2025-09-27
Prima di «Masterchef» c’era la Sora Lella
Dopo le difficoltà, il ristorante della sorella di Aldo Fabrizi inizia a ingranare. Lei va in tv e spiega agli italiani come preparare il pollo con i peperoni. Carlo Verdone diventa il nipote adottivo al cinema e nella vita. I suoi ingredienti segreti? Tempo, pazienza e amore.Seconda e ultima puntata sulla vita della Sora Lella. Un giorno passa a trovarla per la consueta rimpatriata calorica Aldo senior. Era stato il suo padre adottivo, lei orfana precoce, e quindi a chi confidarsi se non a lui circa i suoi problemi con il ristorante? Dopo aver spazzolato l’ennesima pasta alla gricia, Aldo Fabrizi tiene banco come sul palco di un teatro «nun date via ‘sto locale, è in un posto unico arm-on-no. Cerca de tenè duro e vedrai che sfonni».Dopo qualche settimana si presentano quattro amici dall’occhio curioso, di cui uno poi, il professor Giorgio Bini, sarà protagonista del resto della storia. Lella esordisce davanti ai palati debuttanti da par suo, illustrando con la verace passione che la caratterizzava un «sugo di carne appena macinata con funghi porcini e qualche rigaglia di pollo». Stava a loro scegliere con quale pasta abbinarla poi al piatto. Bini la guarda curioso. Aveva sentito parlare di lei, ma mai conosciuta in diretta. «Assomiglia un po’ a quello che faccio io, me lo spiega meglio?». Lella diventa una sorta di Nicolò Carosio, descrivendo nei dettagli i passaggi di cui era gelosa custode. Ad certo punto Giorgio Bini, che poi si rivelò autorevole gourmet nonché giornalista di settore, la interrompe: «Abbiamo capito che forse sarà migliore del mio, ma ora si sbrighi, lo faccia con la pasta che ritiene meglio e sbrigateve che c’avete messo fame».Nel menù a seguire c’è un fritto di animelle con carciofi «di una doratura che incuriosisce ancor di più i palati» al loro debutto lellesco. In chiusura, immancabili puntarelle e un pezzetto di vero pecorino romano. Gli occhi soddisfatti del gruppetto parlano da soli e quindi Sora Lella decide di prendersi una piccola confidenza. Li ringrazia, ma magari ce ne fossero altri come loro, e racconta le difficoltà quotidiane che devono affrontare lei e il suo Renato. Bini la rassicura: «Se questa è la vostra cucina, le posso assicurare che i vostri problemi si risolveranno più presto di quanto pensiate».E fu lui uno dei primi divulgatori di quel bel locale «dove si respirava aria di una sana cucina come in famiglia». È lo stesso Bini a inviare un giornalista del settimanale Oggi che rilanciò il tutto a livello nazionale, con il fotografo ad accompagnare l’articolo con una foto divenuta poi iconica della Sora Lella davanti alla lavagna con i piatti ben scritti con il gesso, «con grembiule bianco, maniche arrotolate sopra i gomiti e pugni chiusi sui fianchi» tanto che «sembrava una grossa anfora bianca».Sora Lella sempre sul pezzo, e non solo ai fornelli. Oramai le sue comparsate cinematografiche erano ripetute, con i più bei nomi del tempo, non solo registi, ma anche attori quali Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale che poi, inevitabilmente, si sedevano a tavola la sera per dare ancora più gusto a tutta la trama. Viene cooptata dalla Rai, per una puntata di Linea contro linea nel 1967, invitata da Giulio Macchi. Deve raccontare come si prepara uno dei suoi piatti simbolo, il pollo con i peperoni. «Brandisce un coltello grosso quanto un braccio per sventrare il volatile», con il conduttore «che rimane quasi impietrito dalle dimensioni del coltello e dalla forza con la quale seziona il pollo». Niente da stupirsi, perché era quella la realtà quotidiana con cui le madri di famiglia dovevano confrontarsi.Un’altra bella immagine di quel tempo è riassunta