2025-11-06
Sempio, Venditti: «Seguita la prassi». I magistrati però lo smentiscono
Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.Stiamo parlando della comunicazione, firmata il 23 febbraio 2017 da Venditti e dalla sua collega Giulia Pezzino e pubblicata integralmente sull’ultimo numero Panorama. In essa si leggeva questo testo: che i pubblici ministeri, «rilevato che, essendo ancora in corso indagini volte a meglio circostanziare le modalità esecutive dell’azione delittuosa nonché all’identificazione di eventuali concorrenti nel reato, dal deposito dei verbali, delle registrazioni e della documentazione […] può derivare grave pregiudizio alla prosecuzione delle indagini stesse, in quanto devono essere ancora completate le richieste (al plurale, come se ci fossero più persone sotto inchiesta, ndr) di misura coercitiva» chiedevano di essere autorizzati «a ritardare il deposito». Venti giorni dopo, però, come detto avrebbero chiesto l’archiviazione di Sempio.Si è trattato di sciatteria? È stato utilizzato un modulo prestampato? In realtà Venditti, ieri, dopo avere letto lo scoop di Panorama, attraverso il suo avvocato, Domenico Aiello, ha diramato un comunicato in cui ha rivendicato quell’atto e la spiegazione data al ritardo: «Siamo di fronte alla scoperta dell’acqua calda, l’ennesima», ha spiegato infastidito. «È una prassi comune a tutti gli inquirenti, tutti, dico tutti i pm d’Italia. Nelle inchieste sui reati più gravi, si ritarda il deposito delle intercettazioni adottando nella richiesta di autorizzazione al gip una motivazione che lasci aperte tutte le porte e non pregiudichi qualsivoglia futura iniziativa». Quindi Venditti smentisce sé stesso e, in particolare, le sue precedenti dichiarazioni, quelle in cui aveva assicurato di avere compreso nello spazio di 21 secondi che in quella nuova inchiesta non ci fosse trippa per gatti e che Sempio andasse archiviato senza se e senza ma. Oggi ci fa sapere che due mesi dopo l’apertura del nuovo fascicolo per omicidio a carico del giovanotto si voleva lasciare «aperte tutte le porte» e che, per questo, insieme con la collega Pezzino, avrebbe scritto che stava completando le richieste di arresto.Una specificazione non richiesta, né prevista dal codice di procedura penale. Infatti, come abbiamo verificato scartabellando in decine di fascicoli giudiziari, il ritardato deposito è quasi sempre giustificato con la medesima formula, praticamente un prestampato o un timbro, e cioè che dalla consegna delle intercettazioni «può derivare grave pregiudizio alla prosecuzione delle indagini». Stop. Per ottenere il rinvio, la grande maggioranza dei pm si guarda bene dall’anticipare per iscritto al giudice la volontà di mandare in carcere gli indagati, soprattutto se questa volontà è labile, al punto da capovolgersi nel giro di tre settimane.La stessa Procura di Pavia, abbiamo verificato, usa un timbro con poche righe accompagnate dalla firma del pm. Questa la formula prescelta: «Rilevato che […] sono ancora in corso attività di indagine che potrebbero essere pregiudicate dal deposito […] si richiede di autorizzare il ritardato deposito degli atti». Ieri abbiamo provato a chiedere all’avvocato Aiello di fornirci copia di altre richieste di ritardato deposito firmate da Venditti e motivate, come il 23 febbraio 2017, con l’annuncio di «misure coercitive», a cui siano, però, seguite istanze di archiviazione. Abbiamo anche domandato se il suo cliente fosse in grado di dimostrare che la formula indicata da Venditti fosse una specie di fac-simile uguale per tutte le Procure.Il legale non ce le ha inviate, ma ci ha accusato di avere contrabbandato «una prassi come uno scoop» e ci ha consigliato di «selezionare meglio» le nostre fonti e di «parlare con pm che fanno indagini per reati gravi». Detto fatto, abbiamo contattato magistrati requirenti con un curriculum più importante di quello di Venditti che, al culmine della carriera, è stato aggiunto a Pavia.Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ci ha confermato che «per il tardato deposito» viene «preparata una motivazione legata al riserbo». E ha spiegato: «La ragione è semplice: dal deposito del materiale intercettativo potrebbe derivare un disvelamento delle attività ancora in atto, che a quel punto potrebbero correre il rischio di essere inquinate. In sostanza, non ci sono altre ragioni se non quella di proteggere quel materiale». Niente annunci di richieste cautelari, insomma. Come a Perugia. Dove il procuratore Raffaele Cantone ha confermato che «è una consuetudine» il ritardato deposito, ma ha aggiunto: «Quando l’attività di indagine è ancora in corso viene inviata al gip una comunicazione per proteggere le intercettazioni da pregiudizio. Lo facciamo con un prestampato che viene compilato all’occorrenza». Ma senza svelare alcunché. Il procuratore di Torino, Giovanni Bombardieri, ripete il concetto quasi con le stesse parole: «Argomentiamo la richiesta al gip in relazione alla tutela della riservatezza delle indagini da qualsiasi pregiudizio, salvo casi particolari che richiedano ulteriori argomentazioni».E, infine, abbiamo sentito un altro pm in pensione, Antonio Rinaudo, 40 anni con la toga e centinaia di inchieste piemontesi alle spalle, anche di mafia e terrorismo: «Io in tutte le richieste di ritardato deposito non ho mai spiegato il perché. Ho sempre comunicato in poche righe che era necessario depositare in ritardo e nessun gip si è mai permesso di sindacare. Addirittura, a volte, usavamo un semplice timbro che conteneva sempre la medesima motivazione. La ragione di quella richiesta è una soltanto: evitare che le intercettazioni vengano trasmesse a più soggetti, ovvero, oltre al gip, a una segreteria, a una cancelleria e via discorrendo. È una procedura che serve quindi a garantire quel materiale da una sorta di pseudo pubblicità». Quindi resta un mistero perché Venditti, anziché limitarsi a chiedere la tutela della riservatezza delle indagini, abbia puntualizzato che erano quasi pronte delle «misure coercitive». Un’aggiunta che i suoi colleghi non inseriscono, neanche a Pavia, e che risulta quasi inspiegabile. O sospetta, se si considerano le attuali accuse di corruzione piovute addosso al magistrato.Ma non è finita. Venditti, ieri, nel comunicato diffuso dal suo legale, ha anche specificato: «Ricordo bene che la successiva, approfondita valutazione degli elementi raccolti, gli esiti di Brescia (la bocciatura della revisione del processo ad Alberto Stasi, ndr) e il coordinamento con la Procura generale, ci hanno convinti (me, la collega Pezzino e il procuratore Giorgio Reposo) della insussistenza di elementi a carico dell’indagato Sempio». La norma citata dall’ex procuratore aggiunto prevede il coordinamento con il procuratore generale presso la Corte d’appello soltanto nel caso in cui più Procure stiano svolgendo indagini collegate, ma nel caso di Sempio a procedere era solo Pavia. Resta da capire perché Venditti, il 23 febbraio 2017, abbia scritto al gip di essere pronto ad arrestare Sempio e, dopo appena 20 giorni, abbia deciso di chiederne l’archiviazione. C’entra qualcosa la corruzione in atti giudiziari contestata all’ex magistrato dalla Procura di Brescia? I soldi raccolti dalla famiglia Sempio sono serviti a far cambiare idea a Venditti e alla sua collega? O si tratta, come sostenuto da Aiello, di accuse infamanti? Il procedimento in corso nei confronti di Venditti e del padre di Andrea Sempio, Giuseppe, entrambi accusati di corruzione, dovrà stabilire la concretezza di tali imbarazzanti sospetti.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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