2022-05-19
Presa in giro di Pfizer sui lotti sospetti: fornisce i documenti ma censura i dati
Le carte sulla sicurezza dei sieri: su 40 pagine, 32 sono oscurate. Un senatore Usa interpella Fda e Cdc su stock ed effetti avversi.Il Veneto tappa i buchi negli ospedali con neolaureati e specializzandi. Medici privi di esperienza e senza affiancamento in pronto soccorso e ambulatori.Lo speciale comprende due articoli. Un documento Pfizer, fino a poco tempo fa tenuto secretato, adesso finalmente è stato reso disponibile dall’Ema. Peccato però che sui vaccini la trasparenza spesso è solo un’illusione, a discapito della nostra salute. E così in questo clima, in cui è meglio nascondere che dimostrare, il report che contiene i dati sulla sicurezza dei lotti di vaccino della casa farmaceutica statunitense vede finalmente la luce come una lunga serie di pagine nere, censurate, con buona pace della trasparenza. Un plico di 40 fogli in cui sono descritti tutti gli esami, con i rispettivi risultati, eseguiti su determinati lotti di vaccino contro il Covid, per verificare che abbiano caratteristiche e qualità adeguate. L’obiettivo di questi test, come si legge nel documento, è «garantire la comparabilità delle caratteristiche dei lotti» il tutto per assicurare che i vaccini siano tutti uguali, indipendentemente dal tempo e dal luogo di produzione. Dati importanti quindi, che però sono stati cancellati. Delle 40 pagine, ben 32 sono rese illeggibili in tutto o nelle parti di maggior interesse. «I numeri rilevanti e i grafici sono stati completamente oscurati e non sono consultabili» ci spiega il professor Marco Cosentino, farmacologo dell’Università degli Studi dell’Insubria «nel documento dovrebbe essere mostrato se ci sono lotti in cui i vaccini non rispondono ai livelli minimi di sicurezza e che quindi dovrebbero essere scartati, ma non solo, c’è scritto anche come viene calcolata la soglia minima per accertare o meno la qualità di ogni singolo lotto di vaccino, peccato però che tutto questo non sia visibile». Il vaccino contro il Covid, come si legge nello stesso sito della Pfizer, viene prodotto in undici stabilimenti che sono distribuiti in cinque nazioni (Stati Uniti, Germania, Belgio, Irlanda e Croazia). «È evidente quindi la necessità che venga garantita una uniformità nella produzione di questi vaccini, realizzati in cinque Paesi molto diversi tra loro - sottolinea Cosentino - soprattutto in relazione all’enorme campagna vaccinale che si sta portando avanti, in cui è stato posto addirittura l’obiettivo di vaccinare almeno il 70% della popolazione mondiale». Tutto questo, infatti, comporta e comporterà sempre di più uno sforzo enorme soprattutto per Pfizer, dato che è il principale vaccino in uso per combattere la pandemia. «Se i dati sono censurati e non ci può essere il controllo da parte del grande pubblico, bisogna solo sperare che le organizzazioni internazionali, come Ema e Fda svolgano il loro ruolo di controllo, ora che la produzione di questi vaccini è praticamente salita alle stelle» evidenzia il professore. Bisogna fidarsi, quindi, non avendo altri strumenti a disposizione, però i dubbi comunque rimangono. Perché censurare i dati? Cosa c’è da nascondere? Domande come queste se le è poste anche un senatore americano, Ron Johnson, che ha scritto una lettera indirizzata alla Fda e al Cdc, l’agenzia federale americana di sanità pubblica. Quattro pagine in cui il senatore chiede quali sono i tipi di test effettuati per verificare la qualità dei lotti di vaccino, ma non solo. Johnson domanda anche quali dati le case farmaceutiche sono tenute a inviare agli enti di controllo per permettere il monitoraggio dei livelli minimi di sicurezza. «Se i sistemi di controllo della qualità funzionassero correttamente ci si aspetterebbe di vedere una distribuzione di effetti avversi e decessi uniforme per tutti i lotti, ma non è così» sottolinea il senatore. Nel documento, infatti, mostra i risultati di alcuni ricercatori che hanno elaborato i dati presenti su una piattaforma ufficiale americana in cui vengono registrate tutte le segnalazioni di effetti avversi negli Stati Uniti, chiamata Vaers. «Circa l’80% degli eventi avversi segnalati solo negli Stati Uniti per i vaccini Covid sono associati a solo l’1% dei lotti di vaccino, così come circa l’80% degli eventi avversi gravi sono associati a circa il 5% di lotti di vaccini specifici segnalati al Vaers» sono le conclusioni dei ricercatori riportate dal senatore nella sua lettera. Dati sconcertanti, che dimostrerebbero come la maggior parte degli effetti avversi, anche gravi e delle morti, sia riconducibile a dei lotti specifici. A simili conclusioni sono arrivati anche i danneggiati da vaccino, che in Italia si sono riuniti in un comitato e che ora si sono attrezzati, con il supporto di medici e specialisti, per cercare di capire cosa stia succedendo, in mancanza di un aiuto da parte delle istituzioni. «Da alcuni mesi stiamo confrontando il numero di lotto con le reazioni avverse e iniziamo a vedere delle correlazioni - ci spiega Stefano Ferrero, vicepresidente del Comitato Ascoltami - abbiamo già identificato diversi casi in cui a uno stesso numero di lotto sono corrisposte reazioni avverse molto simili, alcune volte anche gravi». Se persino un gruppo di persone comuni riesce ad arrivare a risultati simili a quelli di alcuni ricercatori americani legando il problema delle reazioni avverse alla sicurezza dei lotti di vaccino, come mai questo fenomeno non viene considerato dalle istituzioni, e soprattutto perché si continuano a censurare quelle poche informazioni che ci sono e che potrebbero portare un po’ di chiarezza?