
Urge riesumare il progetto di Gianfranco Miglio per garantire trasparenza nelle azioni penali.«Se alcuni giudici vogliono governare si candidino»: Giorgia Meloni ha fatto pieno centro. Il vero tema, nello scontro che vede settori della magistratura contrapporsi alle decisioni dell’esecutivo, è infatti «chi risponde a chi?». I governanti rendono conto agli elettori; coloro che amministrano la giustizia, compiendo sempre più spesso scelte politiche, non rispondono a nessuno. Nel nostro ordinamento in magistratura si entra per concorso. Il pm, cioè colui che fa le indagini e poi sostiene l’accusa in giudizio, è collega del giudice che decide; a causa di un patologico connubio creatosi tra il primo e i media, le ipotesi formulate all’inizio delle investigazioni assurgono così a sentenza di colpevolezza, ancor prima di approdare al vaglio del giudice.Il governo sta portando avanti una riforma per separare le carriere delle due figure di magistrato. Ma basterà, qualora una volta approvata superasse il vaglio del referendum, a scongiurare le iniziative di pm quali, ad esempio, arrestare un presidente di Regione e subordinarne la liberazione alle sue dimissioni? Inquisire un ex ministro degli Interni per avere bloccato sbarchi di immigrati in coerenza con le determinazioni dell’allora governo? Indagare i vertici dell’attuale esecutivo per avere rimpatriato, in nome della ragione di Stato, un accusato di gravi crimini nel suo Paese?Difficilmente la separazione delle carriere, contrastata dal sindacato della magistratura, impedirà il ripetersi degli eventi a cui stiamo assistendo; trattasi, beninteso, di una riforma sacrosanta - siamo l’unico Paese tra le democrazie occidentali ad avere accusatori e giudici che coabitano sotto lo stesso tetto - la quale tuttavia sconta due difetti strutturali e un limite culturale. I primi consistono, da un lato, nell’avere pensato un Csm per i pm che renderà costoro ancora più autoreferenziali di quanto lo siano già oggi, dall’altro nel non avere introdotto la discrezionalità dell’azione penale (che avrebbe allineato la Costituzione - la quale prevede oggi l’obbligatorietà - a quanto accade nella prassi delle indagini, dove il pm sceglie chi indagare, quando e come). Il secondo palesa mancanza di coraggio nell’iniziativa governativa, ovvero lasciare intatto l’assetto della magistratura, evitando di trasformare la figura del pm in quella conosciuta in altri ordinamenti nei quali l’accusatore, che esercita (come in Italia) un enorme potere discrezionale, ne rende conto o all’esecutivo (cioè al ministro della Giustizia, che riferisce poi al Parlamento sulle modalità con cui è coltivata l’azione penale), o all’elettorato. Proprio così: ci stiamo riferendo al pm elettivo. Un progetto non inedito, ipotizzato a suo tempo da Gianfranco Miglio, che avrebbe avuto il pregio di conferire piena trasparenza alle scelte inerenti all’esercizio della pubblica accusa, rendendo così indissolubile il rapporto tra discrezionalità dell’agire e responsabilità politica. In altre parole, l’essenza di una vera democrazia. Una configurazione tipica degli Usa, dove il procuratore distrettuale è inserito nella lineare logica dell’evoluzione della carriera politica: a fine mandato si presenta alla cittadinanza locale illustrando le ragioni per le quali ha perseguito certe tipologie di reati (e non altre), i risultati delle sue indagini in termini di successi processuali (condanne ottenute) e, su questa base, chiede i voti per essere eletto sindaco.Per porre rimedio alla deriva del «governo dei giudici» ci si deve liberare, anzitutto, dall’orizzonte artificiale della magistratura intesa come corpo unico e indissolubile. Il pm non deve avere nulla a che spartire con chi pronuncia la sentenza; non essere più contiguo alla magistratura (che resterà solo quella giudicante); connotato come semplice parte nel processo, non più collega del giudice (a cui si rivolgerà con il «lei», come già ora fa con l’avvocato difensore), separato - anche dal punto di vista della collocazione fisica dell’ufficio - dalle sedi dei tribunali.*Ordinario di procedura penale nell’università di Brescia
Papa Leone XIV (Ansa)
Nel commentare la dichiarazione dei vescovi Usa sull’immigrazione, il pontefice ha ribadito il diritto a controllare i confini. I media francesi hanno omesso il passaggio.
