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2025-12-21
Gli asset congelati utili a negoziare
Vladimir Putin (Ansa)
Semplificando, il punto è che i beni russi possono entrare come risorsa condizionante nei negoziati di tregua tra Ucraina e Federazione russa e dare agli europei un posto di rilievo, anche se non primario, al tavolo dove Vladimir Putin vorrebbe trattare solo con gli Stati Uniti a conduzione Donald Trump. Se i beni russi fossero stati definitamente tolti alla proprietà di Mosca, Trump avrebbe mostrato l’incapacità di allineare gli europei, indebolendolo nei confronti di Putin. Ciò spiega perché Washington sia intervenuta pesantemente su alcuni europei - notizia non raggiunta o sottovalutata dai media - aggiungendo un peso decisivo alla decisione del Consiglio intergovernativo europeo. Germania sconfitta? Sarebbe un’esagerazione: Berlino si è adattata alla realtà, convergendo con la richiesta statunitense e prendendo atto delle difficoltà giuridiche di nascondere/coprire un furto nei confronti di una nazione con cui non esiste uno stato di guerra pur essendoci un conflitto con strumenti di sanzioni economiche reciproche. Secondo me gli strateghi di Berlino sono rimasti soddisfatti dalla postura iniziale di forte sostegno agli europei nordici-orientali - che temono realmente la pressione militare russa - in concorrenza/collaborazione con il Regno Unito per essere il loro protettore, aggiungendo la riconvergenza con l’Ue pur parziale di Ungheria, Cekia e Slovacchia con conduzioni politiche favorevoli a un compromesso con Mosca anche se a sfavore dell’Ucraina. In sintesi, Berlino ha preso una postura di «deterrenza indiretta» restando pronta a trasformarla in diretta se servisse. L’invio di truppe a sostegno della Finlandia e l’acquisizione del sistema antimissile israeliano Arrow sono segnali chiari oltre a quelli di un riarmo nazionale non solo difensivo, ma offensivo, per esempio robotica e mezzi esospaziali. Quindi interpreto la postura tedesca di rinuncia al progetto originario di usare i beni russi sequestrati per finanziare l’Ucraina come un adattamento alle contingenze, senza correzione di una politica di potenza in prospettiva.
Brava l’Italia a conduzione Giorgia Meloni che ha contribuito sostanzialmente a non peggiorare le relazioni con la Russia pur confermando il sostegno all’Ucraina? Certamente, tenendo conto della reazione di Mosca che costerebbe miliardi alle imprese italiane ancora operanti in Russia e a quelle che esportano beni non sanzionati. Va poi valutato che Italia e Germania sono consapevoli che trattare con una potenza nucleare ne richiede un’altra di forza equivalente, necessariamente l’America nel caso perché gli arsenali di Francia e Regno Unito sono troppo piccoli. A me sembra chiaro e faccio fatica a capire chi lamenta la rinuncia a incassare i soldi russi sequestrati. Inoltre, se la Russia esagerasse l’aggressività vi sarebbe un casus belli che renderebbe giuridicamente semplice acquisire i beni russi congelati, e che restano tali, nell’Ue, considerando probabile la convergenza con il deterrente di Washington in tale ipotesi. In sintesi, la rinuncia a finanziare via furto alla Russia l’Ucraina non è un indebolimento della deterrenza, ma un suo rafforzamento compatibile con una possibile tregua basata su scambi.
Ma un lettore potrebbe reagire dicendo perché mai l’Italia dovrebbe aumentare il suo debito partecipando al prestito comune europeo (eurobond) all’Ucraina. Per due motivi: tecnicamente il costo complessivo comune di 90 miliardi può essere ridotto e spalmato nel lungo termine e politicamente sarebbe controproducente non convergere con gli altri europei (e con l’America). Un motivo finanziario è che l’Italia ha bisogno di circa 15 miliardi dal programma europeo Safe per la sua spesa militare e di sicurezza evoluta (anche motivo del contenimento del deficit di bilancio per far cessare la procedura di infrazione, requisito di accesso al Safe). Va aggiunto poi che per le proiezioni italiane nel Mediterraneo costiero e profondo - vitali per l’export - c’è bisogno di convergenza con l’Ue e l’America.
