- Cibo sintetico, auto elettriche, case risparmiose: l’Unione Europea vuole cambiarci abitudini «per economizzare». Invece si spenderà di più.
- Il presidente di Assoambiente Chicco Testa: «Siamo senza tecnologie e materie prime, diventeremo dipendenti di Cina e Usa. Basta sprecare soldi nel fotovoltaico, meglio investire in centrali a carbone efficienti».
- Il direttore di Unionplast Libero Cantarella: «Normative Ue senza vantaggi ecologici con costi scaricati sui consumatori».
Cibo sintetico, auto elettriche, case risparmiose: l’Unione Europea vuole cambiarci abitudini «per economizzare». Invece si spenderà di più.Il presidente di Assoambiente Chicco Testa: «Siamo senza tecnologie e materie prime, diventeremo dipendenti di Cina e Usa. Basta sprecare soldi nel fotovoltaico, meglio investire in centrali a carbone efficienti».Il direttore di Unionplast Libero Cantarella: «Normative Ue senza vantaggi ecologici con costi scaricati sui consumatori».Lo speciale contiene tre articoliSi fa presto a dire economia verde. Il mondo che immagina Bruxelles e che cerca di imporre a colpi di direttive (nel migliore dei casi) e di regolamenti (quando non vuole interferenze) è molto costoso e si lascia dietro una scia di morti e feriti tra industrie che saranno costrette a chiudere, perdita di posti di lavoro, filiere da riorganizzare e strategie economiche da ridefinire. Anche i meccanismi finora considerati rispettosi dell’ambiente, come il riciclo degli imballaggi, sono rimessi in discussione. Le abitazioni, così come sono state coibentate secondo una sistema di classi energetiche, non vanno più bene, bisogna fare di più. I cibi, in particolare la dieta mediterranea, modello di sana alimentazione, è messa sotto accusa: sulle tavole arriveranno i cibi fatti in laboratorio. Ci sposteremo su auto elettriche molto più costose delle attuali vetture e iper tassate. Saranno sacrifici: ma ne sarà valsa la pena? I dubbi sull’efficacia della politica di transizione ecologica sono molti.Dal 2035 si potranno vendere solo auto elettriche. Al momento per la più economica vettura del genere bisogna mettere in conto una spesa di oltre 20.000 euro. C’è chi è convinto che i costi si ridurranno, ma alcuni indicatori dicono il contrario. Dal 2024 le compagnie di spedizione, anche quelle che trasportano veicoli, pagheranno le emissioni delle navi. Spese che saranno scaricate sui costi di trasporto dei veicoli importati. Gli aiuti finora stanziati per incentivare il ricambio del parco auto sono pochi e limitati nel tempo. In sostanza l’auto elettrica continua a essere un bene di lusso per la maggioranza degli automobilisti. Inoltre, alimentare le auto a corrente anziché a benzina non significa affatto risparmiare, dal momento che probabilmente l’energia sarà sempre più cara. Un interrogativo pesa sulla testa degli automobilisti: fino a quando continueranno gli sgravi all’acquisto, tra incentivi, bollo gratis, parcheggi gratuiti nelle città e ingresso illimitato nelle Ztl? Molto poco. Prima o poi, infatti, anche l’auto verde diventerà un bene da tassare. C’è chi già lo sta facendo. In Norvegia l’auto elettrica rappresenta oltre il 70% delle vendite di vetture, con un crollo del consumo di carburante e conseguente calo degli incassi statali per l’Iva sulla benzina: per ripianare il deficit creatosi sono state introdotte nuove imposte sui veicoli. C’è anche l’ipotesi di tassarli in base al peso. Londra ha già annunciato che dal 2025 pure l’elettrico sarà colpito e Tokyo sta valutando un’imposta in base alla potenza del mezzo. In Italia le accise sui prodotti petroliferi valgono 40 miliardi l’anno: lo stato vi rinuncerà facilmente per fare contenti gli ambientalisti?C’è poi il caso svizzero. Siccome l’inverno particolarmente rigido richiede un alto impiego di energia, si pensa a vietare la circolazione delle vetture elettriche tranne per esigenze lavorative e mediche. Anche da noi, comunque, si comincia a tagliare le agevolazioni: ad Alessandria