2024-08-22
Prezzi degli alimenti bloccati: da Kamala sciagura manzoniana
Per fissare il tetto al costo dei cibi si mobiliterebbero procuratori e agenzie federali. Finirebbe male, come nei «Promessi sposi».Mentre si attende il discorso finale di Kamala Harris alla Convention democratica di Chicago che la candiderà a sfidare Donald Trump nelle elezioni del prossimo 5 novembre, il suo programma economico ha fatto sollevare più di qualche sopracciglio. Non solo tra gli oppositori, ma anche tra gli esperti e tra le fila degli stessi democratici. Sinora vi sono solo stralci di dichiarazioni e qualche brano di discorso in tema di economia, ma le proposte della Kamalanomics sembrano delineate. La principale proposta di Harris è sul tema dei prezzi e va incontro alla maggiore preoccupazione degli americani in questo momento, secondo i sondaggi. Come si combatte l’inflazione del carrello della spesa secondo la Kamalanomics? Dando la colpa agli speculatori e alla «avidità delle aziende». Nel mirino c’è la cosiddetta «greedflation», l’inflazione da avidità (sottinteso delle aziende). Harris annuncia una legge federale che impedisca gli aumenti «eccessivi» dei prezzi del cibo e dei generi di prima necessità, attribuendo poteri alla Federal trade commission e ai procuratori di Stato per punire le aziende che «alzano troppo i prezzi». L’annuncio è sufficientemente generico per attirare voti e al contempo far gridare al socialismo: «Populismo di sinistra in stile Venezuela», lo ha bollato il Wall Street Journal. Tutta benzina per la campagna di Trump, che ha già bollato l’idea come comunismo antiamericano.L’idea acchiappavoti sembra quella di frenare i prezzi in qualche modo, anche se non è chiaro come. Un modo, a quanto si è capito, sarebbe di dare potere ai procuratori di agire in base a una nuova legge sui prezzi massimi consentiti. Un altro modo sarebbe quello di dare alla Ftc poteri sulle operazioni di fusioni tra aziende alimentari per evitare che si creino posizioni dominanti. Il che però è qualcosa che esiste già. Naturalmente, l’industria alimentare statunitense non vuole passare per avido speculatore e respinge le accuse: «Comprendiamo che ci sia uno schock dei prezzi di listino e che questo sia sgradevole, affermare però che ciò sia automaticamente l’effetto di qualche condotta scorretta è una semplificazione» ha detto al Wsj Andy Harig, vicepresidente di Fmi, associazione di categoria americana del settore.Scaricare la colpa degli aumenti sulle aziende cattive che ingrassano sulle spalle della povera gente è un argomento che ha qualche secolo di vita e pare funzionare sempre piuttosto bene, lì per lì. Il problema con il controllo dei prezzi è sempre che il prezzo fissato di imperio è per definizione più basso dei costi marginali di produzione, dunque la prima conseguenza immediata è la scarsità. Chi vende non è tenuto a farlo in perdita, dunque meglio non vendere. Anche questa non è esattamente una novità. Basterebbe leggere Alessandro Manzoni e quei passaggi dei Promessi sposi che raccontano il tumulto di San Martino per il pane. Per quietare il popolo, il gran cancelliere spagnolo Antonio Ferrer aveva imposto un prezzo calmierato per il pane, che era salito per via dei cattivi raccolti. Ma in questo modo il prezzo del grano risultò più alto di quello del pane e i fornai non volevano vendere in perdita. Dunque, niente pane. Per decreto si alzò allora di nuovo il prezzo del pane, ma la gente a quel punto andò all’assalto dei forni.In altre parole, il controllo dei prezzi introduce distorsioni sia lato offerta che lato domanda. Senza un segnale di prezzo corretto, la domanda, anziché scendere, resta stabile o sale, cosa che mette ancora più in crisi l’offerta e fa aumentare ancora di più i prezzi. Senza tornare a Renzo Tramaglino, negli Usa esiste il precedente del presidente Richard Nixon, che nel giugno del 1973 impose un congelamento di prezzi e salari per combattere l’inflazione («wage and price freezing»). Dovette abolirlo dopo pochi mesi di fronte alle improvvise carenze di beni. Harris propone poi l’estensione del credito di imposta per ogni figlio a 3.600 dollari e fino a 6.000 dollari per il primo anno del bambino. La candidata democratica vorrebbe poi erogare un sussidio di 25.000 dollari per l’acquisto di prime case. Un’esperienza simile a quella già fatta nel Regno Unito, dove il governo conservatore aveva lanciato negli anni scorsi il programma Help to buy. Risultato? Aumento della domanda di case e prezzi decollati.Un altro punto della Kamalanomics è l’aumento delle tasse per le aziende dal 21% al 28%. L’imposta sugli utili delle aziende fu abbassata da Donald Trump durante il suo mandato, da 35% a 21%. In un mondo in cui gli stati sono in competizione tra loro sulla tassazione, questo, secondo alcuni dati, ha riportato circa 2.500 miliardi di dollari di utili sotto la tassazione americana. Ora l’aumento paventato da Harris porterebbe il prelievo fiscale a un livello che secondo molti incoraggerebbe a lasciare di nuovo il suolo americano, tenuto conto che l’Unione europea ha una tassazione media pari al 21% e l’Asia al 19%. A quanto pare, pur di sconfiggere Trump i dem sono disposti a mostrarsi persino più populisti di lui.