2018-04-12
A Damasco arrivano pure i cinesi. Ma noi abbiamo Alfano
Messaggio di Donald Trump a Vladimir Putin «Preparatevi ai missili». Risposta: «Li abbatteremo». Nel Mediterraneo intanto arrivano le navi di Xi Jinping, una buona notizia per Angela Merkel.La tensione attorno a Damasco ha raggiunto l'apice e le grandi potenze mondiali preparano strategie e studiano le alleanze. Il premier Paolo Gentiloni si accoda agli americani, ma fin qui il governo non si è preso responsabilità. Salvo assegnare le ultime poltrone.L'Onu è divisa: scambio di veti fra States e russi sulle risoluzioni per accertare l'utilizzo di gas da parte di Bashar Al Assad. Pechino va avanti per conto proprio, Parigi rinsalda l'asse con gli Usa.L'ingresso della Francia di Emmanuel Macron nello scacchiere siriano ha cambiato tutte le carte in tavola. E soprattutto ha messo il pepe nei cannoni delle varie parti in causa. Martedì la Casa Bianca ha alzato i toni annunciando l'invio di una nuova nave in partenza da Norfolk e il dispiegamento della Donald Cook da Cipro alla Siria. Il mezzo è dotato di missili cruise. Ieri il presidente Donald Trump ha pubblicato un discutibile tweet, almeno per le parole usate: «La Russia minaccia di abbattere i missili. Allora state pronti che arriveranno, belli, nuovi e veloci. Non dovreste mettervi dalla parte di un animale che gasa le persone e ne gioisce», ha scritto riferendosi a Bashir Al Assad. Ovviamente l'ambasciatore di Mosca in Libano, Alexander Zasypkin, ha immediatamente replicato che l'esercito russo è pronto ad «abbattere i missili» americani e «distruggere le fonti di lancio».Dal canto suo, il governo siriano ha definito «spericolate» e «avventate» le minacce americane di un attacco militare. L'Associated Presse ha poi riferito che Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna stanno accordandosi per una possibile risposta militare comune in Siria entro il fine settimana. E da Londra Sky News ha aggiunto che la premier Theresa May ha detto che la Gran Bretagna lavorerà con i suoi «più stretti alleati» per valutare in che modo i responsabili dell'ultimo attacco in Siria possono essere tenuti a renderne conto. Da questa mattina, infine, la polizia militare russa sarà schierata a Duma, la città siriana che si ritiene sia stata colpita da un attacco con armi chimiche, per garantire «ordine e sicurezza». Per completare lo scenario ufficiale, bisogna aggiungere che ieri pomeriggio Vladimir Putin ha a sua volta schierato 15 navi a protezione della costa siriana tenendo come punto di riferimento la base di Latakia. La spoletta della sfida è stata così sganciata e la gravità della situazione si percepisce dalla mossa inaspettata cinese. A quanto risulta alla Verità il Dragone ha dato ordine alle sue navi di stanza a Gibuti di prendere la rotta per la Siria.Ottenuto l'ok da parte del Cairo i mezzi varcheranno presto il canale di Suez e si posizioneranno tra Cipro e la Siria. Con l'intento di diventare il terzo incomodo tra Russia e Stati Uniti. Già lo scorso anno Pechino si era detta determinata a migliorare le capacità di proiezione delle proprie forze navali per proteggere i crescenti interessi e diritti oltremare, in particolare le rotte internazionali essenziali per il commercio cinese e il fabbisogno energetico. «La task force navale cinese nel Golfo di Aden consiste generalmente in due fregate lanciamissili e una nave di rifornimento con due elicotteri imbarcati e circa 700 militari, tra cui dozzine di uomini delle forze speciali», spiegava Analisi Difesa lo scorso gennaio quando la ventottesima task force inviata dalla flotta della Marina cinese arrivava a Gibuti (il 23 dicembre) per avvicendare le unità già presenti. Le fregate Yancheng e Weifang e la nave di rifornimento Taihu, salpate da Qingdao il 3 dicembre, durante il viaggio avevano approfittato della tratta per effettuare esercitazioni e soprattutto per dimostrare agli osservatori occidentali di essere pronte a qualunque evenienza. Tanto più che la base cinese nella piccola nazione africana da qui al 2020 sarà pronta a ospitare addirittura 10.000 uomini. La polveriera siriana diventerebbe così il primo scenario nel quale i cinesi potrebbero confrontarsi per prendere il ruolo di potenza alla pari di Russia e Usa con l'intento di salire un gradino sopra. Qualcosa come un elemento super partes che, in realtà, Pechino non è. Xi Jinping sa molto bene che gli interessi del Dragone