la giunta di sinistra ha deciso che dal prossimo anno le elettriche non avranno più i permessi di transito e sosta nella Ztl e i parcheggi gratis. Sullo sfondo resta il grande interrogativo se le auto elettriche contribuiscono davvero alla salvaguardia del pianeta. Per esempio, per costruire le batterie serve il nichel che è estratto con processi inquinanti e lo smaltimento dei nuovi motori ancora non si sa come sarà effettuato.Secondo gli ambientalisti gli allevamenti di animali sono tra le principali fonti di inquinamento atmosferico e consumo idrico. Costate e fiorentine dovrebbero lasciare il posto alla bistecca sintetica, fatta in laboratorio. I costi della ricerca scientifica sono elevatissimi: un hamburger staminali oggi costa più di 10 dollari. Queste aziende hanno avviato una potente attività di lobby e comunicazione per convincere i consumatori che la «carne» sintetica o di origine vegetale sia migliore di quella animale.Bruxelles vuole imporre norme più rigorose sulla certificazione energetica degli immobili. A questo si aggiunge l’obbligo di installazione pannelli solari. La prospettiva è un aumento esorbitante dei costi per tutti i proprietari di case. Senza la nuova certificazione, la casa non si potrà mettere a reddito. Quindi né vendere né affittare. Secondo una stima dell’Enea, il 60% degli edifici sono tra la classe G e la F quindi potenzialmente fuori mercato. Ma la batosta non finisce qui. I pannelli fotovoltaici sono costosi. Quelli da 4 chilowatt adatti a una famiglia di 3-4 persone vanno da 7.000 a 13.000 euro. Ma bisogna considerare una spesa extra per accumulatori che consentano di avere energia a disposizione anche quando non splende il sole. Le batterie più economiche sono al nichel (3.000-5.000 euro), quelle al litio sono di qualità superiore ma vanno da 8.000 fino a 15.000 euro. La manutenzione costa circa 400-600 euro l’anno. Si stima che per recuperare l’investimento iniziale occorrano in media tra 5 e 7 anni. Torniamo alla stessa domanda: il sacrificio vale il contributo all’economia più sostenibile? Il mercato dei pannelli è interamente in mano ai cinesi che per estrarre le materie prime usate negli impianti fotovoltaici non usano sistemi di estrazione rispettosi dell’ambiente.Addio riciclo, ora il nuovo diktat è il riuso. La Commissione europea vuole spingere al massimo l’industria del riuso, stravolgendo l’economia circolare organizzata dalle nostre imprese specializzate nel riciclo. La rivoluzione in questo settore porterà inevitabilmente a maggiori costi per i contenitori per liquidi e alimenti, ma anche per gli imballaggi di qualsiasi bene che si scaricheranno sul prodotto finale e sul consumatore.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quanto-ci-costera-il-green-2658948462.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-rivoluzione-verde-condanna-leuropa-a-perdere-le-industrie" data-post-id="2658948462" data-published-at="1670755547" data-use-pagination="False"> «La rivoluzione verde condanna l’Europa a perdere le industrie» «I paesi in via di sviluppo non possono crescere con pannelli fotovoltaici e auto elettriche, che peraltro esigono a loro volta alti consumi di energia, capacità tecnologica e investimenti colossali». Parola di Chicco Testa, ex politico ora dirigente d’azienda con un passato ai vertici di Enel, Acea, Wind e Cispel. Attualmente è presidente di Assoambiente. Europa e Usa insistono sulle energie rinnovabili. «I quattro quinti dell’umanità non fanno parte dei paesi sviluppati. Lo sviluppo economico ha bisogno di ingenti quantità di energia aggiuntiva e in questi contesti il maggiore contributo all’incremento delle emissioni proviene dall’uso del carbone per la produzione di energia. La Cop 27, conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, non ha affrontato questi temi ed è stata l’ennesimo fallimento. Ma davvero si può pensare che la crescita energetica dei paesi possa avvenire con pannelli fotovoltaici, auto elettriche e