2024-10-15
I primi 16 migranti trasportati in Albania. Ma il Quirinale rema già contro
Agenti di polizia italiani controllano il centro di accoglienza allestito a Shengjin, in Albania (Ansa)
Egiziani e bengalesi inaugureranno uno dei due centri italiani. Intanto Sergio Mattarella: «L’accoglienza sia impegno permanente».Le limacciose acque intorpidite dalla sinistra sembrano alle spalle. La Libra salpa per l’Albania a una velocità di venti nodi. È la nave della Marina militare che porta il primo gruppo di migranti in Albania. Partita da Lampedusa, arriverà nelle prossime ore a Shengjin, nel centro di prima accoglienza. L’altro, destinato al rimpatrio, si trova invece a Gjiader. Sulla Libra ci sarebbero dieci bengalesi e sei egiziani, soccorsi in acque internazionali e poi saliti a bordo. Hanno i requisiti previsti: maschi, maggiorenni, in buona salute e provenienti da «Paesi sicuri». I richiedenti asilo otterranno una risposta entro quattro settimane: se il responso sarà positivo, verranno trasferiti nei centri di accoglienza in Italia. Altrimenti saranno rimandati indietro, nel loro Paese di origine, come prevede il protocollo firmato il 6 novembre 2023 dalla premier italiana, Giorgia Meloni, e il suo omologo albanese, Edi Rama. Insomma, con un lieve ritardo, nonostante le furibonde critiche, parte il piano che ha scandalizzato il campo larghino, aduso alla teoria. E che trova, invece, grandi estimatori tra gli esecutivi progressisti d’Europa, costretti alla pratica. Che disdetta. Mai una gioia per il Pd tricolore. Ma Elly Schlein non demorde: «Il governo di Giorgia Meloni alza le tasse e sperpera quasi un miliardo di euro dei contribuenti per i centri migranti in Albania, in spregio ai diritti fondamentali delle persone e alla recente sentenza europea sui rimpatri, che fa scricchiolare l’intero impianto dell’accordo». La segretaria piddina aggiunge un suggerimento di finanza pubblica, tentando finalmente di dar concretezza all’esile programma della coalizione: «Si potevano usare le risorse per accorciare le liste di attesa nella sanità o per assumere medici e infermieri». Elly si riferisce pure alla sentenza della Corte di giustizia europea, appunto. Una decisione che mette in dubbio l’elenco dei ventidue Paesi considerati «sicuri», dove nessun cittadino patirebbe discriminazioni e trattamenti inumani. Nel giorno in cui la Libra salpa, a Milano interviene però anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «L’impegno per la coesione sociale, l’accoglienza, il progresso, l’integrazione, il divenire della cittadinanza, è attività permanente». Era un velato riferimento alla nave carica di migranti, a cui sarebbero state sottratte queste possibilità? Chissà.Eppure, il patto vanta fervidi sostenitori in tutto il continente. Non certo di destra, tra l’altro. Lo scorso dicembre 2023, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, lo definisce un «modello» che ha già l’approvazione di Bruxelles. L’accordo raggiunto tra Meloni e Rama, assicura la baronessa teutonica, rappresenta «un esempio di pensiero fuori dagli schemi basato su un’equa condivisione delle responsabilità con i paesi terzi». Un apprezzamento reiterato lo scorso luglio, alla vigilia della riconferma al trono. Ma l’approccio meloniano fa proseliti pure tra i governi europei. Soprattutto tra quelli di sinistra, a dispetto delle fumisterie dei compagni italiani. Il 16 settembre scorso, per esempio, arriva a Roma il primo ministro britannico, Keir Starmer. La sua visita è preceduta dalla dichiarazione del ministro degli Esteri, David Lammy, interessato «alle politiche italiane». E cosa dice il primo ministro laburista, appena sbarcato nella capitale? Elogia i «progressi significativi» del nostro governo, che è riuscito a ridurre sbarchi. Starmer si avventura a firmare con Meloni una dichiarazione congiunta, per promuovere insieme accordi con i Paesi di origine e di transito» dei migranti. La «fortemente unitaria» Elly abbozza. Quattro giorni dopo, però, arriva l’ennesima mazzata. E non da un premier fresco d’elezione, come quello inglese. Ma da un venerato e storico leader socialista, Olaf Scholz. Il cancelliere tedesco, tra l’altro, non ha mai nascosto la sua avversione verso la premier italiana, tentando di marginalizzare i conservatori a Bruxelles. Eppure, il patto sui migranti piace persino al sempre ostile governo teutonico, tanto da proporre di ratificare l’accordo anche in Europa. Berlino sta seriamente prendendo in considerazione procedure di asilo simili a quelle previste dal protocollo siglato con l’Albania. Del resto, già a novembre 2023, Scholz offre un’inaspettata sponda all’accordo, da seguire «con attenzione». L’angosciata Repubblica, il giornale elkanianno che detta l’agenda al progressismo tricolore, titola: «Migranti, la Germania tentata dall’operazione italo-albanese. Scholz svolta a destra». Che orrore. E c’è un altro nemico giurato del nostro governo che si aggira per l’Europa: la Francia di Emmanuel Macron. Ma perfino Oltralpe il demoniaco programma siglato tra Roma e Tirana fa proseliti. Il ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, interpellato sul trasferimento di migranti all’estero, qualche giorno fa anticipa la linea dura sugli irregolari: «Non si esclude alcuna soluzione a priori». Pure Macron copia Meloni, parbleu.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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