2025-08-09
Processi incagliati all’età della biro. Per l’Anm è sempre colpa del governo
Il presidente di Anm Cesare Parodi (Ansa)
Secondo l’Associazione, la scarsa digitalizzazione dei procedimenti dipende dall’esecutivo. Dimentica le migliaia di addetti da poco assunti. La gestione di quella «macchina» è in mano alle toghe stesse.Lite «Unità»-carabinieri su Almasri. Il quotidiano diretto da Sansonetti parla di «rivincita» dell’Arma che, dopo essere stata «esclusa dal caso, ha scoperchiato le bugie» di Palazzo Chigi. Dura smentita dei militari.Lo speciale contiene due articoli.La guerra continua. «Invece di criticare i magistrati, la politica dovrebbe impiegare risorse ed energie per consentire alla giustizia di competere realmente e di rispondere alle enormi sfide della modernità». La guerra continua su un piano vecchio, quello dell’inefficienza del sistema giudiziario, con un’accusa vecchissima da parte dell’Associazione nazionale magistrati: la colpa dell’improduttività dei tribunali sarebbe del ministro di centrodestra di turno (in questo caso Carlo Nordio), che si occupa di separazione delle carriere e non di moltiplicazione degli organici per una sostanziale trasformazione di un elefante in un ghepardo.Nell’accusa formalizzata dal vicepresidente dell’Anm, Marcello De Chiara, il problema starebbe a monte: dove ci sono ancora faldoni e fotocopie, dovrebbero irrompere i computer integrati con le meraviglie della digitalizzazione. Infatti aggiunge: «L’economia e la società hanno ormai una dimensione digitale, mentre nel processo penale campeggia ancora il fascicolo cartaceo e la penna biro. La digitalizzazione finora messa in campo è foriera di rallentamenti più che di benefici reali». Spostare il piano del dibattito da un caso concreto - l’invasione degli ultragiudici sulla vicenda Almasri - ai massimi sistemi relativi alla lentezza della giustizia, è pura strategia dialettica. Anche se in parte la critica sta in piedi.Lo si evince dal mancato raggiungimento di un obiettivo strategico previsto dal Pnrr sulla giustizia: la riduzione dell’arretrato civile. Anziché diminuire, nel 2024 le pendenze sono aumentate del 3,5%, raggiungendo quota 2.817.759, circa 100.000 in più del 2023. Volendo guardare il rovescio della medaglia, i contenziosi sospesi sono calati del 91,7% rispetto al 2019 (un autentico trionfo) ma poiché l’obiettivo negoziato da Mario Draghi a Bruxelles era irrealistico (-95%) non si può essere contenti. Tutto questo porta a una conseguenza: è a rischio il conseguimento del target del Pnrr per il 2026 sulla riduzione della durata dei processi civili. Oggi durano in media 343 giorni, due anni fa 325. Secondo Openpolis, a fronte di un investimento di 36 miliardi, la riduzione in proiezione è al 60%, quindi in ritardo rispetto all’obiettivo.Enunciate le criticità, è utile aggiungere che cambiare marcia nel mondo giudiziario italiano è difficile, dalla preistoria andreottiana, quanto far decollare una locomotiva a vapore. Nella sua invettiva, l’Anm si dimentica di illuminare le problematiche relative alle inefficienze, alle lentezze, alle torpidità ascrivibili alla macchina giudiziaria in senso stretto. Anche perché va sottolineato che negli ultimi mesi per tribunali civili, penali e amministrativi sono stati assunti 10.000 (diecimila) addetti specializzati «per migliorare le prestazioni degli uffici giudiziari e potenziare la struttura dei processi». Come sottolinea il ministero, «l’obiettivo perseguito è l’abbattimento dell’arrestato e la durata dei procedimenti, dando altresì supporto ai giudici nell’attuazione della transizione digitale». Diecimila persone, fra le quali numerosi laureati in scienze giuridiche ed economiche, esperti tecnici di contabilità e 2.500 «data entry», diplomati con profilo di operatori digitali che si spera non vengano percepiti come stagisti e quindi utilizzati per fare le fotocopie.Accusare la politica (e solo la politica, come fa Anm) del mancato raggiungimento di un obiettivo Pnrr sarebbe come incolpare il sistema del disagio giovanile o - ai tempi di Silvio Berlusconi lo si faceva - Drive In dell’arretratezza culturale dei paninari negli anni Novanta. Significa chiamarsi fuori, voltare le spalle a responsabilità che stanno innanzitutto dentro i tribunali. Perché l’organizzazione del lavoro, lo smaltimento dell’arretrato, il funzionamento della macchina che produce sentenze attiene ai compiti dei vertici di ogni Palazzo di giustizia; presidenti, procuratori capo, tutti magistrati in buona parte iscritti all’Anm.Additare il ministero per esemplificare la crisi della giustizia è un gioco facile e, al tempo stesso, un boomerang. Perché i cittadini si ricordano le indagini sconclusionate di Garlasco; certe inchieste iper-mediatiche sulla ‘Ndrangheta con la necessità di perizie foniche per scagionare un Giuseppe indagato a caso; il «responsabile cleaning dell’azienda» che, nell’ordinanza, diventa «il responsabile crimine dell’azienda» perché fa più scena; un ministro prosciolto a Catania e mandato a processo a Palermo per l’identico motivo; la continua invasione di campo delle prerogative parlamentari sui temi etici.Fino all’ultimo sfondone, con un ricorso a un decreto di espulsione di un pregiudicato marocchino lasciato a frollare per mesi su una scrivania del tribunale di Bologna, fino a quando il gentiluomo (a piede libero) non ha massacrato la ex compagna. Il vicepresidente dell’Anm, De Chiara, teme che l’offensiva della politica abbia la conseguenza di «delegittimare la magistratura». Duole dire che talvolta riesce a raggiungere l’obiettivo anche da sola.