idrogeno?» Perché questi fallimenti? «È sotto gli occhi di tutti che i risultati sono zero. Negli ultimi 30 anni le emissioni di CO2 nell’atmosfera sono state pari a tutte le emissioni dei secoli precedenti, quindi continuano ad aumentare sia in senso assoluto sia come accumulo. Nel 2030 le emissioni totali europee peseranno per circa il 6/7% e quelle dell’Italia ben meno dell’1%. Chi vive fuori dall’area dei Paesi sviluppati ha bisogno di crescere, quindi di energia. Pertanto le loro emissioni continueranno ad aumentare. La riduzione di CO2 in Europa non compenserà la crescita enorme di questi paesi. Quindi bisogna cambiare la filosofia, con un approccio più realistico. Ad esempio sul carbone». Sul carbone? Il più inquinante? «Il carbone è il massimo colpevole di emissioni, ma è anche il modo più facile e conveniente di produrre energia in grandi quantità in paesi come l’India, dove infatti si realizzano centinaia di queste centrali. Allora, che almeno siano efficienti. Migliorarne l’efficienza significherebbe ridurre la CO2 molto più di quanto noi otteniamo investendo cifre enormi per installare i pannelli fotovoltaici». Quindi finora abbiamo sbagliato tutto? «Dovremmo domandarci come mai abbiamo fallito, cosa bisogna fare, quale strada intraprendere, dal momento che quella finora percorsa non ha dato risultati. Invece si mette la testa sotto la sabbia. È inutile continuare a dire che la Cina è responsabile di una grande quantità di emissioni inquinanti senza tener conto che ha oltre un miliardo di abitanti. I numeri vanno guardati pro capite e allora si scopre che gli americani continuano ad avere emissioni ben superiori a quelle della Cina e dell’India. Bisognerebbe chiedersi quale è il modo più efficiente e meno costoso per ridurre una tonnellata di CO2, dove conviene farlo, quali tecnologie impiegare. Allora si scoprirebbe che i soldi andrebbero investiti quasi tutti in questi paesi in via di sviluppo su tecnologie basiche che consentono di consumare meno energia». Quali sono le tecnologie meno costose? «Io ho dubbi che si possa creare energia in grandi quantità in paesi con 30-40 milioni di abitanti solo con le fonti rinnovabili. Sarebbe importante costruire nuove centrali con efficienze più elevate di cui questi Paesi possono disporre. Va reimpostata tutta la questione». C’è il rischio che si vada a una deindustrializzazione finendo per dipendere da Paesi cui non interessa il rispetto dell’ambiente? «È un rischio europeo. L’Europa purtroppo è priva di tecnologie. Siamo grandi realizzatori di impianti di fonti rinnovabili ma importiamo pannelli a tutto spiano dalla Cina. Spingiamo per l’auto elettrica ma non abbiamo industrie per la realizzazione di batterie perché i grandi costruttori sono gli Stati Uniti e la Cina. Abbiamo problemi di dipendenza di materie prime come le terre rare e i metalli, a cominciare dal litio, che sono fondamentali per queste tecnologie. Mi pare che affrontiamo tutta la questione in modo poco accorto e poco lungimirante». C’è una certa superficialità e scarsa visione nella politica di transizione ecologica di Bruxelles? «A Bruxelles c’è un signore che si chiama Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che ha scelto in maniera ideologica di diventare il leader della transizione ecologica ma tenendo in scarsa considerazione i dati della realtà e le evidenze scientifiche». Dietro ci sono anche lobby industriali che premono, oltre all’ambientalismo ideologico? «Le lobby industriali ci sono ovunque, stanno dietro a ogni scelta. Timmermans ha scelto una parte di queste che è minoritaria». Il nucleare può considerarsi archiviato? «Abbiamo bisogno di energia che produca in modo continuo e l’unica fonte che ha emissione zero è il nucleare. Noi non potremmo mai arrivare all’obiettivo zero emissioni se non mettiamo in campo il nucleare». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quanto-ci-costera-il-green-2658948462.