Un altro lettore, questo un mio studente, mi ha chiesto quale sia l’obiettivo finale della politica estera italiana in relazione alla Russia e quindi la postura utile in materia di Roma. Ho risposto che se Putin andasse in crisi, la Cina sarebbe pronta a condizionare più decisamente la Russia creando un grave problema per le democrazie. E se non succedesse, un cambio nel potere a Mosca, che è in guai economici crescenti, potrebbe far emergere una figura più aggressiva. Questa analisi esce dallo schema pro o contro Putin e riguarda la nostra sicurezza: deterrenza per limitare l’aggressività di Putin, ma prudenza per non fare un favore geopolitico alla Cina o a qualche pazzo. Quindi tregua per poi lentamente riaprire i canali economici con la Russia. Lo studente, bravo, mi ha incalzato: non mi nasconda che lei, persona di finanza, alla fine punta a uno scenario di mercato integrato euroasiatico da Lisbona a Vladivostok. Certo che non lo nascondo. E dopo aver visto il nuovo progetto Pax Silica statunitense (togliere il monopolio sulle terre rare alla Cina) lo sottolineo. La Russia ci serve, con vantaggio reciproco, e una convergenza euroamericana per lo scopo è necessaria.
www.carlopelanda.com
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Le riserve, immobilizzate ma ancora disponibili, sono una leva per avere peso al tavolo. Scopo finale della strategia: contenere Putin evitandone il tracollo, per noi rischioso.L’impiego dei beni finanziari sovrani della Russia giacenti nell’Ue (circa 210 miliardi di euro) per un sostegno diretto alle spese difensive dell’Ucraina sarebbe stata una strategia sbagliata e controproducente per gli europei. Invece la decisione di prestare 90 miliardi di euro a Kiev ricavati da debito comune europeo, non toccando per il momento i beni russi pur restando questi non utilizzabili da Mosca, è stata una decisione realistica. Qui i motivi tecnici e una bozza collegata di scenario lungo.Semplificando, il punto è che i beni russi possono entrare come risorsa condizionante nei negoziati di tregua tra Ucraina e Federazione russa e dare agli europei un posto di rilievo, anche se non primario, al tavolo dove Vladimir Putin vorrebbe trattare solo con gli Stati Uniti a conduzione Donald Trump. Se i beni russi fossero stati definitamente tolti alla proprietà di Mosca, Trump avrebbe mostrato l’incapacità di allineare gli europei, indebolendolo nei confronti di Putin. Ciò spiega perché Washington sia intervenuta pesantemente su alcuni europei - notizia non raggiunta o sottovalutata dai media - aggiungendo un peso decisivo alla decisione del Consiglio intergovernativo europeo. Germania sconfitta? Sarebbe un’esagerazione: Berlino si è adattata alla realtà, convergendo con la richiesta statunitense e prendendo atto delle difficoltà giuridiche di nascondere/coprire un furto nei confronti di una nazione con cui non esiste uno stato di guerra pur essendoci un conflitto con strumenti di sanzioni economiche reciproche. Secondo me gli strateghi di Berlino sono rimasti soddisfatti dalla postura iniziale di forte sostegno agli europei nordici-orientali - che temono realmente la pressione militare russa - in concorrenza/collaborazione con il Regno Unito per essere il loro protettore, aggiungendo la riconvergenza con l’Ue pur parziale di Ungheria, Cekia e Slovacchia con conduzioni politiche favorevoli a un compromesso con Mosca anche se a sfavore dell’Ucraina. In sintesi, Berlino ha preso una postura di «deterrenza indiretta» restando pronta a trasformarla in diretta se servisse. L’invio di truppe a sostegno della Finlandia e l’acquisizione del sistema antimissile israeliano Arrow sono segnali chiari