2021-10-24
Quante mascherine «molto pericolose» sono ancora in giro? Il commissario tace
Nessuna comunicazione dopo il sequestro dei dispositivi fallati. Dubbi anche sulle verifiche delle certificazioni per le protezioni.Piero Amara, il giallo dei verbali fantasma. Secondo il Fatto le carte circolavano già prima della consegna di Paolo Storari a Piercamillo Davigo Ma la versione delle foto ai documenti firmati torna utile solo a scagionare Piercamillo.Lo speciale comprende due articoli.Quando una società scopre di avere distribuito per errore un prodotto difettoso, non lascia chi lo utilizza al proprio destino. Oltre a fermarne la distribuzione, avvia una campagna di comunicazione per informare gli utenti finali del prodotto. Vale per i giocattoli, come per i mobili in scatola di montaggio, come per generi alimentari, i farmaci, le automobili. Gli aerei sospettati di essere a rischio di incidente vengono fatti rimanere a terra. Ma a quanto pare il principio di precauzione non vale per le mascherine «molto pericolose» distribuite dalla struttura commissariale per l'emergenza Covid. A quasi una settimana di distanza dalla notizia del sequestro da parte della Procura di Roma dell'intero stock residuo della maxi commessa da 801 milioni mascherine cinesi, dagli uffici del commissario non è stata diramata nessuna comunicazione pubblica. Senza l'intervento della Procura di Gorizia, che ha iniziato a togliere di circolazione le mascherine killer fin da febbraio, tutti i dispositivi a rischio sarebbero rimasti in distribuzione per altri sei mesi. La Guardia di finanza della città friulana al termine delle operazioni svolte nel marzo scorso comunicò quanto segue: «Grazie anche alla collaborazione offerta dall'attuale staff del commissario per l'emergenza è stato possibile sequestrare oggi oltre 60 milioni di Dpi (poi saliti a 65 nei giorni successivi, ndr), ovvero mascherine facciali, ancora giacenti presso depositi ubicati su tutto il territorio nazionale e in attesa d'essere distribuiti. Queste mascherine facciali costituiscono il residuo di forniture per circa 250 milioni di pezzi ereditato dalla precedente gestione della struttura per l'emergenza». Dunque, prima dell'intervento delle Fiamme gialle, nei depositi erano ferme mascherine pari ad oltre un quarto della maxi commessa intermediata da Mario Benotti e gli altri broker. Il sequestro disposto dai magistrati goriziani riguarda mascherine di 11 produttori, di cui 8 riconducibili alla commessa portata in Italia dalla struttura commissariale attraverso i mediatori. Ad aprile, dopo la notizia dei primi sequestri, si era mossa anche la Procura di Roma, che aveva chiesto agli uffici del commissario un censimento dei dispositivi residui. Ricevendo come risposta che, al 12 aprile, giacevano ancora in magazzino 161 milioni di mascherine non conformi, di cui molte stipate nei centri logistici di Lombardia, Piemonte e Lazio di Sda, il corriere di proprietà di Poste italiane. Di quelle più pericolose ne erano rimaste soltanto 2,8 milioni circa, su un totale arrivato in Italia, e ricostruito dalla Verità, di 74 milioni. Nel frattempo i finanzieri di Gorizia hanno continuato l'opera di recupero del materiale non conforme e il 6 maggio hanno diramato questo ulteriore comunicato: «L'attività nel suo complesso ha permesso di sequestrare circa 115 milioni (saliti poi a 121, ndr) di Dpi pericolosi che l'analisi della documentazione acquisita ha consentito di stimare nel valore in circa 300 milioni di euro, nonché di condurre alle responsabilità penali dei rappresentanti legali delle società fornitrici della struttura commissariale». Quindi a maggio risultava posto sotto sequestro un numero di Dpi pari alla metà dei 250 milioni di mascherine residue calcolate dagli inquirenti di Gorizia all'inizio della loro operazione. Quante di queste erano riconducibili alla commessa intermediata da Benotti & C.? Quante ne erano disponibili quando sono iniziati i sequestri? Quante erano quelle facenti parte dei lotti di Ffp2 dei produttori che i test svolti dalla Fonderia Mestieri di Torino per conto della Procura di Gorizia hanno classificato come «molto pericolose?» Quante mascherine uscite da quelle fabbriche sono state distribuite e dove? Negli ospedali? Nei reparti di terapia intensiva? Nelle Rsa? Potrebbero essercene ancora sfuggite ai sequestri e ai richiami? Nelle strutture in cui sono state distribuite c'è stato un numero di contagi superiore alla media di quelli avvenuti in altre realtà dello stesso tipo? In caso di processo per l'ipotesi di reato di frode in pubbliche forniture, la struttura commissariale intende costituirsi parte civile? O teme invece di essere chiamata in causa, visto che sono stati pagati e distribuiti decine di milioni di dispositivi che, da contratto, quello sottoscritto il 6 aprile 2020 con la Wenzhou light industrial, dovevano essere consegnati corredati delle certificazioni Ce, ottenibili solo attraverso test effettuati in un laboratorio accreditato? Certificazioni che invece non c'erano, tanto che le mascherine killer, tutte riconducibili a quella commessa, sono state validate in deroga alle norme vigenti dal Cts. Nel decreto di sequestro la Procura di Roma spiega come «una considerevole porzione dell'intera fornitura sia stata validata sulla base della sistematica sostituzione dei test-report, i quali, inizialmente, le accompagnavano (e che sono risultati, a volte, non riconducibili all'apparente istituto emittente […] a volte, in sé inidonei, per carenza dei requisiti) con altri» e che i report inviati successivamente erano «privi di alcuna garanzia di veridicità». È successo anche con le mascherine killer? Secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità, dall'inizio dell'epidemia al 24 febbraio 2021, si erano registrati 122.717 casi confermati di operatori sanitari contagiati di cui 288 avevano poi perso la vita. È prima di tutto a loro che sono dovute le risposte le domande del nostro giornale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quante-mascherine-molto-pericolose-sono-ancora-in-giro-il-commissario-tace-2655353415.