2019-08-27
Il Carneade miracolato dalle offese al Capitano
Il presidente interrompe in anticipo la passerella a Biarritz (nella quale si è portato anche il figlio) e si precipita a Roma. L'ultimo gesto di protagonismo di chi è passato da Carneade a salvatore. Parigi e Berlino si dividono l'Africa. Al G7, finito ieri, solo lodi per Giuseppe Conte. Ma l'Italia è stata esclusa dai summit fra Angela Merkel ed Emmanuel Macron sul Sahel, la regione da cui passano i migranti diretti in Libia. Lo speciale comprende due articoli. Grazie a Giuseppe Conte, forse, uno o due motti millenari dovranno essere messi da parte, sostituiti, aggiornati: non si dirà più «il re è morto, viva il re», e non si dirà nemmeno «morto un Papa, se ne fa un altro». Da oggi si potrà dire: «Un Conte è caduto, evviva il Conte!». È così perché il governo gialloblù è franato, ma Giuseppe Conte da Volturara Appula, paesino arroccato su un colle del Foggiano, al momento resta al suo posto di presidente del Consiglio. Ci resta, Conte, malgrado il veto posto sul suo nome dal segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, che ancora il 21 agosto dichiarava, tetragono: «Discontinuità vuol dire che non vogliamo e non possiamo entrare in un governo che abbia come premier Conte». Dopo una serie di cedimenti, alle 19.30 di ieri sera Zingaretti ha manifestato «ottimismo sul confronto per il nuovo governo», senza più fare cenno a veti sui nomi. Insomma, Conte resta in sella malgrado nessuno, dall'inizio della sua avventura governativa, avesse il coraggio di scommettere un euro sulla sua longevità politica. Ci resta superando mille critiche e sfottò incassati in questi (primi?) 14 mesi vissuti pericolosamente a Palazzo Chigi. Basta pensare a come l'ha trattato l'ex segretario del Pd, Matteo Renzi, che pure da dieci giorni, per meri interessi di bottega, è la grande levatrice del Conte bis. Il 2 giugno 2018, all'indomani dell'insediamento di Conte, Renzi aveva detto che «mai si era palesata la figura di un premier che non decide, non conta e non governa». Sei mesi dopo, in dicembre, l'aveva accusato di avere disertato la commemorazione delle vittime dell'attentato jihadista di Strasburgo con poche, leggiadre parole: «Tecnicamente parlando, sei uno schifo». Non pago, ancora lo scorso 18 febbraio lo tacciava di essere «la più grande fake news vivente». Renzi, va ammesso, non è proprio famoso per coerenza e linearità. Ma non è il solo a essere passato dall'odio all'amore. A ben vedere, nei 14 mesi del governo gialloblù, l'attacco al premier «avvocato degli italiani» è stato lo sport preferito dell'opposizione di sinistra, forse uno dei pochi punti fermi della traballante Terza Repubblica. E anche i giornaloni, a lungo, ne hanno fatto un bersaglio. Dopo il suo discorso d'insediamento, l'allora direttore di Repubblica Mario Calabresi gli aveva affibbiato il nomignolo «Signor Nessuno». Quando Graziano Delrio aveva crocifisso Conte perché in quel discorso non aveva ricordato il nome di Pier Santi Mattarella, accennando a «un congiunto del capo dello Stato», per quella gaffe era quasi parso dovesse dimettersi. Tutto è cambiato tra la metà di luglio e il 20 agosto. È bastato che «Signor Nessuno» spingesse il Movimento 5 stelle ad appoggiare Ursula von Leyen al vertice della Commissione europea, e soprattutto che cominciasse a mettersi di traverso alle richieste della Lega e facesse balenare un'intesa tra grillini e sinistra: per miracolo, è avvenuta la Grande Metamorfosi. Il primo ad accorgersene era stato Eugenio Scalfari. Il 17 luglio, il fondatore di Repubblica aveva descritto così la trasfigurazione: «Conte non è più un pupazzo manovrato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ma diventa il burattinaio». Sopraffatto dall'entusiasmo, Scalfari era arrivato ad accostare il premier ad Aldo Moro: «Non è affatto escluso pensare che ripeta in qualche modo le idee di Moro», scriveva, «e comunque a me sembra che oggi sia l'uomo del giorno». Il bruco è poi divenuto farfalla grazie all'attacco frontale contro Salvini nella crisi di governo. È per quel contrasto se su Conte, ormai, s'è posata l'aura dell'erede di Alcide De Gasperi. È per quella svolta che Repubblica ha profetizzato: «Ora Conte, democristianamente, può succedere a sé stesso e cambiare maggioranza come la pochette nel taschino». Del resto, per la sua conferma negli ultimi giorni si sono spesi in molti: dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk («È uno dei migliori esempi di lealtà in Europa») al Vaticano, e da Romano Prodi alla sinistra radicale. Certo, era evidente che fare la fine di un Cincinnato non fosse nelle corde di Conte, e che non avesse alcuna intenzione di tornare in un aula universitaria. Poi l'uomo ha scoperto dai sondaggi il suo buon gradimento e ha deciso di sfruttarlo, come un Emmanuel Macron italiano. Anche in Francia, al G7 di Biarritz, il premier uscente-e-rientrante ha giocato bene le