2019-10-02
La sottomissione in tavola: tortellino islamico
La ricetta modificata per venire incontro anche ai musulmani scatena Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni, candidata alle regionali. Mentre la sinistra rispolvera il refrain: «Le tradizioni si rispettano cambiando qualcosa».Il vicario Matteo Maria Zuppi annuncia che alla festa di San Petronio sarà servita pure la versione al pollo per gli immigrati. Il vescovo si smarca: «Ero all'oscuro di questa iniziativa».Un libro, in uscita il 24 ottobre, racconta la vita privata dell'indimenticabile cardinale Giacomo Biffi del capoluogo emiliano.Lo chef Gianfranco Vissani: «Si può discutere sugli altri ingredienti, non su questi due. Chi vuole integrarsi mangi i nostri piatti».Lo speciale contiene quattro articoliPeggio del politicamente corretto c'è solo il gastronomicamente corretto: se i due ingredienti si mescolano, il piatto diventa immangiabile. Come documenta il pezzo qui a fianco, alla Curia di Bologna, sì proprio Bologna, è successo un pasticcio attorno al contorno ideologico del cosiddetto «tortellino dell'accoglienza», cioè privo di maiale, da offrire il 4 ottobre, festa del patrono, San Petronio, a chi per vari motivi - di salute o religiosi - si astiene dalle carni suine.Il «tortellino dell'accoglienza» va fatto, hanno spiegato dai comitati della Curia con uno zelo da cui il futuro cardinale si è poi dissociato, con sola carne di pollo, anche per non offendere i fratelli musulmani e magari anche per dare un piatto leggero agli anziani, i quali però a Bologna non rinuncerebbero ai veri tortellini neppure in punto di morte. Il tortellino col pollo - a fianco di quello classico - verrà distribuito, pare, venerdì. Un tempo per i cattolici era vietato mangiar carne al venerdì, ma pur d'accogliere tutti c'è chi sembra disposto a bandire il maiale, ma pure il precetto. Come spiega la nota dell'Arcidiocesi che racconta la totale estraneità di Zuppi, è la stessa Curia di Bologna che nel 1661 con il cardinal Girolamo Farnese emise un bando per garantire e difendere la qualità di mortadella e salami. Nonché la stessa che, a inizio Novecento, risolse una faccenda di vigilia e tortellini con un diplomatico silenzio. Lo raccontò Giulio Andreotti in un suo divertente libretto: Pranzo di magro per il cardinale. Nel 1904 il cardinale Domenico Svampa, in occasione della visita a Bologna di Vittorio Emanuele III, voleva incontrare il re, senza però dispiacere al Papa che non sopportava il Savoia. Ebbe dispensa per il pranzo ufficiale, che però era di venerdì. Al cardinale, mentre tutti mangiavano veri tortellini, fu servito un tortello di ricotta. O così si fece intendere. Sempre Andreotti racconta che Svampa, ospite di monsignor Nardi, si adombrò per i tortellini proposti al venerdì, ma il divieto della carne fu salvo perché erano ripieni di rane che, grazie a Noè, non sono considerate carne. Pellegrino Artusi, romagnolo che codificò la ricetta dei tortellini rigorosamente con il maiale, testimonia un'altra «scusa» della Chiesa a tavola: di vigilia in Curia si mangiavano le folaghe, considerate uccelli-pesce. Il bolognesissimo cardinal Prospero Lorenzo Lambertini che fu papa Benedetto XIV era invece goloso di tortellini e ha una ricetta a suo nome: il tortellone di mortadella e rapa rossa. Ma ora per certi zelanti cattolici bolognesi rischia anche la cotoletta alla petroniana, detta così in onere del patrono, perché zeppa di prosciutto. Di certo non sarà un piatto dell'accoglienza.Tornando al presente, tra lo strappo alla tradizione e la nota dell'Arcidiocesi che ha tolto la paternità del vescovo alla cosa, si è infilata una polemica politica imperdibile. Matteo Salvini dall'Umbria ha tuonato: «I tortellini senza maiale