Alla titolare del dicastero della Istruzione, Lucia Azzolina, in evidente affanno in questi giorni, solo una frase di Friedrich Nietzsche potrebbe venire in soccorso: «Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella che danza». Di caos dentro la cabina di regia della scuola quanto ne vuoi, è da vedere se l'anno scolastico che si aprirà tra qualche giorno sarà brillante come una stella. Per ora si assiste a un turbinare di iniziative, che a distanza di poco tempo vengono contraddette dai fatti. Vedi il caos dei test sierologici: sono su base volontaria e un terzo dei professori rifiuta di farli. Cosa accade a chi volontariamente si sottopone a verifica e risulta positivo? Secondo i protocolli del ministero della salute dovrebbe rimanere in isolamento – ancora una volta «volontario» – in attesa di un tampone. Il passo tra «volontarietà» e «incertezza» è davvero breve e, in questa incertezza, il mondo della scuola rimane sospeso.
Il ministro Azzolina rilascia dichiarazioni, si coordina con il Comitato tecnico scientifico, si coordina un po' meno con le Regioni e nel frattempo gira l'Italia confidando che la sua presenza risulti rassicurante. L'altro giorno era in visita a una scuola della periferia di Milano, per confermare che la scuola italiana riaprirà in sicurezza. Ma proprio a Milano incrocia i rappresentanti del Comitato priorità alla scuola che non condividono l'ottimismo ministeriale, nel frattempo i rappresentanti dei presidi criticano la volontarietà dei test e chiedono che siano estesi agli studenti. Ma oltre che i test a preoccupare sono soprattutto i trasporti, le aule, la questione mascherine. Proprio su questi argomenti l'incontro di mercoledì tra governo e Regioni non ha sciolto i nodi più significativi. Più che altro hanno preso consistenza le voci critiche nei confronti delle linee guida del governo: principi astratti che sembrano scontrarsi col principio di realtà. Sia detto in soldoni: se si applicano i criteri di sicurezza previsti per gli scuolabus, gli scuolabus non arriveranno mai a destinazione; e d'altra parte se si impone l'utilizzo delle mascherine a ragazzi e adolescenti per cinque o più ore di fila quale potrebbe essere il risultato concreto?
A queste obiezioni basate sul buon senso il ministero e i suoi gruppi di supporto rispondono con aggiustamenti lessicali; così il presidente della commissione Trasporti Fulvio Bonabitacola suggerisce di abrogare il metro di distanza obbligatorio in base al «principio del gruppo abituale esteso ai componenti della stessa classe». In pratica se si è compagni di classe si viene considerati come i compagni alle feste del Pd (e non come gli untori per definizione del Billionaire): indenni dal rischio contagio. Resterebbe però un dettaglio: con il distanziamento sul bus, secondo lo studio dell'associazione Asstra, un alunno su tre resterebbe a piedi di questo passo. Fronte mascherine: da 0 a 6 anni non è richiesta per i bambini mentre per gli operatori sì. Dai 6 ai 10 anni, il Cts suggerisce che «i bambini sopra i 6 anni da casa a scuola - su scuolabus e bus - devono indossare mascherina. A scuola anche ma se seduti al banco e l'insegnante conferma il distanziamento i bambini tolgono la mascherina. Deve essere indossata quando si muovono o nei momenti di aggregazione. Deve essere tolta, ovviamente a mensa e per l'attività sportiva». Sopra i 10 anni, cioè alle medie e alle superiori, c'è l'obbligo di indossare la mascherina. «Ma se gli studenti sono distanziati di un metro e seduti, la possono togliere».