oltre a quelli di un riarmo nazionale non solo difensivo, ma offensivo, per esempio robotica e mezzi esospaziali. Quindi interpreto la postura tedesca di rinuncia al progetto originario di usare i beni russi sequestrati per finanziare l’Ucraina come un adattamento alle contingenze, senza correzione di una politica di potenza in prospettiva. Brava l’Italia a conduzione Giorgia Meloni che ha contribuito sostanzialmente a non peggiorare le relazioni con la Russia pur confermando il sostegno all’Ucraina? Certamente, tenendo conto della reazione di Mosca che costerebbe miliardi alle imprese italiane ancora operanti in Russia e a quelle che esportano beni non sanzionati. Va poi valutato che Italia e Germania sono consapevoli che trattare con una potenza nucleare ne richiede un’altra di forza equivalente, necessariamente l’America nel caso perché gli arsenali di Francia e Regno Unito sono troppo piccoli. A me sembra chiaro e faccio fatica a capire chi lamenta la rinuncia a incassare i soldi russi sequestrati. Inoltre, se la Russia esagerasse l’aggressività vi sarebbe un casus belli che renderebbe giuridicamente semplice acquisire i beni russi congelati, e che restano tali, nell’Ue, considerando probabile la convergenza con il deterrente di Washington in tale ipotesi. In sintesi, la rinuncia a finanziare via furto alla Russia l’Ucraina non è un indebolimento della deterrenza, ma un suo rafforzamento compatibile con una possibile tregua basata su scambi.Ma un lettore potrebbe reagire dicendo perché mai l’Italia dovrebbe aumentare il suo debito partecipando al prestito comune europeo (eurobond) all’Ucraina. Per due motivi: tecnicamente il costo complessivo comune di 90 miliardi può essere ridotto e spalmato nel lungo termine e politicamente sarebbe controproducente non convergere con gli altri europei (e con l’America). Un motivo finanziario è che l’Italia ha bisogno di circa 15 miliardi dal programma europeo Safe per la sua spesa militare e di sicurezza evoluta (anche motivo del contenimento del deficit di bilancio per far cessare la procedura di infrazione, requisito di accesso al Safe). Va aggiunto poi che per le proiezioni italiane nel Mediterraneo costiero e profondo - vitali per l’export - c’è bisogno di convergenza con l’Ue e l’America. Un altro lettore, questo un mio studente, mi ha chiesto quale sia l’obiettivo finale della politica estera italiana in relazione alla Russia e quindi la postura utile in materia di Roma. Ho risposto che se Putin andasse in crisi, la Cina sarebbe pronta a condizionare più decisamente la Russia creando un grave problema per le democrazie. E se non succedesse, un cambio nel potere a Mosca, che è in guai economici crescenti, potrebbe far emergere una figura più aggressiva. Questa analisi esce dallo schema pro o contro Putin e riguarda la nostra sicurezza: deterrenza per limitare l’aggressività di Putin, ma prudenza per non fare un favore geopolitico alla Cina o a qualche pazzo. Quindi tregua per poi lentamente riaprire i canali economici con la Russia. Lo studente, bravo, mi ha incalzato: non mi nasconda che lei, persona di finanza, alla fine punta a uno scenario di mercato integrato euroasiatico da Lisbona a Vladivostok. Certo che non lo nascondo. E dopo aver visto il nuovo progetto Pax Silica statunitense (togliere il monopolio sulle terre rare alla Cina) lo sottolineo. La Russia ci serve, con vantaggio reciproco, e una convergenza euroamericana per lo scopo è necessaria.www.carlopelanda.com
Trump blocca il petrolio del Venezuela. Domanda elettrica, una questione di sicurezza nazionale. Le strategie della Cina per l’Artico. Auto 2035, l’Ue annacqua ma ormai il danno è fatto.