sono come il vino rosso senza uva, stanno cercando di cancellare la nostra cultura»; sempre dalla Lega gli hanno fatto eco Lucia Borgonzoni, candidata alle prossime regionali in Emilia, che ha detto: «Snaturano anche i tortellini pur di ammiccare all'islam, una vergogna». E l'onorevole Umberto La Morgia ha sottolineato: «Per non disturbare gli islamici bastava proporre dei tortelloni alla ricotta. Qui invece l'intento è stato volutamente comunicativo e provocatorio. Dietro questo tortellino della discordia si cela una questione culturale di fondo. In nome di un'accoglienza, di una società pretesa inclusiva, ci si piega ad altre culture e si modifica un pezzo della nostra tradizione». Sulla stessa lunghezza d'onda il candidato alla Regione e deputato di Fratelli d'Italia, Galeazzo Bignami. Hanno applaudito invece Romano Prodi (che vede questo tortellino come un esempio di libertà) e il sindaco di Bologna Vincenzo Merola, che suona un refrain caro a certa sinistra: «Le tradizioni si rispettano anche cambiando qualcosa».Una cosa così avrebbero potuta dirla il sociologo Marino Niola o il professor Massimo Montanari, storico. Loro sostengono che la tradizione si evolve, soprattutto quando fa comodo. Resta il fatto che il cibo non perde mai le sue radici etniche, agricole e culturali. Lo ha ricordato Pupi Avati, meno conciliante con l'incidente, parzialmente chiuso, di Bologna: «Il ripieno del tortellino deve essere rigorosamente di maiale e non si può abolire per una questione religiosa».E a poco vale che le sfogline (le signore della Bologna bene che si dilettano a tirare la pasta) ideatrici del «tortellino dell'accoglienza» dicano, con la presidente Paola Lazzari, che «il ripieno di pollo è pensato anche per gli anziani». Perché il tortellino di Bologna è un bene culturale. La ricetta fu depositata il 7 dicembre 1974 alla Camera di commercio dalla Confraternita del tortellino, che l'ha messa a punto con l'Accademia italiana della cucina, un'istituzione riconosciuta dal presidente della Repubblica al pari di Lincei, Crusca e Georgofili. Nei tortellini ci vanno lombo di maiale, prosciutto e mortadella. Ma in un Paese che velò le statue dei musei Capitolini per non dispiacere al presidente iraniano Hassan Rouhani può capitare di tutto. La Chiesa peraltro mise le mutande agli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina. Era il 1564. Dopo quasi mezzo millennio qualcuno sogna la controriforma in tavola. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-e-merola-danno-la-benedizione-al-gastronomicamente-corretto-2640815913.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="diocesi-di-bologna-lacerata-dai-tortellini-accoglienti-senza-maiale-per-gli-islamici" data-post-id="2640815913" data-published-at="1760528735" data-use-pagination="False"> Diocesi di Bologna lacerata dai tortellini accoglienti senza maiale per gli islamici L'ombelico del mondo a Bologna è il tortellino. La sfoglia, il modo caratteristico di chiuderlo, il brodo con la carne di manzo e la gallina ruspante, l'inconfondibile ripieno con lombo di maiale, prosciutto, mortadella e parmigiano reggiano: tutto è depositato in pergamena alla Camera di commercio, perché a Bologna nessuno tocchi il tortellino. Mangiarli, rigorosamente in brodo, è un'esperienza che va oltre la tavola e confonderla per ragioni di «accoglienza» sa di bestemmia. Invece, in vista della festa del patrono (il 4 ottobre a Bologna si festeggia San Petronio), è in corso la disfida del tortellino, che ha mandato in corto circuito perfino il vescovo e il suo vicario generale. Stando alle dichiarazioni rilasciate al Resto del Carlino dal vicario della diocesi, monsignor Giovanni Silvagni, la meravigliosa pensata di togliere dal sacro ripieno