Papa Leone XIV ha risposto ai giornalisti che si trovavano a Castel Gandolfo martedì sera e si è espresso su vari argomenti: la pace in Ucraina, le stragi in Nigeria, i suoi progetti di viaggi apostolici per il 2026 e anche delle sue abitudini quando soggiorna a Villa Barberini. Tra temi trattati c’era anche la gestione dell’immigrazione negli Stati Uniti. Come scritto da Vatican News, il Santo Padre ha commentato la dichiarazione sui migranti pubblicata, giovedì scorso, della Conferenza episcopale statunitense.
Ursula von der Leyen (Ansa)
La Commissione prepara nuove regole per la circolazione rapida (massimo tre giorni) di truppe e cingolati tra i Paesi dello spazio Schengen. Un tempo simbolo di pace...
«Vi sono molte cose che contrassegnano l’Ue e la sua storica integrazione, ma due ne esprimono appieno l’anima: Erasmus e Schengen. È poco responsabile mettere a rischio la libertà di movimento degli europei». Firmato Sergio Mattarella. Correva l’anno 2018 e l’Austria in accordo con la Germania aveva proposto di chiudere il confine con l’Italia per non far arrivare i migranti. Sono passati sette anni e la Commissione europea presenta un regolamento per far viaggiare i carri armati senza frontiere. Schengen doveva essere il simbolo della pace e della libertà e ora diventa la Schengen con le stellette che ci costa malcontati 270 miliardi in dieci anni, in modo che le truppe si muovano liberamente e velocemente.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (Ansa)
Dalla riforma della giustizia alla politica estera: sono molti i temi su cui premier e capo dello Stato dovranno confrontarsi nei prossimi mesi, malgrado le tensioni.
Come in una qualsiasi relazione, quando si insinua nella coppia lo spettro del tradimento, i rapporti si incrinano e non possono più tornare ad essere come erano prima. Lo tsunami che si è abbattuto sul Quirinale a seguito dello scoop della Verità, rischia di avere gravissime ripercussioni a lungo termine, sui legami tra governo e presidente della Repubblica. E anche se il Colle sminuisce la questione, definendola «ridicola», il consigliere per la Difesa del capo dello Stato, Francesco Saverio Garofani, non solo conferma ma aggiunge particolari che mettono a dir poco in imbarazzo i soggetti coinvolti. E hai voglia a dire che quelle fossero solo battute tra amici. La pezza peggiore del buco.
Galeazzo Bignami (Ansa)
Malan: «Abbiamo fatto la cosa istituzionalmente più corretta». Romeo (Lega) non infierisce: «Garofani poteva fare più attenzione». Forza Italia si defila: «Il consigliere? Posizioni personali, non commentiamo».
Come era prevedibile l’attenzione del dibattito politico è stata spostata dalle parole del consigliere del presidente della Repubblica Francesco Saverio Garofani a quelle del capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio Galeazzo Bignami. «L’onorevole Bignami e Fratelli d’Italia hanno tenuto sulla questione Garofani un comportamento istituzionalmente corretto e altamente rispettoso del presidente della Repubblica», ha sottolineato il capo dei senatori di Fdi, Lucio Malan. «Le polemiche della sinistra sono palesemente pretestuose e in mala fede. Ieri un importante quotidiano riportava le sorprendenti frasi del consigliere Garofani. Cosa avrebbe dovuto fare Fdi, e in generale la politica? Bignami si è limitato a fare la cosa istituzionalmente più corretta: chiedere al diretto interessato di smentire, proprio per non tirare in ballo il Quirinale e il presidente Mattarella in uno scontro istituzionale. La reazione scomposta del Pd e della sinistra sorgono dal fatto che avrebbero voluto che anche Fdi, come loro, sostenesse che la notizia riportata da La Verità fosse una semplice fake news.