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/processi-incagliati-anm-colpa-governo-2673871566.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lite-unita-carabinieri-su-almasri" data-post-id="2673871566" data-published-at="1754718985" data-use-pagination="False"> Lite «Unità»-carabinieri su Almasri La ricostruzione della presunta guerra sotterranea tra forze dell’ordine sul caso Almasri è smentita con forza dall’Arma dei carabinieri. Il retroscena ricostruito dall’Unità avrebbe visto i militari estromessi dai tavoli in cui si decideva il destino di Nijeem Osama Almasri operare una sorta di vendetta scoperchiando quelle che il quotidiano fondato da Antonio Gramsci definisce «le bugie e le falsità da parte del governo per coprire la fuga a Tripoli» di Almasri.Il Tribunale dei ministri di Roma, composto dalle giudici Maria Teresa Cialoni, Donatella Casari e Valeria Cerulli, ha infatti deciso di affidare il fascicolo ai carabinieri del nucleo investigativo del Reparto operativo di Roma, comandato dal colonnello Dario Ferrara, e non al personale in servizio presso la sezione di polizia giudiziaria della Procura o alla stessa polizia, essendo coinvolto il capo del dipartimento della pubblica sicurezza, il prefetto Vittorio Pisani.Tuttavia, come anticipato, i carabinieri smentiscono che sia stata messa in campo una «rivincita». «Nei suoi oltre due secoli di storia, l’Arma non ha mai agito per “vendetta” o per ottenere una “rivincita”, espressioni totalmente estranee alla cultura istituzionale, ai valori e al modo di operare dei carabinieri», scrive il comando generale dell’Arma, che poi precisa: «Il contenuto dell’articolo dal titolo “La rivincita dei carabinieri esclusi dal caso Almasri” è privo di fondamento e contiene affermazioni gravemente lesive della dignità e dell’onorabilità dell’Arma», prosegue la nota affermando che «nello specifico caso in questione, il nucleo investigativo del comando provinciale di Roma si è limitato a svolgere, con la consueta professionalità e scrupolosità, le attività di acquisizione documentale delegate dall’autorità giudiziaria, nel solco delle proprie competenze e nel rigoroso rispetto dei rapporti funzionali con la magistratura». In fine si legge: «L’Arma dei carabinieri continuerà a tutelare la propria immagine e il proprio operato da ricostruzioni giornalistiche infondate che possano minare la fiducia dei cittadini e delle istituzioni».Secondo la ricostruzione dell’Unità, il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli, promosso lo scorso anno prefetto dal governo Meloni, avrebbe svolto un «ruolo centrale», come già in altre occasioni (ad esempio per la liberazione della giornalista arrestata in Iran, Cecilia Sala). Caravelli avrebbe riportato ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi, che in Libia stava montando «una certa agitazione» a causa del fermo di Almasri. Caravelli avrebbe riferito le sue valutazioni in una riunione il 19 gennaio, alla quale sarebbero stati presenti, oltre a Mantovano, i ministri dell’Interno e degli Esteri con i rispettivi capi di gabinetto, il capo della polizia, il direttore generale del Dis, il prefetto Vittorio Rizzi e Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Sarebbero poi seguite altre due riunioni, una il 20 gennaio e una il 21.Assenti, per L’Unità «stranamente», il capo del dipartimento dell’amministrazione della giustizia di via Arenula, Luigi Birritteri, che aveva preparato il provvedimento da far firmare a Nordio per trattenere Almasri in Italia, e il comandante generale dell’Arma, il generale Salvatore Luongo. Fu valutato in quelle occasioni che non si avrebbe avuto il tempo di far rientrare gli italiani in Libia per evitare eventuali ritorsioni. Le indicazioni di Caravelli, secondo quanto ricostruito, sarebbero state determinanti ai fini della decisione di non procedere al fermo di Almasri. Intanto la prima Camera preliminare della Corte penale internazionale ha deciso di desecretare il mandato di arresto emesso contro Saif Suleiman Sneidel, cittadino libico e membro del «Gruppo 50», della Brigata Al-Saiqa. Per la Cpi ci sono «fondati motivi per ritenere che egli sia responsabile di crimini di guerra quali omicidio, tortura e oltraggi alla dignità personale».
(Totaleu)
Lo ha dichiarato il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste a margine della riunione del Consiglio Agricoltura e pesca di Bruxelles.
Charlie Kirk (Getty Images)