Dinanzi a tale insipienza strategica, i popoli non rimangono impassibili. Già alla vigilia del vertice dei 27, Politico aveva pubblicato i risultati di un sondaggio, secondo il quale sia in Francia sia in Germania sono aumentati quelli che vorrebbero «ridurre significativamente» il sostegno monetario all’Ucraina. I tedeschi che chiedono tagli drastici sono il 32%, percentuale cui va sommato il 14% di quanti si accontenterebbero di una qualsiasi stretta. Totale: 46%. I transalpini stufi di sborsare, invece, sono il 37% del totale. Per la Bild, l’opinione pubblica di Berlino è ancora più netta sull’opportunità di continuare a inviare armi al fronte: il 58% risponde di no. Infine, una rilevazione di Rtl e Ntv ha appurato che il 75% dei cittadini boccia l’operato del cancelliere Friedrich Merz, principale fautore della poi scongiurata «rapina» dei fondi di Mosca. Non è un caso che, stando almeno alle ricostruzioni del Consiglio Ue proposte da Repubblica, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni abbiano motivato le proprie riserve sul piano con la difficoltà di far digerire ai Parlamenti nazionali, quindi agli elettori, una mozza così azzardata. Lo scollamento permanente dalla realtà che caratterizza l’operato della Commissione, a quanto pare, risponde alla filosofia esposta da Sergio Mattarella a proposito del riarmo a tappe forzate: è impopolare, ma è necessario.
La disputa sulle sovvenzioni a Zelensky - e speriamo siano a Zelensky, ovvero al bilancio del Paese aggredito, anziché ai cessi d’oro dei suoi oligarchi corrotti - ha comunque generato pure un’altra forma di divaricazione: quella tra i fatti e le rappresentazioni mediatiche.
I fatti sono questi: Ursula von der Leyen, spalleggiata da Merz, ha subìto l’ennesimo smacco; l’Unione ha ripiegato all’unanimità sugli eurobond, sebbene Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca siano state esentate dagli obblighi contributivi, perché abbandonare i lavori senza alcun accordo, oppure con un accordo a maggioranza qualificata, sarebbe stato drammatico; alla fine, l’Europa si è condannata all’ennesimo salasso. E la rappresentazione?
La Stampa ieri è partita per Plutone: titolava sulla «svolta» del debito comune, descritta addirittura come un «compromesso storico». Il corrispondente da Bruxelles, Marco Bresolin, in verità ha usato toni più sobri, sottolineando la «grande delusione» di chi avrebbe voluto «punire la Russia» e riconoscendo il successo del premier belga, Bart De Wever, ostile all’impiego degli asset; mentre l’inviato, Francesco Malfetano, dava atto alla Meloni di aver pianificato «la sua mossa più efficace». Sul Corriere, il fiasco di Merz si è trasformato in una «vittoria a metà». Repubblica ha borbottato per la «trappola» tesa dal cancelliere e a Ursula. Ma Andrea Bonanni, in un editoriale, ha lodato l’esito «non scontato» del Consiglio. L’Europa, ha scritto, «era chiamata a sostituirsi a Washington per consentire a Kiev di continuare la resistenza contro l’attacco russo. Lo ha fatto. Doveva trovare i soldi. Li ha trovati ricorrendo ancora una volta a un prestito comune, come fece al tempo dell’emergenza Covid». Un trionfo. Le memorie del regimetto pandemico avranno giocato un ruolo, nel convincere le firme di largo Fochetti che, «stavolta», l’Ue abbia «battuto un colpo».