sue carte. Non solo perché (scelta estetica mai vista nella storia dei consessi mondiali) c'è arrivato con il figlio Niccolò, di dieci anni, ma perché si è allineato al vento franco-tedesco contro i dazi di Donald Trump. Adesso, e ancora per un po', forse ci terremo Conte a Palazzo Chigi. Lui, nel dubbio, ieri sera ha disertato la conferenza stampa del G7 per precipitarsi a Palazzo Chigi, luogo della trattativa finale tra Di Maio e Zingaretti. Nel giugno 2018, probabilmente, avremmo dovuto dare retta a uno che lo conosce bene. Uno che allora aveva detto: «Giuseppe ha fatto un errore a entrare in politica, ma è troppo ambizioso». Parole di Nicola Conte, padre del premier caduto-e-forse-riconfermato. Conte che va, Conte che resta. Evviva. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pur-di-assicurarsi-il-secondo-giro-lavvocato-scappa-prima-dal-g7-2640045344.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="parigi-e-berlino-si-dividono-lafrica" data-post-id="2640045344" data-published-at="1758063466" data-use-pagination="False"> Parigi e Berlino si dividono l’Africa Con 20 milioni di euro per i Paesi dell'Amazzonia e un'inedita conferenza stampa a due del padrone di casa Emmanuel Macron insieme al presidente statunitense Donald Trump si è concluso ieri il primo G7 della storia senza una dichiarazione congiunta finale. Ma quello di Biarritz è stato anche il G7 della mobilitazione internazionale a favore del premier dimissionario italiano Giuseppe Conte. Se una parte ci sono gli endorsement al Conte bis (di «lealtà» ha parlato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk), dall'altra ci sono i dossier caldi per l'Italia da cui Conte è stato escluso durante il G7. Domenica al summit si è parlato di Sahel, cioè quella fascia dell'Africa subsahariana che è passaggio obbligato per tutti i migranti che, passando dalla Libia, si imbarcano poi verso l'Europa. Quasi sempre diretti nel nostro Paese. A parlare di stabilizzazione di quell'area con il presidente del Burkina Faso Roch Marc Christian Kaboré c'erano il presidente francese Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, che hanno promesso di «allargare» e «rafforzare» l'attività internazionale nella lotta ai gruppi jihadisti nel Sahel per assicurare la sicurezza e la stabilità della regione. Nuove risorse e strategie per combattere il terrorismo e i flussi migratori verranno discusse entro fine anno durante una conferenza francotedesca in Germania. Nascondendosi dietro il formato G5 (cioè l'alleanza tra Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger nata grazie all'intervento di Francia e Germania), l'asse Macron-Merkel, che pur, al pari dei leader dell'Ue, non ha mai nascosto di tifare per Conte come argine alla Lega di Matteo Salvini, ha lasciato fuori dal tavolo il nostro Paese. Nonostante sia tra i più colpiti della crisi dei migranti con Grecia e Spagna. Burkina Faso, ma non solo. Quando parlano di Sahel, Parigi e Berlino fanno anche riferimento al Mali, dove la Francia è presente dal 2014 con l'operazione Barkhane per combattere i miliziani islamisti sparsi tra i cinque Paesi della regione. Un'operazione finita recentemente al centro di alcune inchieste giornalistiche. Come quella dell'agenzia Reuters che ha rivelato che i militari francesi hanno a disposizione un «equipaggiamento ridotto al minimo e obsoleto» per colpa dei tagli alla spesa militare decisi dal presidente Macron. E il Mali è uno di quei Paesi in cui l'Unione europea agisce secondo le direttive dell'asse francotedesco. Basti pensare che a inizio agosto la missione dell'Unione europea in Mali ha addestrato un battaglione dell'esercito di Bamako all'impiego dei mezzi corazzati Casspir, realizzati in Sudafrica e recentemente donati dalla Germania. La Merkel ha comunque assicurato che la nuova iniziativa in Sahel non porterà a un aumento del numero di militari tedeschi schierati nell'area, attualmente poche centinaia (sono, invece, 4.500 i soldati francesi). Il nostro Paese è politicamente lontano, rispetto alla Francia soprattutto, dal Burkina Faso (dove soltanto a marzo abbiamo aperto un'ambasciata), e dal Mali (dove siamo presenti con un consolato che dipende dall'ambasciata a Dakar). Ma la centralità del Sahel nelle dinamiche mediterranee avrebbe consigliato il coinvolgimento del nostro Paese. C'è poi una seconda ragione per cui l'Italia avrebbe dovuto essere a quel tavolo. E ne ha parlato il presidente del Burkina Faso affermando che «è difficile separare la questione del terrorismo nella zona del Sahel dalla crisi libica». Una crisi di cui a Biarritz non si è parlato, forse viste le recenti difficoltà di Khalifa Haftar, il generale appoggiato da Parigi che ha lanciato la sua offensiva su Tripoli, capitale controllata dal governo di Fayez Al Serraj, riconosciuto dall'Onu e sostenuto dall'Italia. Come a dire: a Macron e alla Merkel , Conte piace fino a quando rimane «leale», al posto suo.