Altra questione è quella della responsabilità penale di dirigenti scolastici, ma anche degli stessi docenti. I rappresentanti dei dirigenti scolastici in particolare stanno facendo pressione sul ministero affinché chiarisca quali sono i termini e i limiti delle responsabilità attribuite a chi opera sul campo. Evidentemente è forte il timore di un poderoso scaricabarile dai vertici alla base del mondo della scuola. Per ora, si sa solo che l'Istituto superiore di sanità ha prescritto che un alunno con sintomi debba essere isolato e riportato nel più breve tempo possibile a casa. Certezza vi è invece sul fatto che la didattica a distanza non potrà essere invocata come una soluzione salvatutto: si potrà utilizzarla come alternativa alla presenza in classe solo per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, ma per gli alunni sotto i 14 anni – a meno che Conte non proclami il lockdown totale 2 – sarà necessaria la presenza in classe; classi spaziose, come gli animali fantastici del film: dove trovarle? Si è ipotizzato un «patto educativo», tra scuole pubbliche e scuole private: anche questa una soluzione di buon senso, contro la quale remano però quegli esponenti della maggioranza che in nome di un iperstatalismo vedono il privato come il diavolo.
L'ennesima incertezza riguarda la misurazione della temperatura degli studenti: si era partiti con l'idea di testare tutti, poi si è passati alle misurazioni a campione, ora sembra che ci si affidi al «bacio della madre sulla fronte che scopre se il figlio scotta», una situazione degna più del libro Cuore che non di una gestione tecnico-scientifica dell'emergenza virus. I termoscanner negli istituti, quindi, non ci saranno.
Comunque sia, la Azzolina rassicura su un punto: «Nessun rischio per l'apertura dell'anno scolastico il 14 settembre». Ma a ben vedere anche su questa certezza si abbatte il demone del dubbio e stavolta ha il ghigno mefistofelico del governatore De Luca, che dice: «Da qui a una, due settimane saremo chiamati a prendere decisioni importanti. Pensate all'apertura dell'anno scolastico: nelle condizioni attuali non è possibile aprire».
- Anziché agire sull'edilizia scolastica, il ministro ha preferito arrovellarsi su plexiglas, pulmini a tempo, lezioni al cinema e postazioni con le ruote. Oggi si scoprirà chi ha vinto il bando per gli arredi delle classi.
- I «benefici» della Ru486 sono segreti. Per Roberto Speranza la sicurezza dell'aborto a domicilio poggia su «evidenze scientifiche». Ma il parere del Consiglio superiore di sanità è inaccessibile e gli esperti sono scettici.
Lo speciale comprende due articoli.
Sarebbe interessante capire i motivi per cui nella gestione della emergenza sanitaria Covid alcuni ministri del governo Conte siano stati mediaticamente sovraesposti e altri siano rimasti nell'ombra. Si pensi, nei momenti più caldi dell'emergenza, alla onnipresenza del ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, e all'inquietante «navigare sott'acqua» del ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, riemerso poi agli onori delle cronache quando dalle acque del Mediterraneo sono prevedibilmente sbarcati i migranti, positivi e no. Poi c'è lei, la titolare del dicastero dell'Istruzione, Lucia Azzolina, che come uno spread della politica, settimana dopo settimana, ha acquistato una centralità nel dibattito, aumentando gli spazi di visibilità, anche per motivi sui quali invece sarebbe stato meglio stendere un velo pietoso. E così negli ultimi giorni sul Web e sui media tradizionali è stato tutto un rincorrersi di notizie sulla Azzolina: il ministro che ratifica la sua promozione come dirigente scolastica, la Azzolina che commentando sui social l'incursione notturna di ladri in una scuola del Sud confonde «effrazione» con «infrazione» e ancora il ministro che non esclude l'utilizzo di tensostrutture in alcune situazioni di «affanno» e nello stesso tempo definisce come fake news il virgolettato che le aveva attribuito La Stampa su possibili lezioni anche nei bed&breakfast. Ennesima perplessità, per non farsi mancare nulla, quella sugli scuolabus autorizzati a circolare a piena capienza, ma al massimo per 15 minuti. Cosa succeda allo scoccare del quarto d'ora se il mezzo non è giunto a destinazione, non è dato sapere. Se il coronavirus fosse una persona e avesse un buon avvocato, farebbe probabilmente causa a tutti coloro che in questo momento scaricano sull'emergenza sanitaria quelle che sono eterne emergenze della società italiana. Se adesso è difficile capire come disporre i ragazzi in ossequio alla regola del distanziamento è perché già da decenni l'edilizia scolastica è in condizioni penose. Parlare poi di «messa in sicurezza oggi» delle scuole italiane diventa quasi un discorso metafisico, considerando che una percentuale drammaticamente alta di scuole già prima del Covid era fuori dai parametri fondamentali della sicurezza. Questi mesi estivi potevano essere utilizzati per rinnovare finalmente l'edilizia scolastica, ma si è preferito perdere tempo tra sparate grossolane e smentite.