Un colpo dev’essere venuto ai leader continentali. Costoro, compiuto il giro di boa, forse si convinceranno a smetterla di sabotare le trattative. Prova ne sia la sveglia di Macron, che ha avvisato gli omologhi: se fallisce la mediazione Usa, tocca agli europei aprire un canale con Vladimir Putin. Tutto sommato, avere gli asset in ostaggio può servire a scongiurare l’incubo dell’Ue: sparire di scena.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
La soluzione del prestito dunque salva capra e cavoli, ovvero gli interessi di chi ritiene giusto dover alimentare con aiuti e armi la resistenza di Kiev e anche quelli di quanti temevano la reazione russa all’uso dei fondi. Una mediazione soddisfacente per tutti, dunque? Non esattamente, visto che la soluzione escogitata non è affatto gratis. Già: mentre i vertici della Ue si fanno i complimenti per aver raggiunto un’intesa, a non congratularsi dovrebbero essere i cittadini europei, perché l’accordo raggiunto non è gratis, ma graverà ancora una volta sulle tasche dei contribuenti. Lasciate perdere per un momento come e quando l’Ucraina sarà in grado di restituire il prestito che le verrà concesso. Se Kiev fosse un comune cittadino nessuna banca la finanzierebbe, perché agli occhi di qualsiasi istituto di credito non offrirebbe alcuna garanzia di restituzione del mutuo concesso. Per molti anni gli ucraini non saranno in grado di restituire ciò che ricevono. Dunque, i soldi che la Ue si prepara a erogare rischiano di essere a fondo perduto, cioè di non ritornare mai nelle tasche dei legittimi proprietari, cioè noi, perché il prestito non è garantito da Volodymyr Zelensky, in quanto il presidente ucraino non ha nulla da offrire in garanzia, ma dall’Europa, vale a dire da chi nel Vecchio continente paga le tasse.
Lasciate perdere che, con la corruzione che regna nel Paese, parte dei soldi che diamo a Kiev rischia di sparire nelle tasche di una serie di politici e burocrati avidi prima ancora di arrivare a destinazione. E cancelliamo pure dalla memoria le immagini dei cessi d’oro fatti installare dai collaboratori mano lesta del presidente ucraino: rubinetti, bidet, vasca e tutto il resto lo abbiamo pagato noi, con i nostri soldi. Il grande reset della realtà, per come si è fin qui palesata, tuttavia non può cancellare quello che ci aspetta.
Il prestito della Ue, come ogni finanziamento, non è gratis: quando voi fate il mutuo per la casa, oltre a rimborsare mese dopo mese parte del capitale, pagate gli interessi. Ma in questo caso il tasso non sarà a carico di chi riceve i soldi, come sempre capita, ma - udite, udite - di chi li garantisce, ovvero noi. Politico, sito indipendente, ha calcolato che ogni anno la Ue sarà costretta a sborsare circa 3 miliardi di interessi, non proprio noccioline. Chi pagherà? È ovvio: non sarà lo Spirito Santo, ma ancora noi. Dividendo la cifra per il numero di abitanti all’interno della Ue si capisce che ogni cittadino dovrà mettere mano al portafogli per 220 euro, neonati e minorenni inclusi. Se poi l’aliquota la si vuol applicare sopra una certa soglia di età, si arriva a 300.
Ecco, la pace sia con voi la pagheremo cara e probabilmente pagheremo cari anche i 90 miliardi concessi all’Ucraina, perché quasi certamente Kiev non li restituirà mai e toccherà a noi, intesi come Ue, farcene carico. Piccola noticina: com’è che, quando servivano soldi per rilanciare l’economia e i salari, Bruxelles era contraria e adesso, se c’è da far debito per sostenere l’Ucraina, invece è favorevole? Il mistero delle scelte Ue continua. Ma soprattutto, si capisce che alla base di ogni decisione, a differenza di ciò che ci hanno raccontato per anni, non ci sono motivazioni economiche, ma solo politiche.