impongono nuovi equilibri e finché lo scontro è tra Trump e Putin la sfera resta limitata. l'ingresso della Francia nello scacchiere cambia le esigenze e rischia di spezzare le relazioni underground tra il governo di Pechino e i Paesi del Medioriente. Non solo l'arrivo delle navi della Repubblica Popolare permetteranno alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, di tirare un respiro di sollievo. La mossa di Macron è chiaramente mirata a scalzare Berlino nell'area e avvelenare i pozzi delle relazioni diplomatiche germaniche che da anni si muovono sull'asse turco-iraniano. Con il beneplacito della Cina. Ecco perché quest'ultimo intervento può anche essere visto come ulteriore salvagente per Recep Tayyp Erdogan, che come la Merkel si sta trincerando in un simbolico silenzio. Senza dimenticare che la strategia cinese si sviluppa su due fronti. Sempre ieri nell'arco di circa 20 minuti due caccia F18 sono decollati dalla portaerei Uss Theodore Roosvelt per sorvolare una nave della stessa classe appartenente alla flotta cinese. Motivo? Il comando della portaerei ha specificato «di essere di fronte a un inusuale dispiegamento di forze», ha riportato il sito businessinder.com. Qualcosa di anomalo per una esercitazione. È chiaro che è tutta una questione di nervi e di annunci. Anche perché i motivi ufficiali per l'intervento sembrano - come al solito - un pretesto. Eppure nonostante la stessa Onu abbia messo in discussione l'uso di gas chimici, il Consiglio di sicurezza ieri ha bocciato la terza bozza di risoluzione sulla Siria presentata dalla Russia, che chiedeva l'invio di investigatori Opac a Duma. Il gioco dei nervi è comunque pericoloso. Basta un pilota che sbagli una manovra e sconfini, magari in Turchia, affinché il conflitto esploda davvero. Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/polveriera-siriana-cinesi-alfano-2559246829.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="spirano-venti-di-guerra-noi-abbiamo-lex-delfino" data-post-id="2559246829" data-published-at="1758190126" data-use-pagination="False"> Spirano venti di guerra, noi abbiamo l'ex delfino Siamo nelle mani di Paolo Gentiloni e Angelino Alfano, e abbiamo già detto molto. Anzi: nemmeno di Gentiloni e Alfano in condizioni normali, ma di Gentiloni e Alfano con gli scatoloni in una mano, la valigia nell'altra, e sulla testa il dubbio se calzare l'elmetto o lo scolapasta. Nulla di personale, intendiamoci, nessuna volontà di essere sgradevoli: ma è la situazione ad essere a dir poco imbarazzante. Nessuno sa se «Damasco 2018» finirà per assomigliare a «Sarajevo 1914»: ovviamente c'è da sperare di no. Ma, nel momento esatto in cui scriviamo, il livello della tensione è altissimo, mentre la consapevolezza politica e istituzionale in Italia non sembra affatto adeguata. Ieri a tarda sera, quando ormai tutti i grandi leader avevano chiarito la propria posizione, il premier italiano (uscente) ha preso l'iniziativa e si è accodato - non sappiamo quanto per inerzia - alla colonna che parte dalla Casa Bianca: «Non possiamo tollerare», ha dichiarato Gentiloni in una breve nota, «l'utilizzo di armi chimiche da parte di Assad». Non poniamo - oggi - una questione di merito, di contenuto, di scelta di campo. Ogni opinione è legittima. Legittimo (come chi scrive) essere atlantisti e ritenere che l'Italia debba stare dalla parte di Washington, a maggior ragione per non apparire meno leali dell'asse francotedesco, che non aspetta altro se non descrivere un'Italia inaffidabile. Altrettanto legittima (ovviamente!) una opinione di segno diametralmente opposto, più convinta delle posizioni di Putin e Assad. Assolutamente legittima e motivata la notazione di Matteo Salvini: evitare di compiere scelte sulla base di informazioni incerte o dubbie. Ripeto: ogni posizione ha pieno diritto di cittadinanza. E, anzi, il nostro dibattito pubblico trarrebbe grande giovamento da una discussione seria, alta, profonda, tra posizioni diverse. Ma - in questo momento - è necessario sottolineare un punto determinante, che viene ancora prima del merito: mi riferisco al metodo, quindi a chi decide, e in ultima analisi attraverso quali passaggi l'Italia prenderà una decisione dalle implicazioni rilevantissime. In particolare, qual è la condizione politica e istituzionale dell'attuale governo, in articulo mortis? Anche qui, chiediamo solo un minimo di coerenza. Se il governo ancora fa le nomine (perché ne