L'Azzolina non può essere considerata la responsabile di questa lunga tradizione di inadempienze, è anche vero però che molte sue dichiarazioni non aiutano a trovare soluzioni. A lei si può imputare una sorta di moto perpetuo tra ipotesi appena abbozzate e poi abbandonate: rinvio dell'inizio dell'anno scolastico e/o rigoroso rispetto della data del 14 settembre, didattica con i doppi turni e quindi scomposizione delle classi e/o presenza di tutti gli alunni, ma ben distanziati. Rapido (e quanto rigoroso?) check up di ingresso degli alunni e/o fiducia nelle autocertificazioni delle famiglie che provvederanno a monitorare i ragazzi. E come dimenticare il famoso plexiglas che dovrebbe separare gli alunni o anche no. In questo balletto di soluzioni la cattedra ministeriale di Lucia Azzolina traballa come uno di quei banchi a rotelle che ella stessa ha proposto come massima risposta didattica ai timori della seconda ondata.
A proposito di banchi a rotelle, oggi si saprà chi è il vincitore della gara europea per la fornitura. Il commissario straordinario all'emergenza, Domenico Arcuri, ha annunciato che sono state presentate 14 offerte e tra i proponenti vi sono anche aziende estere. Il bando prevede la fornitura fino a 1,5 milioni di banchi monouso tradizionali e fino a 1,5 milioni di banchi di tipo più innovativo. In corso d'opera non sono mancate le polemiche sia sul prezzo, che dovrebbe aggirarsi intorno ai 300 euro l'uno, sia sull'effettiva funzionalità di questi banchi a rotelle che alcuni già prevedono trasformarsi in allegre auto-scontro nelle classi. Intanto, il tempo di attesa di agosto scorre e presto conosceremo dal vivo i risultati concreti. Chi però mette in croce la Azzolina per aver confuso «infrazione» ed «effrazione» (errore leggero rispetto a quello dei compagni di partito che sono andati a pescare Beirut in Libia) forse non ha colto il delizioso ossimoro che il ministro ha adoperato per dare un senso a tutto il suo pacchetto di soluzioni; ha detto nei giorni scorsi: daremo «indicazioni chiare, ma flessibili», che sa un po' di contraddizione interna. Volendo tradurre in termini concreti l'espressione, è facile prevedere che dopo la girandola di soluzioni alla fin fine il ministero si adagerà sul concetto di «autonomia scolastica». Quella che doveva essere la chiave per riformare la scuola, la famosa autonomia del ministro Luigi Berlinguer, diventerà il cruccio quotidiano di tutti i dirigenti scolastici italiani non momentaneamente collocati al vertice del ministero e chiamati a esercitare l'arte dell'arrangiarsi, a bere cioè l'amaro calice della responsabilità in contesti scolastici che già non erano sicuri prima del Covid e della Azzolina, figuriamoci ora…
I «benefici» della Ru486 sono segreti
Il ministro Roberto Speranza ha assicurato che le nuove linee guida sull'aborto chimico in regime di day hospital, senza cioè più obbligo di ricovero e fino alla nona settimana - e non più alla settima -, poggiano sull'«evidenza scientifica». Già, ma di che «evidenza scientifica» si tratta? Allo stato non è dato saperlo e non è detto che lo si potrà appurare a breve dal momento che, a dispetto della rilevanza del tema, il parere del Consiglio superiore di sanità, usato per il via libera, è secretato.
