2025-11-06
Roberto Crepaldi: «Altro che deriva autoritaria, la riforma dà troppi poteri ai pm»
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.Dottor Crepaldi che cosa pensa della riforma della giustizia apparecchiata dal governo?«La separazione delle carriere non mi scandalizza: se le due funzioni sono diverse può essere necessario alzare barriere contro interferenze reciproche, anche solo possibili, nei giudizi di professionalità e nelle nomine. Aumentare il livello di trasparenza interna può anche essere un ulteriore passo per recuperare la credibilità nei confronti dei cittadini. Del resto, il distacco del pubblico ministero dal giudice mi sembra ormai definitivo e le due professionalità sono ormai radicalmente diverse. La “cultura della giurisdizione” del pubblico ministero mi sembra lasciata alla buona volontà del singolo e non richiesta come minimo comune denominatore tra le due figure».Che cosa intende per cultura della giurisdizione?«Significa che il pm è in grado di valutare in modo tendenzialmente imparziale, pur essendo parte, la fondatezza della sua tesi e si pone il problema della sostenibilità in un processo delle ipotesi investigative». Ma spesso non è così…«Se un pm vede rigettate un numero assolutamente anomalo delle sue richieste al giudice significa che non pondera bene le sue istanze. Ma quando la riforma Cartabia ci ha proposto di verificare la professionalità dei magistrati valutando anche questi indici di anomalia ci siamo opposti con troppo fervore. Di che cosa si aveva paura?».Il clima referendario è, come si dice, infuocato. Avvocati, politici e magistrati hanno già alzato le barricate in vista del voto. «Spiace constatare come la discussione sia così accesa sulla separazione, quando, invece, i problemi principali della riforma sono altri». E quali sono?«A me sembra che un pm indipendente, ma slegato dalla giurisdizione, cioè dal mondo dei giudici, sia destinato a finire fuori controllo. Quanto ci metteranno accese dinamiche processuali a diventare problemi istituzionali tra i due Consigli, con il presidente della Repubblica chiamato a mediare? Con uno dei due Consigli che avrà mano libera a difendere le proprie ragioni e l’altro (quello dei giudici) costretto a prudenza per non esporre anche i colleghi che dovranno decidere sulle impugnazioni. Mi sembra chiaro che bisognerà presto rimettere mano agli equilibri».Sembra di capire che a suo giudizio questa riforma non sia punitiva nei confronti dei pm…«È esattamente il contrario. Il professor Ennio Amodio ha addirittura parlato di “ascensore istituzionale”. L’intento dichiarato è quello di dare più spazio alla giurisdizione, relegata a un ruolo di secondo piano dal protagonismo processuale e associativo dei pubblici ministeri. Ma tale obiettivo non mi pare realizzabile seguendo la strada tracciata dalla riforma. Non è coerente con la scelta di dare a una parte processuale, cioè al pm (le altre sono l’avvocato e l’imputato, ndr) pari dignità costituzionale rispetto al giudice e un proprio organo costituzionale».Come si poteva evitare di accrescere il potere dei pm?«Sarebbe bastato che la riforma mantenesse un unico Consiglio superiore diviso in due sezioni (una per i pm e una per i giudici) e non ci sarebbe stata ragione di opporsi. Invece si è deciso di andare oltre a quanto era strettamente necessario».Sembra preoccupato…«Sono gli equilibri che si verranno a creare dopo la riforma a preoccuparmi e a farmi propendere per una netta contrarietà alla riforma complessiva».Che cosa pensa dell’Alta corte disciplinare per le toghe, un giudice terzo esterno ai Csm? Il ministro Carlo Nordio ha detto che sino a oggi Palazzo Bachelet con la sua sezione disciplinare ha garantito una specie di giustizia domestica per le toghe…«La magistratura è, nel suo complesso, un corpo sano e laborioso, che non ha bisogno di