
Boicottato il piano per le scuole finanziato dal papà di Facebook. I ragazzi sono costretti a diventare gli insegnanti di sé stessi.La scuola secondo il modello di Mark Zuckerberg? Bocciata. L'idea del fondatore di Facebook era quella di cambiare il mondo dell'insegnamento attraverso un software. Un sistema «rivoluzionario» per gestire il tempo, la didattica le materie, gli obiettivi e la motivazione dello studente, fino a creare un piano di apprendimento su misura. Ovvero, personalizzare l'esperienza della scuola in modo che ogni studente possa apprendere «secondo il proprio ritmo» e in cui «gli insegnanti sono più delle guide che dei professori». In altre parole si tratta di seguire le lezioni dal computer superando dei test e riducendo al minimo il confronto diretto con i prof.È questo il metodo Summit learning program (che dal prossimo anno scolastico sarà gestito dall'associazione no profit T.L.P education), finanziato con circa 99 milioni di dollari dal fondatore di Facebook e dalla moglie Priscilla Chan attraverso la Chan Zuckerberg initiative e disegnato dagli ingegneri del social network più famoso al mondo. Finora, ha raggiunto quasi 380 istituti e circa 74.000 ragazzi. Un'idea che all'inizio aveva suscitato l'entusiasmo di molti pedagogisti, convinti che potesse combattere l'abbandono scolastico. Ma la rivoluzione messa a punto dai programmatori della Silicon Valley, ha scatenato proteste, polemiche e un vero e proprio boicottaggio, come racconta il New York Times in un reportage sulle scuole pubbliche dei piccoli centri rurali del Kansas. E dire che le famiglie avevano accolto con soddisfazione la sperimentazione e i suoi possibili sviluppi: oggi le lezioni virtuali si tengono ancora a scuola ma un domani potrebbero avvenire direttamente a casa, cosa interessante in una zona in cui per raggiungere gli istituti spesso gli alunni devono percorrere decine di chilometri. Il summit learning sembrava essere la soluzione ideale: gli studenti trascorrono la maggior parte del tempo al computer, frequentando online le lezioni e sostenendo i quiz. Ognuno può lavorare al ritmo che gli è più congeniale. Gli insegnanti sono disponibili per fornire assistenza. Nessun costo per le scuole pubbliche, visto che aderire è gratis.Un sogno che però si è infranto contro la realtà. Secondo il New York Times gli effetti collaterali sono disastrosi. Gli studenti vengono colpiti da mal di testa e da problemi alle mani per l'eccessivo uso del mouse. Per non parlare dei rischi collegati alla schiena e allo stare a lungo chini sullo schermo. Inoltre risultano più ansiosi rispetto ai «colleghi» che frequentano una scuola normale. Ma soprattutto a essere sotto accusa è l'isolamento, ovvero la mancanza di confronto da cui consegue l'incapacità di lavorare in gruppo e di rapportarsi con i compagni. Il quotidiano racconta di un alunno che, quando incontra gli amici, indossa il paraorecchie da caccia di suo padre perché non sopporta più la loro voce. Inoltre, gli insegnanti più che essere stati trasformati in mentori sembrano essere stati fatti sparire: non solo il programma chiede alle scuole «di impegnarsi a far incontrare gli studenti settimanalmente di persona con gli insegnanti per almeno 10 minuti», un tempo già ridicolo, ma «alcuni bambini hanno affermato che le sessioni sono durate circa due minuti o che non ci sono state», scrive il New York Times. «Stiamo permettendo ai computer di insegnare e tutti i bambini assomigliano sempre più a degli zombi», accusa Tyson Koenig, un padre che ha ritirato il figlio di 10 anni dal programma. E non è il solo: un sondaggio rivela che il 77% dei genitori preferisce che il figlio non usufruisca di Summit, mentre l'80% ha notato peggioramenti nei ragazzi, sia a livello psicologico sia fisico. Amy Jackson, un'infermiera, ha intenzione di fare causa: sua figlia, 12 anni, soffre d'epilessia e il neurologo le ha raccomandato di limitare il tempo davanti al pc a 30 minuti al giorno. Da quando la sua scuola ha aderito a Summit, ha avuto attacchi di convulsioni.Ci sono poi anche riserve sui contenuti e dubbi sulla protezione della privacy, perché i bambini forniscono un sacco di informazioni personali e non si sa bene che uso ne possa essere fatto: c'è chi sospetta che possano essere vendute ai college. Che qualcosa non stia funzionando per il verso giusto lo ammette anche Abby Lunardini, responsabile dell'iniziativa didattica: «Summit sta lavorando sul campo con dirigenti scolastici e genitori».Ma intanto la rivolta non si placa. Chris Smalley, padre di due figli che hanno frequentato il programma, ha detto: «Sembrava fantastico, quello che ci hanno venduto invece è la peggior fregatura che mi abbiano mai rifilato».La protesta in Kansas fa parte di una crescente opposizione alla piattaforma Summit, la cui sperimentazione è cominciata quattro anni fa. A Brooklyn, lo scorso novembre, gli studenti di un istituto superiore hanno cambiato in massa scuola dopo aver cominciato a studiare con il metodo Zuckerberg. In Indiana e Pennsylvania le autorità hanno deciso prima di renderlo opzionale e poi di chiuderlo, come sarà presto fatto nel Connecticut. Insomma, forse per i professori in carne e ossa non è ancora l'ora dell'estinzione.D'altronde, non bisogna dimenticare che i primi ad avere dubbi sugli «effetti collaterali» di Internet sono i miliardari della Silicon Valley. Bill Gates ha vietato lo smartphone ai figli fino a 14 anni, e Steve Jobs gli ha negato l'iPad che lui stesso ha creato. E Sean Parker, creatore di Napster ed ex presidente proprio di Facebook, ha detto che il social ha conseguenze negative «per il cervello dei nostri figli».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