tutto il maiale che c'è, per sostituirlo con il più ecumenico pollo, sarebbe stata in qualche modo benedetta dalla Curia bolognese e dal suo vescovo, Matteo Maria Zuppi, ormai prossimo cardinale. La novità, ha spiegato Silvagni, è stata introdotta per consentire di assaggiare la prelibatezza anche a chi «per motivi religiosi o di salute non può consumare le carni suine». Addirittura Silvagni si è lanciato in una liaison tra il tortellino e il futuro cardinale, dicendo che «il tortellino ricorda un qualcosa che abbraccia tutti, così come il nostro vescovo sarà uno stretto collaboratore del Papa», e quindi con un compito che si protenderà ad «abbracciare tutto il mondo. Il tortellino è il segno di come partendo da Bologna, Zuppi si occuperà anche della Chiesa in generale». Insomma, sembrava che la Curia si fosse lanciata benedicendo il tortellino senza maiale per accogliere e integrare. Invece, nel tardo pomeriggio, un comunicato della diocesi fa sapere che quella di Zuppi che ordina il tortellino senza maiale è «una fake news», anzi il prossimo porporato si professa quasi un agente anti frodi, ricordando il suo predecessore cardinal Farnese che «emise il bando contro la contraffazione della mortadella». Però, dice ancora il comunicato, non si può interpretare «una normale regola di accoglienza» come «offesa alla tradizione. Infatti la preoccupazione è che tutti possano partecipare alla festa, anche chi ha problemi o altre abitudini alimentari o motivi religiosi». Per questo, ha chiesto che «accanto ai quintali di tortellini conformi alla ricetta depositata siano preparati anche pochi chilogrammi senza maiale». Insomma, se Silvagni benedice apertamente, Zuppi dice che non sapeva nulla (la nota recita: «Ha appreso la notizia del tortellino con carne di pollo solo questa mattina e dai media. Era all'oscuro dell'iniziativa annunciata ieri in conferenza stampa»). Preso atto che Zuppi non c'entra, il tortellino senza maiale non si può sentire. Prima di tutto a Bologna non si conosce nessun anziano che, anche sul letto di morte, abbia mai rifiutato i tortellini in brodo per ragioni di salute. Anzi, nelle cene di Natale, dove il primo piatto è rigorosamente a base di tortellini in brodo, quando si versano nella scodella del nonno lui ti guarda e ti dice che un buon piatto di tortellini fa risuscitare anche i morti. Quanto a quelli che per motivi religiosi non li vogliono mangiare, possono tranquillamente continuare a fare quello che hanno sempre fatto. Se questo è il meticciato, Dio ce ne scampi. Perché se le proprie tradizioni hanno un senso questo vale anche nella tanto decantata accoglienza, che non può essere ridotta a qualche mangiata apparecchiata in cattedrale, né si può applicare manomettendo ciò che si tramanda come modo di vivere di un popolo. Il tortellino a Bologna è espressione dell'essere bolognesi, eredi di tradizioni contadine che sanno mettere in valore quello che c'è in casa. I tortellini sono quel sapore con cui si cresce da bambini, magari stando a bordo tavola quando la nonna li prepara, e si mangiano crudi per sentire il sapore delle varie essenze di maiale rinchiuse in un fazzoletto di sfoglia. Un sussulto di buon senso arriva però anche dalla Curia, dove il vescovo emerito Ernesto Vecchi (da San Matteo della Decima, bassa bolognese doc) ha dichiarato al Corriere della Sera: «Non giudico l'iniziativa, ma il tortellino se lo trucchi lo uccidi». Da lassù il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna dal 1983 al 2003, probabilmente si sta facendo una risata in compagnia dei cherubini, davanti a un piatto fumante di tortellini. Lui aveva elaborato una sorta di «teologia del tortellino» con una celebre frase pronunciata per la festa di San Petronio del 