in questo flashback: «Negli anni Settanta, mentre le telecamere indugiavano sui corpi sinuosi di Edwige Fenech e Gloria Guida, la nonna de Trastevere irrompeva nella sceneggiatura con il suo personalissimo stile al gusto di bucatini e amatriciana». Ed è qui che ritroviamo il suo nipote adottivo, Carlo Verdone. Anno 1981: bisogna creare il casting per Bianco, rosso e verdone. Una mattina si confessa con il suo barista sotto casa. «Mi serve una nonna romana, un volto bonario, popolare». «Vai a conoscere quella Lella che si racconta su Radio Lazio». Carlo la aggancia al bar dove si reca per colazione prima di salire alla diretta radiofonica. Si presenta, un po’ timido. «Ma te sei Carlo Verdone? Me stai a prenne in giro o addì sur serio?». Detto fatto viene reclutata al volo e a seguire, due anni dopo, per Acqua e sapone.Non c’è storia, con il primo film le viene assegnato il Nastro d’argento quale miglior attrice esordiente e poi, con il secondo, l’ambito David di Donatello quale miglior attrice non protagonista. Sul set familiarizza subito con il personale tecnico, elettricisti, macchinisti e quant’altro. Diventa presenza fissa al Teatro Parioli con il Maurizio Costanzo Show. Non aveva filtri tanto che una sera chiese in diretta al conduttore «ma lei mi chiama perché so’ Sora Lella o la sorella de Aldo Fabrizi?». Immancabile la risposta: «Siamo tutti affascinati esclusivamente dal suo personaggio e non c’entra niente la parentela con suo fratello».Era giunto il tempo di fare la nonna, con i suoi bravi quattro nipoti, Mauro, Renato, Simone ed Elena a continuare le gesta di famiglia. Come ha ben sottolineato la sua biografa Francesca Romana Barberini, «Lella Fabrizi, senza esserne del tutto consapevole, ha rappresentato la memoria storica della sua città». Un’esperienza culinaria «talmente radicata nel territorio da diventarne specchio ed interprete» tanto che, dopo la sua scomparsa nel 1993, ancora in molti varcano la soglia del locale per vedere le sue foto, accompagnata da attori, musicisti, vip d’ogni genere e grado. Un suo piatto entrato nella leggenda è l’amatriciana «ramata», dove una vetusta padella di ferro veniva utilizzata per tutti i vari passaggi, dalla rosolatura del guanciale, alla cottura del pomodoro, al ripasso finale della pasta con i vari ingredienti. Guanciale protagonista in molti altri piatti, come ad esempio nella coda alla vaccinara. L’abbacchio a Roma e in terra laziale è robba seria e nel locale dei Trabalza ancora adesso se ne propongono le varie riletture, come insegnò mamma Lella a suo tempo, quando il suo Renato le portava gli scarti del mattatoio. Sui titoli di coda non possono mancare altre piccole madeleine di una storia di famiglia dove riemergono l’impronta data a suo tempo da Lella nostra.Un giorno, davanti all’ennesimo gruppetto che si era raccolto per vederla «capare», cioè ripulire come un chirurgo broccoli e carciofi, non seppe trattenersi «aho, che ‘sso diventata, la Madonna de Lurdese?». I nipoti, e molti dei clienti fidelizzati nel tempo, la ricordano comunque per i valori fondamentali che ha saputo trasmettere. Tempo, pazienza, attenzione, il tutto condensato nell’amore per tutto quello che faceva: dallo scegliere gli ingredienti, preparali per valorizzarli al massimo e poi offrirli a tavola. Un esempio per tutti. Un giorno, ad un cliente un po’ spazientito per aver atteso un po’ troppo, secondo lui, il classico pollo alla diavola, prima che questi imbracci forchetta e coltello gli ricorda «se si va di fretta non si ordina questo piatto. Per cuocerlo bene ce vò tempo. Te l’ho cucinato co’ tutti li sentimenti». A buon intenditor…
Federico Ballandi @Kontatto
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