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2025-11-06
Sempio, Venditti: «Seguita la prassi». I magistrati però lo smentiscono
Mario Venditti (Ansa)
Stiamo parlando della comunicazione, firmata il 23 febbraio 2017 da Venditti e dalla sua collega Giulia Pezzino e pubblicata integralmente sull’ultimo numero Panorama. In essa si leggeva questo testo: che i pubblici ministeri, «rilevato che, essendo ancora in corso indagini volte a meglio circostanziare le modalità esecutive dell’azione delittuosa nonché all’identificazione di eventuali concorrenti nel reato, dal deposito dei verbali, delle registrazioni e della documentazione […] può derivare grave pregiudizio alla prosecuzione delle indagini stesse, in quanto devono essere ancora completate le richieste (al plurale, come se ci fossero più persone sotto inchiesta, ndr) di misura coercitiva» chiedevano di essere autorizzati «a ritardare il deposito». Venti giorni dopo, però, come detto avrebbero chiesto l’archiviazione di Sempio.
Si è trattato di sciatteria? È stato utilizzato un modulo prestampato? In realtà Venditti, ieri, dopo avere letto lo scoop di Panorama, attraverso il suo avvocato, Domenico Aiello, ha diramato un comunicato in cui ha rivendicato quell’atto e la spiegazione data al ritardo: «Siamo di fronte alla scoperta dell’acqua calda, l’ennesima», ha spiegato infastidito. «È una prassi comune a tutti gli inquirenti, tutti, dico tutti i pm d’Italia. Nelle inchieste sui reati più gravi, si ritarda il deposito delle intercettazioni adottando nella richiesta di autorizzazione al gip una motivazione che lasci aperte tutte le porte e non pregiudichi qualsivoglia futura iniziativa». Quindi Venditti smentisce sé stesso e, in particolare, le sue precedenti dichiarazioni, quelle in cui aveva assicurato di avere compreso nello spazio di 21 secondi che in quella nuova inchiesta non ci fosse trippa per gatti e che Sempio andasse archiviato senza se e senza ma. Oggi ci fa sapere che due mesi dopo l’apertura del nuovo fascicolo per omicidio a carico del giovanotto si voleva lasciare «aperte tutte le porte» e che, per questo, insieme con la collega Pezzino, avrebbe scritto che stava completando le richieste di arresto.
Una specificazione non richiesta, né prevista dal codice di procedura penale. Infatti, come abbiamo verificato scartabellando in decine di fascicoli giudiziari, il ritardato deposito è quasi sempre giustificato con la medesima formula, praticamente un prestampato o un timbro, e cioè che dalla consegna delle intercettazioni «può derivare grave pregiudizio alla prosecuzione delle indagini». Stop. Per ottenere il rinvio, la grande maggioranza dei pm si guarda bene dall’anticipare per iscritto al giudice la volontà di mandare in carcere gli indagati, soprattutto se questa volontà è labile, al punto da capovolgersi nel giro di tre settimane.
La stessa Procura di Pavia, abbiamo verificato, usa un timbro con poche righe accompagnate dalla firma del pm. Questa la formula prescelta: «Rilevato che […] sono ancora in corso attività di indagine che potrebbero essere pregiudicate dal deposito […] si richiede di autorizzare il ritardato deposito degli atti». Ieri abbiamo provato a chiedere all’avvocato Aiello di fornirci copia di altre richieste di ritardato deposito firmate da Venditti e motivate, come il 23 febbraio 2017, con l’annuncio di «misure coercitive», a cui siano, però, seguite istanze di archiviazione. Abbiamo anche domandato se il suo cliente fosse in grado di dimostrare che la formula indicata da Venditti fosse una specie di fac-simile uguale per tutte le Procure.
Il legale non ce le ha inviate, ma ci ha accusato di avere contrabbandato «una prassi come uno scoop» e ci ha consigliato di «selezionare meglio» le nostre fonti e di «parlare con pm che fanno indagini per reati gravi». Detto fatto, abbiamo contattato magistrati requirenti con un curriculum più importante di quello di Venditti che, al culmine della carriera, è stato aggiunto a Pavia.
Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ci ha confermato che «per il tardato deposito» viene «preparata una motivazione legata al riserbo». E ha spiegato: «La ragione è semplice: dal deposito del materiale intercettativo potrebbe derivare un disvelamento delle attività ancora in atto, che a quel punto potrebbero correre il rischio di essere inquinate. In sostanza, non ci sono altre ragioni se non quella di proteggere quel materiale». Niente annunci di richieste cautelari, insomma. Come a Perugia. Dove il procuratore Raffaele Cantone ha confermato che «è una consuetudine» il ritardato deposito, ma ha aggiunto: «Quando l’attività di indagine è ancora in corso viene inviata al gip una comunicazione per proteggere le intercettazioni da pregiudizio. Lo facciamo con un prestampato che viene compilato all’occorrenza». Ma senza svelare alcunché. Il procuratore di Torino, Giovanni Bombardieri, ripete il concetto quasi con le stesse parole: «Argomentiamo la richiesta al gip in relazione alla tutela della riservatezza delle indagini da qualsiasi pregiudizio, salvo casi particolari che richiedano ulteriori argomentazioni».