1997. «Ho pregato il santo di far capire ai bolognesi che mangiare i tortellini con la prospettiva del paradiso, della vita eterna, rende migliori anche i tortellini, più che mangiarli con la prospettiva di andare a finire nel nulla». «Biffi», dice monsignor Vecchi alla Verità, «sosteneva che si gusta meglio il tortellino se si è in grazia di Dio, tenendo la prospettiva della salvezza eterna delle anime». Fatta «salva la bontà dell'iniziativa» per l'accoglienza, continua Vecchi, «si poteva pensare ai tortelloni che si possono preparare con la ricotta o altre varianti e così possono andare bene per tutti». In effetti, il tortellone è ecumenico di per sé, ma, conclude il vescovo emerito, «il tortellino è il tortellino». La disfida bolognese oscilla così tra il fatto antropologico e quello di portata escatologica. Sotto i portici tutti si chiedono, infatti, se il piatto di tortellini del paradiso di cui parlava Biffi avrà il suo bel ripieno di maiale, oppure di più insipido pollo. La risposta è difficile da ottenere in modo diretto, però si può supporre che nel caso fossero stati serviti tortellini senza mortadella, lombo e prosciutto, il cardinale Biffi avrebbe sicuramente fatto le sue rimostranze alla cucina. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-e-merola-danno-la-benedizione-al-gastronomicamente-corretto-2640815913.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-regalo-di-biffi-a-wojtyla-un-prosciutto-doc" data-post-id="2640815913" data-published-at="1760528735" data-use-pagination="False"> Il regalo di Biffi a Wojtyla: un prosciutto Doc Dal 12 al 18 febbraio 1989 il cardinale fu invitato a Roma da Giovanni Paolo II a predicare gli esercizi spirituali per la Quaresima ai cardinali e ai vescovi della Curia romana. Diede al corso di esercizi il titolo «La multiforme sapienza di Dio», che trasse dalla Lettera agli Efesini 3,10. La preparazione di questi esercizi gli costò molta fatica perché doveva preparare almeno 22 meditazioni, circa quattro al giorno. Finiti gli esercizi, molti editori mi chiesero il testo per poterlo pubblicare. Ma il cardinal Biffi mi disse: «No. Ho fatto tanta fatica a scriverli che ora voglio usarli per il mio ministero pastorale a Bologna». Nei mesi precedenti il febbraio 1989, alcuni teologi prevalentemente di lingua tedesca avevano scritto una lettera aperta nella quale contestavano punti sostanziali del magistero di Giovanni Paolo II. Anche un gruppo di teologi italiani si accodò a questa protesta. Lascio immaginare quale fosse l'amarezza di Giovanni Paolo II, ma anche di don Giacomo, che proprio allora stava dedicandosi alla stesura delle meditazioni. Tra una meditazione e l'altra Biffi escogitò anche il modo di sollevare l'umore del Papa. Si informò sulle abitudini del Papa nei confronti del predicatore, e seppe che al termine degli esercizi era solito invitarlo a pranzo o a cena da solo. Così, prima di partire per Roma, Biffi mi chiese di andare a comprare un prosciutto nostrano con tanto di osso. Durante gli esercizi affidammo a una comunità religiosa la custodia del prosciutto e l'ultimo giorno lo consegnai al cardinale nella sua confezione sottovuoto e trasparente. Il cardinale, vestito con la talare nera filettata e con la fascia purpurea, e soprattutto con il prosciutto sotto la spalla, attraversò con nonchalance le superbe stanze del Palazzo Apostolico tra gli sguardi stralunati delle guardie svizzere e di alcuni monsignori, tutti puntati sulla spalla di suino. Arrivato davanti al Papa, Biffi gli consegnò il profumatissimo regalo, e il Papa rise a lungo. Aveva osservato da lontano tutta la scena. Durante il corso di esercizi don Giacomo aveva fatto diverse battute ironiche. Fin dall'inizio, quasi come premessa iniziale, aveva ricordato un «sacrosanto principio»: «Gli esercizi spirituali servono per 15 giorni. Poi uno torna come prima». Il 9 aprile dello stesso anno Biffi è di nuovo a Roma per la canonizzazione di Santa Clelia. E il Papa, non appena lo vede, gli dice: «Eminenza, i 15 giorni sono già passati». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-e-merola-danno-la-benedizione-al-gastronomicamente-corretto-2640815913.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="irrinunciabile-il-ripieno-suino-e-parmigiano" data-post-id="2640815913" data-published-at="1760528735" data-use-pagination="False"> «Irrinunciabile il ripieno suino e parmigiano» «Ma per piacere! Sono stufo di queste continue aggressioni al cibo italiano. Per me questo è come un attentato. È bene che la gente torni a mangiare come parla». Bisogna frenarlo Gianfranco Vissani, due stelle Michelin con il suo ristorante Casa Vissani sul lago di Corbara in Umbria, il primo e il più televisivo tra i grandi cuochi italiani, impegnato ora a compilare un atlante di 10.000 prodotti territoriali di tutto il mondo che diventerà anche un format tv, perché questa faccenda del tortellino al pollo «mi sta sullo stomaco». Vissani, non le pare che il tortellino dell'accoglienza, come l'ha chiamato il vicario dell'Arcidiocesi all'insaputa del vescovo, sia una scelta di tolleranza? «A me suscita intolleranza. Sono allergico a queste aggressioni senza senso alla cucina italiana, alla tradizione. Quando si metteranno nella testa che il cibo è cultura ed esprime l'anima di un popolo, sarà sempre troppo tardi. Che c'entra offrire un tortellino che non è un tortellino come simbolo dell'accoglienza? Non ha senso raccontare agli islamici né a chiunque che quel tortellino l'abbiamo fatto senza maiale per rispetto a loro. Non è un tortellino. Punto. Poi se per far piacere ai musulmani devo rinunciare alla mia identità, a mangiare i tortellini come devono essere fatti, dico che non ci sto. Dico che è una sciocchezza». A lei non piace questo tortellino, ma si può accettare di usare il cibo come mezzo di integrazione? «Se deve essere integrazione, quelli che vengono in Italia devono imparare a mangiare all'italiana. E se non vogliono farlo, s'accomodino. Noi non dobbiamo minimamente rinunciare alla nostra tradizione, che è poi il nostro gusto e la nostra cultura». Lei è sempre stato molto critico anche verso i vegani, non è una posizione di retroguardia? Non si sente conservatore lei che un tempo veniva etichettato come il cuoco di Massimo D'Alema? «Se difendere la cucina italiana, la migliore del mondo, è essere conservatore, lo sono. Ma sono i vegani che fanno violenza a noi, e anche a loro stessi, visto che poi si ammalano. Prendiamo il caso di quei bambini denutriti costretti all'alimentazione vegana. È mai possibile accettare una cosa del genere? Questo tortellino al pollo mi sembra uguale alle assurdità dei vegani». Dunque giù le mani dai tortellini? «Ci mancherebbe altro. Io non sono bolognese, ma so cucinare e aggiungo che i tortellini, pur con diverse varianti, sono uno dei pochi veri piatti nazionali italiani. E il maiale è il tratto distintivo dei tortellini: lombo, prosciutto o mortadella, la carne di maiale è l'anima del piatto. Poi secondo me ci vuole anche la buccia di limone per dare freschezza. Si può discutere sulla noce moscata, se aggiungere o no pan grattato, ma due ingredienti sono irrinunciabili: maiale e parmigiano reggiano». Niente accoglienza con i tortellini insomma? «Ma certo che sì: dagli un bel piatto di tortellini, quelli veri, in brodo, e vedi come si sentono meglio. E se non gli va bene o non li mangiano, ma ci lasciano la nostra libertà, o se ne tornano a casa loro».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)