
Il Prof ha sbottato dopo il quesito della cronista di Quarta Repubblica - la trasmissione di Rete 4 condotta da Nicola Porro - su Ventotene e proprietà privata.Alla fine ha avuto ragione Giorgia Meloni: le pensate di Altiero Spinelli sull’Europa comunista (senza proprietà privata) e a-democratica governata dal partito della rivoluzione ha fatto saltare i nervi alle anime belle del Pd. L’ultimo a cadere nell’equivoco - gli spinelli hanno questo effetto collaterale, estraniano dalla realtà almeno così dice chi li ha provati - è stato sua eccellenza il professor Romano Prodi, uomo che non ama i moti di spirito, lui preferisce le sedute spiritiche. Per le referenze chiedere a chi ancora sta indagando sul rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. A una giornalista di Mediaset che lo interrogava sul Manifesto di Ventotene ha risposto con male parole e stando a chi c’era ha cercato di strappare il microfono e l’avrebbe spintonata. Il professore ha fatto carriera nella prima Repubblica, poi ha «incassato» tutti gli onori nella seconda: è ovvio che quando si è trovato di fronte l’inviata di Quarta Repubblica - la trasmissione di Rete 4 condotta da Nicola Porro - ha avuto un moto di ripulsa. Solo che non s’è comportato proprio con l’aplomb né dell’uomo di Stato né dell’esimo accademico. Una mano del Presidente ha afferrato una ciocca dei capelli della giornalista e l’ha strattonata. È stato il gesto di un attimo che ha lasciato scioccata e senza parole la giornalista. «In decenni di lavoro, mai ci saremmo aspettati un gesto simile nei confronti di una collega da un ex Presidente del Consiglio. Il Presidente Prodi», ha dichiarato l’inviata Lavinia Orefici, «oltre a rispondere alla mia domanda con tono aggressivo e intimidatorio, ha preso una ciocca dei miei capelli e l'ha tirata. Ho sentito la sua mano fra i miei capelli, per me è stato scioccante». Porro in serata ha commentato: «Non si è mai visto che un politico, peraltro di una certa esperienza, che è stato presidente dalla Commissione Ue e del Consiglio tiri i capelli a una giornalista». I fatti: L’inviata di Mediaset avvicina il microfono e declina: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio, che ne pensa?». Prodi resta interdetto, non s’aspetta di dover rispondere e pigliando fischi per fiaschi dice: «Io non ho mai detto una roba del genere in vita mia». La giornalista lo corregge e gli dice: «Certo professore che non è uno suo pensiero, sono frasi del Manifesto di Ventotene». Lui finalmente ha capito e sbotta: «Lo so benissimo signora, non sono un bambino. Ma che cavolo mi chiedete?». Poi come se indossasse la toga universitaria rampogna la cronista: «Ma ce l’avete o no il senso della storia? Era nel 1941, gente messa in prigione dai fascisti. Questo è far politica in modo volgare». Ora verrebbe da obbiettare che gli esperti in retrodatazione sono proprio quelli del Pd che imputano - tanto per dirne una - a Giorgia Meloni nata nel 1977, di essere in odore d’orbace e di non dichiararsi antifascista. Viene da dire che lo è per diritto di data di nascita. Ma la faccenda che riguarda Prodi è un po’ più complicata. Perché lui nei giorni scorsi per farsi bello agli occhi dei suoi «compagni» sul Corriere della Sera si è lanciato in questo ardito paragone storico. Il povero Spinelli era al confino mentre Alcide De Gasperi se l’è presa comoda. Scrive Prodi: «gli autori del Manifesto erano alle prese con il dramma del presente e hanno tratteggiato un sogno per il futuro», mentre «De Gasperi si è invece mosso a guerra finita, con realismo politico». Capito? Da fine rispettoso delle signore il professore ha poi rintuzzato la giornalista: «Ora le cito un versetto del Corano così le mi dice cosa pensava Maometto». La Lega gli fa notare: «Prodi sgarbato, ma Pd e media lo trattano da eroe».
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