E, infine, abbiamo sentito un altro pm in pensione, Antonio Rinaudo, 40 anni con la toga e centinaia di inchieste piemontesi alle spalle, anche di mafia e terrorismo: «Io in tutte le richieste di ritardato deposito non ho mai spiegato il perché. Ho sempre comunicato in poche righe che era necessario depositare in ritardo e nessun gip si è mai permesso di sindacare. Addirittura, a volte, usavamo un semplice timbro che conteneva sempre la medesima motivazione. La ragione di quella richiesta è una soltanto: evitare che le intercettazioni vengano trasmesse a più soggetti, ovvero, oltre al gip, a una segreteria, a una cancelleria e via discorrendo. È una procedura che serve quindi a garantire quel materiale da una sorta di pseudo pubblicità». Quindi resta un mistero perché Venditti, anziché limitarsi a chiedere la tutela della riservatezza delle indagini, abbia puntualizzato che erano quasi pronte delle «misure coercitive». Un’aggiunta che i suoi colleghi non inseriscono, neanche a Pavia, e che risulta quasi inspiegabile. O sospetta, se si considerano le attuali accuse di corruzione piovute addosso al magistrato.
Ma non è finita. Venditti, ieri, nel comunicato diffuso dal suo legale, ha anche specificato: «Ricordo bene che la successiva, approfondita valutazione degli elementi raccolti, gli esiti di Brescia (la bocciatura della revisione del processo ad Alberto Stasi, ndr) e il coordinamento con la Procura generale, ci hanno convinti (me, la collega Pezzino e il procuratore Giorgio Reposo) della insussistenza di elementi a carico dell’indagato Sempio». La norma citata dall’ex procuratore aggiunto prevede il coordinamento con il procuratore generale presso la Corte d’appello soltanto nel caso in cui più Procure stiano svolgendo indagini collegate, ma nel caso di Sempio a procedere era solo Pavia. Resta da capire perché Venditti, il 23 febbraio 2017, abbia scritto al gip di essere pronto ad arrestare Sempio e, dopo appena 20 giorni, abbia deciso di chiederne l’archiviazione. C’entra qualcosa la corruzione in atti giudiziari contestata all’ex magistrato dalla Procura di Brescia? I soldi raccolti dalla famiglia Sempio sono serviti a far cambiare idea a Venditti e alla sua collega? O si tratta, come sostenuto da Aiello, di accuse infamanti? Il procedimento in corso nei confronti di Venditti e del padre di Andrea Sempio, Giuseppe, entrambi accusati di corruzione, dovrà stabilire la concretezza di tali imbarazzanti sospetti.
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Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.Stiamo parlando della comunicazione, firmata il 23 febbraio 2017 da Venditti e dalla sua collega Giulia Pezzino e pubblicata integralmente sull’ultimo numero Panorama. In essa si leggeva questo testo: che i pubblici ministeri, «rilevato che, essendo ancora in corso indagini volte a meglio circostanziare le modalità esecutive dell’azione delittuosa nonché all’identificazione di eventuali concorrenti nel reato, dal deposito dei verbali, delle registrazioni e della documentazione […] può derivare grave pregiudizio alla prosecuzione delle indagini stesse, in quanto devono essere ancora completate le richieste (al plurale, come se ci fossero più persone sotto inchiesta, ndr) di misura coercitiva» chiedevano di essere autorizzati «a ritardare il deposito». Venti giorni dopo, però, come detto avrebbero chiesto l’archiviazione di Sempio.Si è trattato di sciatteria? È stato utilizzato un modulo prestampato? In realtà Venditti, ieri, dopo avere letto lo scoop di Panorama, attraverso il suo avvocato, Domenico Aiello, ha diramato un comunicato in cui ha rivendicato quell’atto e la spiegazione data al ritardo: «Siamo di fronte alla scoperta dell’acqua calda, l’ennesima», ha spiegato infastidito. «È una prassi comune a tutti gli inquirenti, tutti, dico tutti i pm d’Italia. Nelle inchieste sui reati più gravi, si ritarda il deposito delle intercettazioni adottando nella richiesta di autorizzazione al gip una motivazione che lasci aperte tutte le porte e non pregiudichi qualsivoglia futura iniziativa». Quindi Venditti smentisce sé stesso e, in particolare, le sue precedenti dichiarazioni, quelle in cui aveva assicurato di avere compreso nello spazio di 21 secondi che in quella nuova inchiesta non ci fosse trippa per gatti e che Sempio andasse archiviato senza se e senza ma. Oggi ci fa sapere che due mesi dopo l’apertura del nuovo fascicolo per omicidio a carico del giovanotto si voleva lasciare «aperte tutte le porte» e che, per questo, insieme con la collega Pezzino, avrebbe scritto che stava completando le richieste di arresto.Una specificazione non richiesta, né prevista dal codice di procedura penale. Infatti, come abbiamo verificato scartabellando in decine di fascicoli giudiziari, il ritardato deposito è quasi sempre giustificato con la medesima formula, praticamente un prestampato o un timbro, e cioè che dalla consegna delle intercettazioni «può derivare grave pregiudizio alla prosecuzione