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/presa-in-giro-di-pfizer-sui-lotti-sospetti-fornisce-i-documenti-ma-censura-i-dati-2657349684.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-veneto-tappa-i-buchi-negli-ospedali-con-neolaureati-e-specializzandi" data-post-id="2657349684" data-published-at="1652900688" data-use-pagination="False"> Il Veneto tappa i buchi negli ospedali con neolaureati e specializzandi Finire al pronto soccorso e, dopo ore di attesa, essere visitati da uno specializzando alle prime armi. Accadrà in Veneto, dove la legge ordinamentale approvata dal Consiglio regionale prevede che alla carenza di medici si faccia fronte pescando nei corsi triennali di formazione. Manca il referente di base sul territorio? Ecco che giovani più o meno volonterosi si occuperanno fino a un massimo di 1.200 assistiti, retribuiti con stipendio e borsa di studio. Nel dipartimento di emergenza non si sono abbastanza camici bianchi? Basterà frequentare il primo anno di specializzazione per saper fornire trattamenti per malattie e infortuni, che invece richiedono un’attenzione immediata e grande esperienza clinica. Una decisione paradossale quella presa dal Veneto, che non migliorerà i rapporti tra cittadino e sanità, esponendo pazienti a incidenti di percorso facilmente immaginabili. Speriamo non con conseguenze drammatiche. Perché oltre a caricare gli specializzandi di problematiche che nemmeno avranno letto sui testi universitari, vengono pure lasciati da soli, allo sbaraglio. Sono stati bocciati, infatti, gli emendamenti che almeno chiedevano la presenza di un tutor per gli iniziati alla medicina di base e soprattutto per i dottorini scaraventati in prima linea, a combattere nei Pronto soccorso. Annasperanno per proprio conto, cercando su Google l’aiuto nel valutare un’emergenza, prima di decidere se il paziente va rinviato a un’unità specializzata o rimandato a casa. Magari perché non ci hanno capito nulla delle sue condizioni cliniche. Dipartimenti che sono sempre di più presi d’assalto, considerata la latitanza di tanti medici di famiglia, e che dovrebbero contare su un personale qualificato in medicina d’urgenza, diventeranno dunque palestre per praticanti, sulla pelle di cittadini allo sbaraglio. «Il tutor è già concesso dalle norme nazionali e li assiste a scuola», ha dichiarato l’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin, «noi dobbiamo dare risposte concrete e veloci ai cittadini». Per quando riguarda gli specializzandi che finiranno a lavorare nei pronto soccorso, l’assessore ha promesso: «Saranno affiancati dagli strutturati nei momenti più critici». Cioè nella penuria di medici, se il dottorino non sa dove sbattere la testa con il paziente in barella e i famigliari angosciati, scenderà dai piani alti qualche esperto a dargli una mano? Ma chi ci crede? E, soprattutto, non ha nulla di serio un’impostazione di questo tipo. «Gli specializzandi in pronto soccorso dal primo anno derogano ai principi di sicurezza dei malati e di tutela dei medici», ha commentato sul Corriere del Veneto Giovanni Leoni, segretario della Cimo, sindacato espressione della realtà medica ospedaliera. Non è una risposta alla carenza di personale, andare a pescare tra neo laureati. Nemmeno del secondo o terzo anno di specializzazione, ma già dal primo quindi con la preparazione che possiamo immaginarci. «L’area di emergenza urgenza non è più appetibile», ricordava qualche giorno fa Massimiliano Dalsasso, segretario veneto di Aaaroi Emac, il sindacato di anestesisti, rianimatori e medici dell’area critica. Ma la soluzione non è svalutarla di importanza, mettendoci a lavorare personale non qualificato. «I professionisti devono avere soddisfazioni professionale e personali», questa è la strada da seguire secondo Dalsasso, con «gratificazioni economiche e rispetto dell’equilibrio tra vita privata e lavorativa», perché i turni al Pronto soccorso sono diventati troppo pesanti e caotici. Se le previsioni del ministro Speranza e di tante virostar si rivelassero fondate, e il prossimo autunno qualche nuova variante portasse ad aumenti dei contagi e quindi degli accessi al Pronto soccorso, sapere che a fronteggiare le urgenze saranno specializzandi è un’altra, vera, fonte di preoccupazione.
Jose Mourinho (Getty Images)