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="amara-il-giallo-dei-verbali-fantasma" data-post-id="2655353415" data-published-at="1635029145" data-use-pagination="False"> Amara, il giallo dei verbali fantasma Con rettifica del 22 ottobre 2021 l'Eni ha preannunciato azioni legali nei confronti del Fatto Quotidiano poiché si sarebbe «reso portavoce di calunnie e falsità» con la pubblicazione dell'articolo «Agende ritoccate. La frase non arrivò al pm del caso Eni», secondo cui il dirigente Eni Claudio Granata avrebbe incontrato il faccendiere Piero Amara e il sodale Vincenzo Armanna per «aggiustare» la testimonianza di quest'ultimo nel processo Opl 245, salvo poi modificare la propria agenda per non fare risultare l'incontro, ribattezzato da Amara come «il patto della Rinascente». È chiaro che per il quotidiano le sentenze di assoluzione della Corte di appello e del Tribunale di Milano non debbono essere risultate convincenti poiché continuano a perorare le tesi dell'accusa anche laddove si basano sulle dichiarazioni del controverso faccendiere Amara. L'Eni ha inteso precisare che le indagini hanno accertato come «falso storico» quel presunto patto e ciò risulta non solo dall'agenda di Granata, ma anche da altre prove raccolte dai pm. In ogni caso l'articolo del 22 ottobre addossa al pm Paolo Storari la responsabilità di avere sottaciuto elementi favorevoli all'accusa rappresentata da Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, e segue e precede altri articoli dello stesso tenore che tendono a individuare proprio in Storari colui che, anche prima dell'aprile 2020, avrebbe fatto circolare i verbali di Amara con l'intenzione di danneggiare l'indagine che invece il procuratore Francesco Greco e l'aggiunto Laura Pedio volevano svolgere nella più assoluta segretezza tanto da non iscrivere alcun indagato. Così il 20 ottobre 2021 viene pubblicato l'articolo: «Date incontri e colloqui. Storari parla e accusa, ma non tutto torna» nel quale si ipotizza che Storari non abbia detto la verità ai pm di Brescia sulla data della consegna dei verbali a Piercamillo Davigo. Sullo stesso argomento il giorno successivo Il Fatto pubblica: «Amara: i verbali usciti due mesi prima che li ricevesse Davigo» dove si legge: «I documenti sono nove, circolavano già all'inizio del 2020 prima che Storari li consegnasse (in questo caso solo sei, ndr) a Davigo. E continuano a girare». Anche perché, ci viene da dire, le Procure di Milano, Roma e Perugia nulla hanno fatto per impedirlo tanto che non li hanno sequestrati neppure ai giornalisti che li avevano ricevuti da un anonimo corvo. Nello stesso articolo l'inviato Antonio Massari fa sapere di avere visionato i nove verbali «non in formato word, firmati dai pm dall'indagato, dal suo avvocato», mentre quelli consegnati da Storari a Davigo ad aprile 2020 sono in formato word e non firmati. L'autore dell'articolo aggiunge anche che non è stato né un pm, né un investigatore a farglieli vedere, ma che questi nove verbali sottoscritti «erano altrove» senz'altro aggiungere se non un «indizio» per il lettore: Armanna, durante un interrogatorio del febbraio 2020 davanti a Storari e alla Pedio, sventola un «foglietto» che Storari nell'interrogatorio a Brescia descrive come «una pagina dell'interrogatorio dell'11 gennaio 2020 di Piero Amara dove si parla di Ungheria» che, ancora una volta, non viene sequestrato e quindi si «lascia in circolazione». Armanna fa, però, il nome di Filippo Paradiso che viene perquisito senza esito. Il Fatto quotidiano mostra anche un paio di foto: ritraggono due pagine dei suddetti verbali. Sono «lavorati», cioè chiosati e sottolineati. In una delle immagini si vedono i simboli dello schermo di un pc. Probabilmente quello di uno dei pm. Chi ha fatto quelle istantanee e le ha fatte girare? È stato uno degli indagati durante uno degli interrogatori? Lo ha potuto fare perché uno dei magistrati ha chiuso un occhio, favorendo così la fuga di notizie? Da tale incastro Massari arguisce che già nel febbraio del 2020, momento in cui Armanna sventola il verbale, tutti i nove verbali, timbrati e sottoscritti, fossero già «in circolazione» e quindi Davigo non può che essere ritenuto innocente avendo divulgato ciò che di fatto era già pubblico da oltre due mesi e che le tre Procure interessate non hanno mai fatto sequestrare. A noi viene da dire: cui prodest? Amara e Armanna non avrebbero potuto rivelare quanto raccontato ai pm senza bisogno di fotografare lo schermo del pc? E quante pagine immortalate di nascosto sono state divulgate? Noi possiamo testimoniare che a fine aprile su alcune chat di giornalisti ha iniziato a girare una versione del verbale reso da Amara il 6 dicembre 2019 senza firme e al Fatto e alla Repubblica nei mesi precedenti erano arrivate copie simili. Insomma la vera fuga di notizie è avvenuta con verbali uguali a quelli consegnati ad aprile del 2020 da Storari a Davigo. Il resto sono elucubrazioni.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)