delle indagini». Stop. Per ottenere il rinvio, la grande maggioranza dei pm si guarda bene dall’anticipare per iscritto al giudice la volontà di mandare in carcere gli indagati, soprattutto se questa volontà è labile, al punto da capovolgersi nel giro di tre settimane.La stessa Procura di Pavia, abbiamo verificato, usa un timbro con poche righe accompagnate dalla firma del pm. Questa la formula prescelta: «Rilevato che […] sono ancora in corso attività di indagine che potrebbero essere pregiudicate dal deposito […] si richiede di autorizzare il ritardato deposito degli atti». Ieri abbiamo provato a chiedere all’avvocato Aiello di fornirci copia di altre richieste di ritardato deposito firmate da Venditti e motivate, come il 23 febbraio 2017, con l’annuncio di «misure coercitive», a cui siano, però, seguite istanze di archiviazione. Abbiamo anche domandato se il suo cliente fosse in grado di dimostrare che la formula indicata da Venditti fosse una specie di fac-simile uguale per tutte le Procure.Il legale non ce le ha inviate, ma ci ha accusato di avere contrabbandato «una prassi come uno scoop» e ci ha consigliato di «selezionare meglio» le nostre fonti e di «parlare con pm che fanno indagini per reati gravi». Detto fatto, abbiamo contattato magistrati requirenti con un curriculum più importante di quello di Venditti che, al culmine della carriera, è stato aggiunto a Pavia.Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ci ha confermato che «per il tardato deposito» viene «preparata una motivazione legata al riserbo». E ha spiegato: «La ragione è semplice: dal deposito del materiale intercettativo potrebbe derivare un disvelamento delle attività ancora in atto, che a quel punto potrebbero correre il rischio di essere inquinate. In sostanza, non ci sono altre ragioni se non quella di proteggere quel materiale». Niente annunci di richieste cautelari, insomma. Come a Perugia. Dove il procuratore Raffaele Cantone ha confermato che «è una consuetudine» il ritardato deposito, ma ha aggiunto: «Quando l’attività di indagine è ancora in corso viene inviata al gip una comunicazione per proteggere le intercettazioni da pregiudizio. Lo facciamo con un prestampato che viene compilato all’occorrenza». Ma senza svelare alcunché. Il procuratore di Torino, Giovanni Bombardieri, ripete il concetto quasi con le stesse parole: «Argomentiamo la richiesta al gip in relazione alla tutela della riservatezza delle indagini da qualsiasi pregiudizio, salvo casi particolari che richiedano ulteriori argomentazioni».E, infine, abbiamo sentito un altro pm in pensione, Antonio Rinaudo, 40 anni con la toga e centinaia di inchieste piemontesi alle spalle, anche di mafia e terrorismo: «Io in tutte le richieste di ritardato deposito non ho mai spiegato il perché. Ho sempre comunicato in poche righe che era necessario depositare in ritardo e nessun gip si è mai permesso di sindacare. Addirittura, a volte, usavamo un semplice timbro che conteneva sempre la medesima motivazione. La ragione di quella richiesta è una soltanto: evitare che le intercettazioni vengano trasmesse a più soggetti, ovvero, oltre al gip, a una segreteria, a una cancelleria e via discorrendo. È una procedura che serve quindi a garantire quel materiale da una sorta di pseudo pubblicità». Quindi resta un mistero perché Venditti, anziché limitarsi a chiedere la tutela della riservatezza delle indagini, abbia puntualizzato che erano quasi pronte delle «misure coercitive». Un’aggiunta che i suoi colleghi non inseriscono, neanche a Pavia, e che risulta quasi inspiegabile. O sospetta, se si considerano le attuali accuse di corruzione piovute addosso al magistrato.Ma non è finita. Venditti, ieri, nel comunicato diffuso dal suo legale, ha anche specificato: «Ricordo bene che la successiva, approfondita valutazione degli elementi raccolti, gli esiti di Brescia (la bocciatura della revisione del processo ad Alberto Stasi, ndr) e il coordinamento con la Procura generale, ci hanno convinti (me, la collega Pezzino e il procuratore Giorgio Reposo) della insussistenza di elementi a carico dell’indagato Sempio». La norma citata dall’ex procuratore aggiunto prevede il coordinamento con il procuratore generale presso la Corte d’appello soltanto nel caso in cui più Procure stiano svolgendo indagini collegate, ma nel caso di Sempio a procedere era solo Pavia. Resta da capire perché Venditti, il 23 febbraio 2017, abbia scritto al gip di essere pronto ad arrestare Sempio e, dopo appena 20 giorni, abbia deciso di chiederne l’archiviazione. C’entra qualcosa la corruzione in atti giudiziari contestata all’ex magistrato dalla Procura di Brescia? I soldi raccolti dalla famiglia Sempio sono serviti a far cambiare idea a Venditti e alla sua collega? O si tratta, come sostenuto da Aiello, di accuse infamanti? Il procedimento in corso nei confronti di Venditti e del padre di Andrea Sempio, Giuseppe, entrambi accusati di corruzione, dovrà stabilire la concretezza di tali imbarazzanti sospetti.