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Kirill Budanov (Ansa)
Sicuramente nei potenziali colloqui è prevista la partecipazione americana, ma potrebbero aggiungersi anche gli europei, visto che si trovano sul suolo americano. Il presidente ucraino, nell’annunciare questa opportunità, ha dichiarato che Washington «ha proposto il seguente formato: Ucraina, America, Russia e, dato che ci sono rappresentanti dell’Europa, probabilmente anche l’Europa». E in tal caso a prendere parte sarebbero i consiglieri per la sicurezza nazionale. Pare però che la decisione finale spetti a Zelensky: sarà l’Ucraina a stabilire la configurazione della riunione in base all’esito dell’incontro di venerdì tra i negoziatori americani, la delegazione ucraina e quella europea. E per questo il presidente ucraino, che si mostra già scettico, ha comunicato che ne parlerà con Rustem Umerov. D’altronde, Zelensky ha spiegato che deve ancora essere aggiornato sui risultati raggiunti a Miami: «Il nostro team si metterà in contatto con me: mi comunicheranno l’esito del primo blocco di dialogo e poi capiremo cosa fare». Poco dopo ha riferito che la proposta americana potrebbe essere accettata qualora faciliti lo scambio di prigionieri e sia il preludio di un incontro «tra i leader». Ha poi avvertito che Washington deve chiarire «se c’è una via diplomatica», altrimenti, in caso contrario «ci sarà una pressione totale» su Mosca.
Ma prima dell’eventuale trilaterale o quadrilaterale, ieri l’inviato americano, Steve Witkoff, il genero di Donald Trump, Jared Kushner, e il segretario di Stato americano, Marco Rubio, la cui presenza però, quando siamo andati in stampa, non era ancora confermata, si sono incontrati a Miami con la delegazione russa guidata da Kirill Dmitriev. L’inviato del presidente russo, Vladimir Putin, prima dei colloqui, ha condiviso su X un video girato durante la precedente missione in Florida, scrivendo: «In viaggio per Miami. Mentre i guerrafondai continuano a fare gli straordinari per indebolire il piano di pace degli Stati Uniti per l’Ucraina, mi sono ricordato di questo video della mia precedente visita. La luce che irrompe attraverso le nuvole temporalesche». Più tardi, mentre era in viaggio verso la Florida, ha aggiunto che la Russia è «pronta a collaborare con gli Stati Uniti nell’Artico».
Ma oltre agli interessi già noti in quell’area, Mosca avrebbe altri obiettivi. In una versione che stride con la visione della Casa Bianca, sei fonti vicine all’intelligence americana hanno infatti rivelato a Reuters che la Russia mira a conquistare tutta l’Ucraina e i Paesi dell’ex Unione sovietica. Il membro democratico della Commissione intelligence della Camera, Mike Quigley, interpellato dall’agenzia britannica, ha dichiarato: «Le informazioni di intelligence hanno sempre indicato che Putin vuole di più. Gli europei ne sono convinti. I polacchi ne sono assolutamente convinti. I baltici pensano di essere i primi». Che tra i target russi ci siano gli Stati baltici ne è certo anche il capo del servizio segreto militare ucraino, Kirill Budanov. In un’intervista rilasciata a LB.ua. ha annunciato che «il piano originale» di Mosca prevedeva «di iniziare le operazioni» di conquista «nel 2030», ma «ora i piani sono stati modificati e rivisti per anticipare la tempistica al 2027».
Guardando invece al presente, l’apertura dello zar russo a un cessate il fuoco in Ucraina qualora si tenessero le elezioni non è stata apprezzata dal leader di Kiev. Zelensky ha detto che «non spetta a Putin decidere quando e in quale forma si terranno le elezioni in Ucraina». Tuttavia, ha già comunicato che il ministero degli Esteri è al lavoro per organizzare il voto all’estero. Immediata è stata la risposta del Cremlino, con il suo portavoce Dmitry Peskov che ha bollato Zelensky come «confuso» e «contradditorio» dato che ha già chiesto il sostegno americano proprio per garantire che le eventuali elezioni si svolgano in sicurezza.
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