ampliare l’uso del disciplinare».Su questo mi sento di dissentire… comunque, prosegua pure con il suo ragionamento…«Piuttosto bisognerebbe abbandonare l’idea che “uno vale uno” e cominciare a distinguere le attitudini dei singoli nelle valutazioni di professionalità, così da essere pronti quando si tratta di scegliere tra due colleghi per un incarico. Nella “notte in cui tutte le vacche sono nere” è facile far prevalere le logiche correntizie».Numerosi magistrati sono ostili anche all’idea di selezionare con i bussolotti i componenti dei vari Csm…«Sul sorteggio bisogna partire facendo la massima autocritica. La proposta è figlia dell’incapacità della magistratura di liberarsi dal correntismo. Governo autonomo significa anche assumersi la responsabilità di cambiare quello che intacca l’autonomia del magistrato dall’interno, cioè le degenerazioni del sistema correntizio. Ma su questo punto si è scelta la conservazione».Quindi, semplificando, considera il sorteggio una sorta di giusta punizione per chi non ha saputo liberarsi dal sistema clientelare che regna dentro al vostro mondo?«No, la punizione è ingiusta perché finisce per riverberarsi sull’autorevolezza di un organo costituzionale che non è proprietà esclusiva della magistratura, ma appartiene a tutti i cittadini».A onor del vero a minare l’autorevolezza della categoria ci hanno pensato, per anni, molti suoi colleghi. Le chat di Luca Palamara sono lì a testimoniarlo. E non stiamo parlando di episodi secondari. Le sue parole sono balsamo per chi, soprattutto tra le toghe progressiste, sostiene che questa parte della riforma, ossia un giudice terzo, minerebbe l’autonomia della magistratura…«La strumentalizzazione di oggi da parte della politica delle storture del correntismo per indebolire il Csm è figlia degli scioperi indetti contro la riforma Cartabia: se si fosse accettata una riduzione della discrezionalità nelle nomine e si fosse presa sul serio la mano tesa dal legislatore per rendere più serie le valutazioni quadriennali, oggi avremmo più credibilità nel gridare contro la perdita di autorevolezza del Consiglio che certamente deriverà dal sorteggio». Alla fine, lei voterà Sì o No al referendum?«No, per il motivo che le ho detto. Ma non ho aderito al comitato del No perché vedo troppi slogan e poca lungimiranza. Tutti i protagonisti della giustizia, magistrati e avvocati, che si spendono nella campagna referendaria dovrebbero avere il senso di responsabilità che deriva dalle rispettive funzioni e informare anziché rivolgersi accuse reciproche. Cercherò di contribuire a modo mio a far capire ai cittadini i possibili rischi».Ci sarà una giustizia da amministrare anche dopo il voto…«E specialmente la mia categoria deve necessariamente pensare a cosa accadrà all’indomani del referendum: se vincerà il No sarà importante gestire con responsabilità la rinnovata capacità di incidere sull’opinione pubblica, senza montarsi la testa. Se, invece, vincerà il Sì bisognerà evitare aventini e sabotaggi di sorta e collaborare alla ricerca dei nuovi equilibri nell’interesse della giustizia».Secondo lei i suoi colleghi, soprattutto i pm, ascolteranno questo suo invito?«A parte qualche fuga in avanti, la magistratura si è sempre dimostrata responsabile nei momenti di difficoltà e sono sicuro che lo sarà anche questa volta».Alcune toghe parlano di fascismo in arrivo…«E io mi dissocio. Non si può sostenere né che oggi l’Italia sia priva di un efficace controllo giurisdizionale, né sventolare fantasmi di derive autoritarie di cui, allo stato, non si vede l’ombra». In fondo, anche Giovanni Falcone invocava la separazione delle carriere…«Lasciamo tutti stare Falcone. Tirarlo per la giacchetta continuamente per fare campagna elettorale in entrambi i sensi mi sembra inutile, oltre che poco rispettoso».
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.