zulin, ha affrontato il tema cruciale della finanza sostenibile con Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi.
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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2025-09-15
Pichetto Fratin: «Auto elettriche, l’Ue sbaglia. Così scarica i costi sugli europei»
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Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il ministro dell’Ambiente attacca Bruxelles: «Il vincolo del 2035 è una scelta ideologica, non scientifica». Sul tema bollette, precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti».
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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