2022-06-02
Primo autogol per lo stop al petrolio. L’impianto siciliano rischia il tracollo
La Lukoil del Siracusano era stata già indotta dalla diffidenza delle banche ad acquistare più barili dai russi. Se chiudesse, finirebbero per strada 10.000 lavoratori. E i prezzi del prodotto schizzerebbero in tutta Italia.A Bruxelles l’Unione europea ha deciso lo stop definitivo alle importazioni via mare di petrolio e derivati dalla Russia entro la fine del 2022. Una risoluzione che non è stata accolta con grande favore a Priolo Gargallo, a una manciata di chilometri da Siracusa. Lì, sulla riva del piccolo golfo tra Punta Cannone e la Riserva delle Saline, sorge la raffineria Isab, la più grande d’Italia, di proprietà del socio unico Litasco Sa con sede in Svizzera, a sua volta controllato dalla compagnia petrolifera russa Lukoil. La raffineria, situata all’interno di un polo petrolchimico, processa oggi oltre 10 milioni di tonnellate di greggio all’anno (più del 13% del totale nazionale) avendo però una ulteriore capacità di raffinazione non utilizzata di altri 9 milioni di tonnellate di greggio, che porta la capacità di raffinazione al 22% del totale nazionale. Il sito industriale è collegato con la raffineria e il porto di Augusta, una grande centrale elettrica e alcuni impianti chimici. Sin dalle prime battute dell’invasione russa in Ucraina, Isab ha avuto difficoltà a ottenere credito dalle banche per acquistare il prodotto greggio da raffinare. Pur essendo una compagnia italiana, le banche non intendevano esporsi con un cliente la cui capogruppo avrebbe potuto essere sanzionata da un momento all’altro. Sino ad allora, Isab si approvvigionava per il 60% dal mercato e per il 40% dalla casa madre in Russia. Ma le difficoltà d ottenere credito hanno spinto i dirigenti, nei mesi scorsi, ad azzerare gli acquisti sul mercato e a far salire al 100% la quota di prodotto greggio acquistato da Lukoil via mare. Questo ha generato il paradosso dell’aumento delle importazioni italiane di greggio dalla Russia, che nel mese di maggio sono arrivate alla cifra ragguardevole di 450.000 barili al giorno, più di quattro volte i volumi registrati solo nello scorso mese di febbraio. Questo è il motivo per cui l’Italia è l’unico Paese, tra quelli occidentali, ad avere aumentato l’import di greggio dalla Russia. Le nuove sanzioni imposte da Bruxelles non riguardano Lukoil direttamente, bensì l’attività di import di petrolio dalla Russia. Con tale divieto, Isab sarà in breve tempo impossibilitata a proseguire le attività, non avendo più la possibilità di approvvigionarsi dalla capogruppo con sede a Mosca. Le ripercussioni derivanti da una eventuale chiusura dell’impianto sarebbero drammatiche. Tutto il polo petrolchimico, con il relativo indotto, ne risentirebbe e sarebbero a rischio tra gli 8.000 e i 10.000 lavoratori tra diretti e indiretti. Ciò in un’area già economicamente depressa come la Sicilia, dove la disoccupazione raggiunge il 20% (il 40% tra i giovani fino a 29 anni, dati Eurostat 2021). In termini di valore, la raffineria vale da sola un punto percentuale di Pil della regione Sicilia. Con la chiusura di Isab verrebbero inoltre a mancare i 10 milioni di tonnellate di prodotto raffinato, cosa che farebbe salire i prezzi in tutta Italia e aggraverebbe la situazione di carenza fisica di prodotti, soprattutto diesel. Tutto prevedibile, eppure ancora non c’è stata alcuna reazione ufficiale del governo sul tema. Silente il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti; c’è stata una timida presa d’atto due giorni fa a opera del viceministro Alessandra Todde, che al termine di una videoconferenza convocata in tutta fretta con la Regione Sicilia, l’Unione petrolifera, l’Unem, i sindaci del territorio, Confindustria e le organizzazioni sindacali, ha affermato: «L’obiettivo è quello di porre le basi per la trasformazione in chiave industriale e la decarbonizzazione dell’area, coinvolgendo tutti gli attori istituzionali come il Mite e il Mims, in modo da valutare i progetti di investimento presentati dalle aziende che insistono sull’area. Inoltre, c’è la volontà di identificare ulteriori possibilità di finanziamento come il Cis (contratti nazionali di sviluppo), o altri accordi di programma specifici». Ci sia concesso dire che, avendo memoria di ciò che è successo in passato in simili situazioni di crisi industriale, queste verbose dichiarazioni non lasciano presagire nulla di buono. L’area non è in crisi, al momento, ma lo sarà presto: per una volta è possibile giocare d’anticipo ed evitare di trovarsi a cosa fatte a gestire situazioni compromesse con provvedimenti tampone come la cassa integrazione. Serve subito una soluzione. Una possibilità potrebbe essere quella di un intervento dello Stato come garante presso le banche, così da permettere a Lukoil (che non è sanzionata) di acquistare greggio sui mercati internazionali. Ma questa intesa potrebbe apparire assai delicata per gli equilibri internazionali. Qualche amministratore locale della zona invoca una nazionalizzazione anche parziale degli impianti, magari temporanea, magari a opera di Invitalia, per permettere di proseguire le attività approvvigionando Isab sui mercati. Altri si spingono a ipotizzare un coinvolgimento diretto nella gestione di Eni, in quanto campione nazionale del settore. Tra tante soluzioni, questo è il momento di sceglierne una e di difenderla fino in fondo nei confronti di Bruxelles. Non va dimenticato infatti che esiste uno spazio di intervento statale dato dal quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato a sostegno dell’economia. Sarebbe bello constatare, per una volta, che l’Italia non è lo zimbello dell’Unione europea e che è capace di difendere la propria economia, il lavoro, i cittadini. Altrimenti, l’«embarghino» si trasformerà in un paradosso: farà un baffo al Cremlino, metterà in ginocchio noi.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.