2019-02-14
Prima udienza per la morte di Pamela. La Dia avverte: c’è la mafia nigeriana
Inocent Oseghale a processo per la morte della diciottenne fatta a pezzi e nascosta in due valigie. Nello stesso giorno l'antimafia pubblica il rapporto annuale, evidenziando la crescita delle cosche gestite da africani. Si è presentato vestito in jeans e felpa blu, occhi bassi, barba incolta, circondato dalla polizia penitenziaria. Lo hanno fatto passare da una porta laterale per evitare d'incontrare un drappello di persone - non erano più di dieci - che stavano manifestando davanti al palazzo di giustizia, circondato da un imponente cordone di Polizia. Ma in aula non ha potuto evitare gli occhi dolenti, penetranti, lucidi di lacrime di Alessandra Verni. In quel momento Inocent Oseghale, 30 anni, nigeriano, due figli avuti da una ragazza di Villa Potenza, arrivato in Italia col barcone ed entrato in un programma Sprar come richiedente asilo, poi divenuto spacciatore e per ciò condannato (con tanto di decreto di espulsione mai eseguito), ha abbassato lo sguardo. Dopodiché è rimasto immobile cinque ore. Il presidente del collegio giudicante della Corte d'Assise di Macerata, Roberto Evangelisti, gli ha contestato il reato di omicidio aggravato da crudeltà e futili motivi, insieme a quello di vilipendio e occultamento di cadavere, spaccio di droga e violenza carnale. Oseghale rischia l'ergastolo. Sono le accuse che ha formulato contro di lui il procuratore della Repubblica di Macerata, Giovanni Giorgio, che sostiene l'accusa insieme alla pm Stefania Ciccioli. È cominciato così, ieri mattina poco dopo le 9, il processo per l'assassinio e lo smembramento del cadavere della diciottenne Pamela Mastropietro, ammazzata il 30 gennaio di un anno fa in un appartamento di via Spalato a Macerata. Il giorno prima si era allontanata dalla Pars, una comunità di recupero e cura delle dipendenze e dei disagi psichici, che si trova a Corridonia. Il corpo di Pamela venne ritrovato ridotto in 24 pezzi (ma il collo non si è mai trovato) chiuso in due trolley (uno era quello della stessa ragazza romana) abbandonati lungo una strada alla periferia di Macerata, a Casette Verdini. Su questo processo aleggia un fantasma: si chiama mafia nigeriana. Oseghale, dice un collaboratore di giustizia, è uno dei capi dei Black Cats, ma anche due nigeriani che erano entrati nell'inchiesta per la morte di Pamela, Desmond Lucky e Lucky Awelima, lasciano intendere che ci sia un legame fra l'unico imputato nel processo con la mafia afro. Chi ha tenuto distante questo fantasma è proprio la Procura di Macerata, che afferma: non ci sono elementi. Confortata in questo dal procuratore generale di Ancona, Sergio Sottani. Ma proprio mentre ieri si svolgeva la prima udienza del processo è uscito, con un anno di ritardo, il rapporto del primo semestre 2018 della Dia, la direzione d'investigazione antimafia. Ebbene la Dia cita proprio il delitto di Macerata, l'abnorme quantità di droga sequestrata dopo l'uccisione di Pamela e i tanti arresti di nigeriani che ne sono seguiti. L'antimafia dice espressamente: a Macerata si è organizzata la criminalità nigeriana. È un rapporto che peserà anche nel processo? Probabilmente sì, quando toccherà a una delle parti civili, quella sostenuta dall'avvocato Marco Valerio Verni, che è anche lo zio di Pamela e agisce in giudizio per conto di sua sorella, Alessandra Verni, mamma della vittima, e del papà Stefano Mastropietro. Si è parlato di un processo blindato: il questore di Macerata, Antonio Pignataro, ha vietato qualsiasi manifestazione. Ma in realtà non è successo nulla. Ieri mattina prima dell'udienza davanti al palazzo di giustizia una decina di persone, tutte di Roma, ha srotolato striscioni con scritto «Pamela vive» e «Giustizia per Pamela». Avevano un grappolo di palloncini che avrebbero voluto far volare per inscenare un muto ricordo della ragazza uccisa. Glielo hanno impedito, ma hanno applaudito quando i genitori della ragazza hanno «bussato» al tribunale. In aula c'era anche il sindaco di Macerata Romano Carancini (Pd), che nei giorni scorsi aveva usato toni abbastanza duri nei confronti dei genitori di Pamela («Non ho sentito nessuna autocritica da parte dei Mastropietro per le vicende di quella famiglia») perché il Comune si è costituito parte civile. Ma non ha detto una parola, né si è avvicinato ai genitori Pamela. L'udienza è scivolata tra la lettura dei capi d'imputazione e le prime schermaglie tra difesa e accusa. I difensori di Innocent Oshegale - avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi - hanno presentato diverse eccezioni che tendevano soprattutto a cancellare dal processo le perizie dell'accusa, sostenendo che alcuni atti non erano stati correttamente notificati all'imputato. L'accusa si è ovviamente opposta e il tribunale le ha dato ragione respingendo ogni eccezione. È stata poi presentata la lista dei testimoni. Sono una cinquantina quelli ammessi, ma c'è una testimonianza che spicca.È quella di un collaboratore di giustizia (V.M.) che ha fatto arrestare decine di 'ndranghetisti. Questi sostiene di aver ricevuto in carcere le confessioni di Oseghale, che si accusa del delitto (per la verità lo aveva già fatto con alcuni agenti penitenziari nel carcere di Ferrara, che saranno anch'essi escussi) ma si vanta pure di essere un componente della mafia nigeriana. V.M. deporrà il 6 marzo, alla prossima udienza. Poi comincerà la battaglia delle perizie. L'accusa è convinta di avere la prova che Pamela è stata uccisa, la difesa punta sulla morte della ragazza per overdose. Ma la vera storia delle ultime ore della povera Pamela comincerà ad emergere solo con la primavera.
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
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