ha fatte e ne fa, e in settori delicatissimi); se il governo decide e avalla l'intervento di Cassa depositi e prestiti in un settore chiave come le telecomunicazioni e le reti; se il governo prende una decisione così straordinariamente importante di politica estera, perché poi arretra e rinvia quando si tratta di preparare il Def? Ci sia chiarezza. E non ci sia il solito doppio standard, la solita logica dei due pesi e delle due misure: quella per cui quando fa comodo tirarsi indietro, si sottolinea che l'Esecutivo deve solo occuparsi del disbrigo degli affari correnti, mentre quando fa comodo buttarsi avanti si agisce come se il governo fosse nella pienezza dei suoi poteri. Per carità, nessuno vuole nascondersi che la tempistica della crisi internazionale ha colto l'Italia in una terra di nessuno, all'indomani delle elezioni: e a maggior ragione le forze politiche devono sentire la responsabilità di dare uno sbocco tempestivo e credibile alla crisi. Ma, con la stessa onestà intellettuale, occorre chiedere al governo in carica di essere trasparente, conseguente, e non «doppio». Non assente nei giorni pari, e poi improvvisamente iperattivo nei giorni dispari. So bene che su questi temi collegati alla difesa e agli impegni militari dell'Italia c'è un rilevantissimo ruolo costituzionale del capo dello Stato, e che - per altro verso - non mancheranno le opportune discussioni parlamentari. Ma Quirinale e Camere non possono - per così dire - surrogarsi del tutto al governo, o usare il residuo di governo esistente come paravento per riservarsi di decidere, di non decidere, o di decidere solo un po'. Mi spiego con un esempio ulteriore, che rende la misura di quanto la situazione sia densa di incognite. Poniamo il caso che, a operazioni avviate, la Turchia sia tra i soggetti che reagiscono, e che dunque anche in ambito Nato si apra una faglia da non sottovalutare. Quale governo, quale ministro degli Esteri, quale ministro della Difesa, quale presidente del Consiglio si assumeranno la responsabilità di orientarsi e orientare l'Italia? Vogliamo sollevare oggi con forza questo tema anche per alimentare una discussione pubblica degna di questo nome. Con tutto il rispetto, l'Italia non può passare quattro settimane (e oltre!) a parlare soltanto di Roberto Fico in autobus, dei vitalizi, delle elezioni in Molise. Per carità: tutto ha rilievo, tutto merita rispetto e attenzione. Ma la collocazione del Paese sulla scacchiera internazionale, e soprattutto le modalità con cui la catena di comando e i processi decisionali saranno attivati forse pesano un po' di più delle questioni domestiche, condominiali e di cortile. Daniele Capezzone <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/polveriera-siriana-cinesi-alfano-2559246829.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="londa-durto-del-conflitto-in-siria-apre-una-crepa-nel-palazzo-di-vetro" data-post-id="2559246829" data-published-at="1758190126" data-use-pagination="False"> L’onda d’urto del conflitto in Siria apre una crepa nel Palazzo di vetro Il dato oggettivo che a oggi è disponibile è quello fornito dall'Oms, secondo la quale circa 500 persone a Douma, Siria, sono state soccorse dopo aver manifestato «segni e sintomi compatibili con l'esposizione ad agenti chimici tossici». L'Oms ha chiesto di poter accedere all'area colpita per svolgere un'indagine indipendente e accertare quel che è accaduto. Fino ad ora l'accesso nell'area ancora controllata dai ribelli anti Assad non è stato possibile e in attesa di conclusioni certe si ripropone quell'alterco che è già si è scatenato in altre due circostanze nel passato: i ribelli accusano il regime di Damasco di aver scatenato un attacco chimico. Assad reagisce negando ogni responsabilità. Anche sul numero dei morti c'è un balletto di cifre poco rispettoso nei confronti della tragicità degli eventi: all'inizio si era parlato di 100 decessi, poi scesi a 40. In questo momento l'Oms fa riferimento a un bollettino più asettico, che parla di intossicati. Ad essere tossico è sicuramente il clima internazionale, dopo questa ennesima fiammata della crisi siriana. Al Palazzo di Vetro i toni tra Russia e Stati Uniti ricordano i tempi della guerra fredda. Il delegato del Cremlino al Consiglio di sicurezza ha posto il veto a una risoluzione che prevedeva in maniera intrecciata tre cose: l'avvio di un'indagine internazionale su quanto accaduto a Douma, una condanna