Antonio Filosa (Ansa)
La Commissione sta semplicemente «rinviando» l’obiettivo: l’impianto che aveva portato all’azzeramento delle emissioni allo scarico (e quindi alla fine dei motori termici) viene riformulato con un abbassamento delle emissioni del 90% rispetto al 2021. Il 10% residuo verrebbe coperto tramite strumenti di compensazione lungo la catena del valore: come, ad esempio, prodotti a minore intensità carbonica (acciaio low-carbon) e carburanti sostenibili. Quella voluta dell’Ue è una flessibilità «contabile» più che tecnologica, secondo il manager.
Filosa sostiene che questa architettura rischia di introdurre costi e complessità che i costruttori «di massa» assorbono peggio di quelli premium: «È una misura il cui costo potrebbe non essere alla portata dei costruttori di volume che servono la maggior parte dei cittadini». Tradotto: se la conformità dipende da risorse scarse (acciaio verde, e-fuels/biocarburanti certificati) con prezzi elevati e volatilità, il rischio è che tutti i problemi si scarichino proprio sui segmenti più sensibili al prezzo, comprimendo volumi e margini.
Stellantis segnala che non vede strumenti «ponte» sufficienti per rendere praticabile la transizione, in particolare nei veicoli commerciali, dove la competitività dell’elettrico dipende molto più che nelle auto da infrastrutture di ricarica, costo dell’energia, pianificazione flotte e disponibilità prodotto. Se l’adozione dei motori elettrici resta importante, il blocco al 2035 non genera crescita: può solo spostare i problemi su regole di compensazione e materiali verdi e costosi. La reazione dell’industria è dunque polarizzata: Renault valuta il pacchetto come un tentativo di gestire alcune criticità, mentre l’associazione industriale tedesca Vda lo bolla come «disastroso» per gli ostacoli pratici e di implementazione. La Commissione, invece, nega che si tratti di un arretramento: Stéphane Séjourné, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, afferma che l’Europa non mette in discussione gli obiettivi climatici. Un altro funzionario Ue difende l’uso di questi meccanismi perché dovrebbero «creare un mercato di sbocco» per tecnologie e materiali necessari alla transizione.
Nel dibattito, inoltre, c’è anche l’asimmetria regolatoria transatlantica: negli Stati Uniti si osserva una traiettoria più favorevole per ibridi e termici, con revisione di incentivi e standard; non a caso Stellantis ha annunciato un piano di investimenti molto rilevante negli Usa. Il messaggio implicito è che, a parità di vincoli, la stabilità e l’economia della domanda influenzano dove si costruiscono capacità e catena del valore.
La verità è che la partita vera non è lo slogan «stop ai termici sì o no», ma la definizione dei dettagli che porteranno verso una transizione sostenibile: in particolare, si tratta della definizione di carburanti sostenibili e delle regole Mrv (monitoring, reporting, verification, un sistema obbligatorio dell'Unione Europea per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di gas serra) sulle norme industriali e, soprattutto, sulle misure lato domanda/infrastrutture che evitino che la compliance diventi un costo fisso.
Stellantis sostiene che, così com’è, la proposta non crea le sufficienti condizioni per crescere; la Commissione europea, dal canto suo, replica che serve una flessibilità che spinga filiere verdi europee senza abbandonare gli obiettivi industriali.
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