2024-09-12
Pure la Federico II la smentisce: «Non risulta tra i nostri docenti»
Maria Rosaria Boccia (iStock)
L’ateneo è intervenuto pubblicamente dopo lo scoop della «Verità» sulla falsa laurea.Dopo lo scoop de La Verità sulla falsa laurea e sul curriculum traballante pubblicato su Linkedin da Maria Rosaria Boccia, l’imprenditrice di Pompei mancata consulente dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che sul suo profilo Linkedin dichiara di avere conseguito nel 2005 all’Università Parthenope di Napoli, è arrivata da uno dei più prestigiosi atenei italiani un’ulteriore smentita al suo curriculum. L’Università Federico II di Napoli ha infatti fatto sapere all’agenzia di stampa Ansa che la Boccia non è titolare di nessuna cattedra o ruolo di assistenza a docenti all’università Federico II di Napoli, a differenza di quanto riportato sul suo account Linkedin, dove scrive di essere «docente universitario» di «Scienze della comunicazione e media digitali» del master in medicina estetica per l’anno accademico 2024/2025. Nella risposta all’Ansa la Federico II non ha lasciato margine di equivoco: «Non risulta alcuna docente o ricercatrice a nome di Maria Rosaria Boccia alle dipendenze né risulta alcuna documentazione attestante lo svolgimento di servizio di assistenza docenti, né, infine, risulta la stipula con l’ateneo di contratti di docenza». Ieri avevamo riportato anche la presunta docenza, insieme al chiarimento del professor Francesco D’Andrea, direttore del master, che aveva definito una «leggerezza» l’aver firmato un «attestato di docenza» dopo che «la dottoressa Boccia si era proposta come docente, […] ed io avevo pensato che fosse opportuno dare seguito alla sua richiesta» Il professore aveva anche precisato che «a quell’attestato non è seguito alcun incarico». Adesso, su questa ricostruzione è arrivato il sigillo ufficiale dell’ateneo. La docenza «fantasma» però figura ancora sulla pagina Linkedin della Boccia, così come campeggia ancora la laurea inesistente in economia aziendale che l’imprenditrice dichiara di aver conseguito nel 2005 presso l’Università degli Studi di Napoli Parthenope. In realtà, come abbiamo raccontato ieri, il 2005 è l’anno di iscrizione della donna, che secondo la documentazione che La Verità ha avuto modo di visionare, la Boccia ha frequentato l’ateneo del capoluogo campano con risultati ben lontani dal completare il percorso di studi. Cosa che farà poi nel 2023, in un diverso ateneo, l’Università telematica Pegaso, dove si era iscritta nel 2018 e dove le sono stati riconosciuti come validi 7 dei 19 esami (su un totale di 31 previsti dal corso di laurea) che aveva superato alla Parthenope. Da un’autocertificazione che La Verità ha visionato, relativa all’iscrizione della Boccia al terzo anno (2007/2008) del corso di laurea della Parthenope, emerge che l’imprenditrice era abbondantemente fuori corso. Già nel primo anno, infatti emerge un esame ancora da conseguire tra i 10 previsti, quello di economia e gestione delle imprese. E anche i voti non erano brillantissimi. Quattro esami risultano superati con 18, ovvero il voto minimo: istituzioni di diritto pubblico, diritto privato, macroeconomia. Dal documento, tra i 12 esami del secondo anno ne risultano superati solo 7: politica economica, programmazione e controllo, organizzazione aziendale, microeconomia, analisi di architetture per il turismo, scienze merceologiche, economia degli intermediari finanziari. Nel terzo anno, l’autocertificazione mostra un solo esame superato, letterature e culture francofone, e 10 esami che riportano solo la frequenza delle lezioni. Come detto, la Boccia conseguirà poi la laurea all’Università telematica Pegaso, portando in dote gli esami sostenuti alla Parthenope, anche se non tutti risultano essere stati riconosciuti, probabilmente per alcune differenze sull’insegnamento tra i due corsi di laurea. Su 19 esami, infatti, solo 7 sarebbero stati «convalidabili», con un ottavo che richiedeva di essere «integrato». Gli altri 12 erano invece da sostenere interamente.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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