
La compagnia tedesca contraria alla partecipazione di Fs, che oggi deve presentare un'offerta vincolante. Si sfila pure Leonardo. Giuseppe Guzzetti: «Cdp non metterà neanche un euro. Le fondazioni bancarie sono contrarie».Sono ore decisive per Alitalia: scade infatti oggi il termine per la presentazione dell'offerta vincolante per il 100% della compagnia di bandiera, che è allo studio del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato. Secondo il piano elaborato dalla società insieme con gli advisor (Mediobanca e lo studio legale Cleary Gottlieb), le condizioni dell'offerta dovrebbero prevedere, oltre a una congrua valutazione dell'impegno finanziario di partenza e al via libera dell'Ue alla conversione in capitale del prestito ponte da 900 milioni di euro, la presenza di un partner industriale che possa sostenere la strategia della compagnia aerea e il supporto finanziario di Cassa depositi e prestiti per l'acquisto di nuovi aerei.E proprio su questi due punti ieri si sono susseguite le dichiarazioni, quasi tutte di segno negativo. Leonardo, l'ex Finmeccanica, secondo quanto hanno riferito fonti vicine all'azienda ha smentito di avere o di prevedere alcun ruolo sul dossier Alitalia: il nome dell'azienda era stato citato tra i possibili partner industriali. Anche Eni - che è fornitore di carburante di Alitalia - ha precisato di non avere alcun ruolo nell'operazione che il governo ha avviato per il rilancio della compagnia, coinvolgendo Ferrovie dello Stato e investitori privati. «Non siamo stati coinvolti in alcuna operazione su Alitalia e l'ipotesi di un nostro ingresso nella compagnia è priva di fondamento», ha spiegato un portavoce del gruppo di San Donato Milanese. Ma, soprattutto, il presidente dell'Acri (l'Associazione delle fondazioni bancarie e delle casse di risparmio, che detiene il 15,93% del capitale di Cdp) Giuseppe Guzzetti ha detto un secco no al coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti nell'operazione, che mira a portare la maggioranza del vettore in mano pubblica. «L'ho detto e lo ripeto, è diventato un ritornello e sul punto siamo rigidissimi: in Alitalia la Cdp non deve mettere un euro per nessuna ragione», ha affermato Guzzetti, precisando: «Siccome sono votazioni con maggioranze qualificate, il sistema delle fondazioni mi ha già dato mandato di dire che noi non voteremo investimenti in Alitalia».A mettere i bastoni tra le ruote al governo è però stata soprattutto Lufthansa, che ha chiuso la porta alla possibilità di essere «co investitore» con l'esecutivo italiano nella ristrutturazione di Alitalia. La posizione del colosso tedesco è stata esplicitata dall'amministratore delegato Carsten Spohr nel corso della presentazione agli analisti dei conti del terzo trimestre. «Sicuramente non saremo interessati a essere co investitori con il governo in una compagnia che ha bisogno di essere ristrutturata», ha detto Spohr, ribadendo la linea della compagnia tedesca: Lufthansa ha infatti sempre fatto sapere di essere interessata a una nuova compagnia ristrutturata. Spohr ha aggiunto che si possono studiare dei «partenariati commerciali», sulla falsariga degli accordi che Lufthansa intrattiene con altre compagnie aeree nell'ambito dell'organizzazione Star alliance. C'è da chiedersi se le affermazioni dei vertici di Lufthansa siano da considerarsi un no definitivo: di certo sul nome del partner internazionale il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, aveva assicurato che le alternative in campo erano tante. Oltre a Lufthansa, infatti, il governo avrebbe avviato contatti con Delta e con la low cost Easyjet.Tra le altre questioni aperte c'è l'ipotesi della conversione di parte del prestito ponte in equity, mossa che sancirebbe l'ingresso del ministero dell'Economia nel capitale della compagnia, così come previsto dal piano del governo e annunciato nei giorni scorsi dallo stesso Di Maio. Ma per il titolare del dicastero di via XX Settembre Giovanni Tria, che vuole procedere in linea con le norme Ue, la priorità è la restituzione del prestito ponte (che complessivamente ammonta a 1 miliardo, compresi gli interessi), sul quale la stessa Ue ha aperto un'indagine per verificare che non si tratti di aiuto di Stato. Il prestito scade il 15 dicembre 2018 e al 30 settembre Alitalia avrebbe avuto in cassa, secondo quanto spiegato ufficialmente, 770 milioni.C'è poi da sciogliere il nodo esuberi: Di Maio ha garantito che non ce ne saranno, ma i sindacati sono tornati a chiedere al Mise di essere convocati come promesso nell'incontro del 12 ottobre scorso. «Dobbiamo avere le necessarie garanzie affinché il progetto di sviluppo della compagnia sia serio e senza esuberi, ma con prospettive per nuova occupazione», ha affermato la Uil trasporti. «In assenza di un chiaro segnale da parte del governo sul futuro di Alitalia», ha aggiunto la Filt Cgil, «non sarà semplice arrivare a un accordo» sulla cassa integrazione straordinaria. Per questo il confronto sul rinnovo della Cigs (che al 23 marzo 2018 riguardava 1.570 dipendenti) è stato rinviato a oggi, termine ultimo per trovare, anche in questo caso, un accordo.
Cartelli antisionisti affissi fuori dallo stadio dell'Aston Villa prima del match contro il Maccabi Tel Aviv (Ansa)
Dai cartelli antisionisti di Birmingham ai bimbi in gita nelle moschee: i musulmani spadroneggiano in Europa. Chi ha favorito l’immigrazione selvaggia, oggi raccoglie i frutti elettorali. Distruggendo le nostre radici cristiane.
Uno spettro si aggira per il mondo: lo spettro dell’islamo-socialismo. Da New York a Birmingham, dalle periferie francesi alle piazze italiane, cresce ovunque la sinistra di Allah, l’asse fra gli imam dei salotti buoni e quelli delle moschee, avanti popolo del Corano, bandiera di Maometto la trionferà. Il segno più evidente di questa avanzata inarrestabile è la vittoria del socialista musulmano Zohran Mamdani nella città delle Torri Gemelle: qui, dove ventiquattro anni fa partì la lotta contro la minaccia islamica, ora si celebra il passo, forse definitivo, verso la resa dell’Occidente. E la sinistra mondiale, ovviamente, festeggia garrula.
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?