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="vogliono-affossare-litalia-leader-del-riciclo" data-post-id="2658948462" data-published-at="1670755547" data-use-pagination="False"> «Vogliono affossare l’Italia leader del riciclo» «Forse l’Europa pensa a un mondo in cui usciremo dal supermercato con le fette di prosciutto in mano e la pasta sfusa sotto il braccio». Secondo Libero Cantarella, direttore di Unionplast, l’Unione dei trasformatori della plastica, è la direzione in cui va il regolamento proposto dalla Commissione Ue sugli imballaggi con cui Bruxelles ridisegna il sistema di economia circolare creato in 25 anni e che ha conseguito risultati importanti. Quali le conseguenze per le industrie? «Significa riorganizzare tutta la filiera. L’Europa chiede non solo di riutilizzare i contenitori di plastica - mi chiedo con quali garanzie di igiene - ma anche di utilizzare plastica riciclata per produrre gli imballaggi per alimenti. Cosa al momento impossibile perché è lo stesso normatore europeo che che lo vieta». E per i consumatori? «I costi della riorganizzazione arriveranno anche al consumatore finale. Ma ci sarà un maggiore spreco di alimenti che, non potendo essere conservati adeguatamente, andranno persi. Potrebbe esserci anche un ridimensionamento degli acquisti legati a diversi stili di vita: si andrà meno a fare la spesa. La stessa Commissione, nella valutazione di impatto, afferma che i soli costi amministrativi annui aggiuntivi - determinati dalle nuove norme - sono pari a 1,3 miliardi di euro e deriveranno dalla certificazione della riciclabilità degli imballaggi e del contenuto di materiale riciclato negli imballaggi in plastica. E sono solo due aspetti dei nuovi adempimenti». Una sorta di decrescita ma poco felice? «Mi sembra questa la direzione. Ma mi chiedo con quali vantaggi sull’ambiente. Cina e India, che hanno pochissimi vincoli ambientali, continuano a produrre come prima. Ma soprattutto ciò che non convince è la mancanza di basi oggettive e scientifiche nel regolamentare in maniera unidirezionale una materia che peraltro presenta specificità importanti nei singoli paesi membri dell’Ue». Avete stimato i danni? «Si tratta di una “probatio diabolica”: come quantificare il danno di un settore quale quello della produzione di imballaggi che serve trasversalmente numerosissime filiere, dall’alimentare alla moda? Il settore degli imballaggi in plastica conta 50.000 addetti impegnati in 3.000 imprese che generano un fatturato di 15 miliardi di euro l’anno. E poi bisogna calcolare i danni a valle della nostra filiera. È un sistema che ora rischia grosso». Che ne sarà dei fondi del Pnrr destinati a estendere il riciclo? «Bella domanda. E rischia di fermarsi anche la ricerca di nuove tecnologie: senza certezze sulla possibilità di un’applicazione industriale, anche le sperimentazioni si bloccano. Per dare un’idea di come l’Italia sia avanti anche nella ricerca sul riciclo, basti pensare che l’Istituto per la promozione delle plastiche da riciclo ha portato a certificare più di 7.000 prodotti che incorporano mediamente il 70% di plastiche riciclate. Solo in Italia, oltre un milione di tonnellate di plastiche riciclate incorporate in nuovi prodotti». Ma gli altri Paesi non hanno reagito? «La risposta dell’industria europea è stata molto forte, tanto che la Commissione ha dovuto fare più di un comunicato stampa per frenare le reazioni, ma ha comunque pubblicato la proposta ufficiale di regolamento. Agli organi legislativi europei spetteranno i prossimi passaggi e speriamo di poterli emendare».
Ansa
Scontri con la polizia, pietra ferisce una giornalista di Rainews. Polemiche per le frasi dell’inviato Tg3. Gli azzurri vincono 3-0.
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Il tasso di indigenza assoluta nelle famiglie composte esclusivamente da stranieri è salito al 35,2%, mentre è leggermente calato al 6,2% nei nuclei di soli italiani. Stiamo aprendo le porte a chi, invece di pagarci in futuro la previdenza, ha bisogno di assistenza.