dell'attacco con una evidente allusione alle responsabilità del governo siriano e l'istituzione di un piano di aiuti umanitari nell'area. Mosca - come sempre è avvenuto negli ultimi anni - difende Assad e si oppone a uno smembramento della Siria per aree di influenza. Ogni volta che però si diffondono notizie di un attacco chimico il protettorato russo su Damasco subisce duri attacchi, quanto meno mediatici. «Il presidente Putin, la Russia e l'Iran sono responsabili per il supporto che danno all'animale Assad» ha twittato Donald Trump, che in queste ore coglie anche l'occasione per liberarsi dall'immagine di presidente degli Stati Uniti gradito ai Russi, che l'opposizione democratica con patetica insistenza continua ad attribuirgli. La questione siriana è diventata guerra mediatica, a colpi di tweet e dichiarazioni minacciose, anche perché al Consiglio di sicurezza dell'Onu non vi è alcuna possibilità di una pacifica composizione del contrasto. I ruoli ormai da tempo sono imbalsamati. La Russia è pronta a porre il veto a ogni risoluzione occidentale. Il delegato del Cremlino può contare come sempre sull'impasse della Cina, che non assume una posizione netta sulla vicenda ma di certo non avalla proposte di interventismo che vengano dai Paesi della Nato. Ieri è stata diffusa la dichiarazione ufficiale della diplomazia di Pechino. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, in conferenza stampa ha detto che «la Cina è dispiaciuta che al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è stato raggiunto un accordo, la Cina è preoccupata per la situazione in Siria», aggiungendo che «il compito principale in questo momento è un'indagine imparziale, completa e obiettiva sul presunto utilizzo di armi chimiche in Siria». L'utilizzo delle armi chimiche per la superpotenza asiatica è «presunto», il che nella lingua della diplomazia significa: probabile espediente della propaganda dei ribelli anti Assad. Nelle dichiarazioni delle diplomazie occidentali il punto di vista si capovolge e la certezza di una criminale azione del governo di Assad contro il suo stesso popolo viene reiterata in decine di comunicati. Rispetto agli anni delle due guerre del Golfo, gli States possono contare non solo sulla tradizionale intesa con l'Inghilterra ma anche su un appoggio più convinto della Francia. Gli ultimi tre presidenti transalpini - Sarkozy, Hollande e Macron - hanno di molto attutito quell'atteggiamento di tradizione gaullista che spingeva Parigi a differenziarsi dalla Casa Bianca nel corso delle crisi più incandescenti tra Est e Ovest. In queste ore la diplomazia di Macron è interventista in senso anti Assad (e antirusso) tanto quanto gli omologhi britannici. A proposito di Londra, nel bel mezzo della crisi internazionale l'ambasciatrice del Regno Unito all'Onu, Karen Pierce, è caduta in una estemporanea gaffe. Anche stavolta galeotto è stato un tweet, in cui la Pierce scriveva: «Marx si rivolta nella tomba a vedere cosa accade al suo Paese, coinvolto nella difesa di un attacco contro innocenti». L'ambasciatrice si riferiva alla Russia e - forse nella foga di attaccare Mosca - dimenticava che Marx era tedesco, non russo. Purtroppo in queste ore l'escalation militare rischia di sovrastare le scaramucce verbali. Il pallino è nelle mani di Donald Trump, come già qualche mese fa quando i ribelli accusarono per la seconda volta Assad di attacco chimico. Ma cosa ha in mente Trump? «La Casa Bianca oggi valuta due diverse opzioni strategiche», ci dice Daniele Scalea, analista politico internazionale e presidente dell'Isaag, «da un lato persegue la linea di un'eradicazione completa del fenomeno Isis, che appunto in Siria aveva una sua roccaforte, dall'altra cerca di evitare che la Siria diventi campo di manovra dell'Iran a pochi passi dal confine con Israele. Il secondo motivo oggi diventa prevalente e rafforza l'impressione che il conflitto siriano, più che una guerra civile, sia una guerra per procura in cui si fronteggiano iraniani, sauditi e soggetti ancor più grandi che a loro volta fiancheggiano una parte o l'altra». Ma se la guerra in Siria è la lente d'ingrandimento dei più rischiosi conflitti geopolitici oggi in atto e se - come spesso accade - il Consiglio di sicurezza dell'Onu è paralizzato dai veti contrapposti, allora il mondo davvero ha da temere per una escalation militare della crisi. Alfonso Piscitelli
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.