A segnalare tale anomalia, sul giornale online La Nuova Bussola Quotidiana, è stato Andrea Zambrano, il quale, ricordato che l'organo consultivo del dicastero della Salute è composto da 60 membri - 30 di diritto e 30 su nomina ministeriale -, ha interpellato il solo specialista in ostetricia e ginecologia dello stesso, il professor Giovanni Scambia, direttore della Scuola di specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell'Università Sacro Cuore Policlinico Gemelli di Roma.
Ebbene, attenendosi alla riservatezza degli atti, Scambia non ha rivelato nulla di quanto dichiarato in seno al Consiglio, salvo comunque lasciarsi scappare un «comunque, la mia posizione in merito è nota» che non risolve, ma infittisce il giallo. Infatti il professore del Gemelli, struttura ospedaliera di noto orientamento cattolico a partire dal nome che porta - quello di padre Agostino Gemelli, francescano e medico -, non ha mai fatto mistero delle sue perplessità sulla pillola abortiva Ru486.
Ma se il solo specialista sull'argomento presso il Consiglio superiore di sanità verosimilmente non ha votato a favore dell'aborto chimico in regime di day hospital, su quale «evidenza scientifica» si basa la decisione del ministro Speranza? A questo punto la sola ipotesi che resta in piedi, ha fatto notare Zambrano, è quella del parere favorevole della Sigo, acronimo che sta per Società italiana di Ostetricia e Ginecologia. Peccato che a sua volta il presidente della Sigo, il professor Antonio Chiantera, si sia sottratto a ogni tentativo di chiarimento sull'«evidenza scientifica» che ha portato la sua società a dare il via libera alla Ru486 senza ricovero ospedaliero: «La relazione che abbiamo fornito al Css fa parte degli atti secretati».
Ricapitolando, il ministro della Salute ha approvato delle linee guida sull'aborto chimico in day hospital basandosi sul secretato parere favorevole del suo organo consultivo (con il maggior esperto dello stesso plausibilmente contrario) a sua volta emanato sulla base del secretato parere favorevole di una società terza. Per carità, non si può escludere a priori che quella di Speranza sia una decisione «scientifica», ma quanto all'«evidenza» di detta scientificità, ecco, ci sarebbe qualcosa da ridire.
Anche perché, mentre il ministero della Salute ha deciso sulla Ru486 senza chiarire su che basi lo abbia fatto, la letteratura scientifica sull'aborto chimico resta, questa sì, segnata da drammatica «evidenza». Quale? Quella secondo cui l'aborto chimico presenta tassi di mortalità materna dieci volte superiori all'aborto chirurgico, come si leggeva sul New England Journal of Medicine ancora nel 2005.
Sempre nel 2005, su Obstetrics & Gynecology, testata ufficiale dell'equivalente americano della nostra Sigo, si poteva leggere che l'assunzione della pillola abortiva, nella donna, comporta nel 93,2% dei casi dolore o crampi, nel 66,6% dei casi nausea, nel 54,7 debolezza, nel 46,2 cefalea, nel 44,2 vertigini. A tale già notevole serie di effetti collaterali legati alla Ru-486, si devono aggiungere le perdite di sangue per 30 giorni e oltre nel 9% delle donne che l'assumono, secondo quanto sottolineato dal già citato New England Journal of Medicine.
Un altro lavoro a cura di ricercatori cinesi ha stabilito che, con l'aborto chimico rispetto a quello chirurgico, il rischio di sanguinamento per la donna sia 3,27 volte superiore, quello di dolore addominale 1,63 volte più frequente e la durata del sanguinamento 6,49 volte più prolungata. Uno studio, quest'ultimo, che si trova a pagina 8 della bibliografia usa proprio dal Consiglio superiore di sanità nel proprio parere sulla Ru486 del 18 marzo 2010. Beninteso, in quel caso il parere era noto ed è tutt'ora facilmente reperibile in Rete. Ora che invece il Consiglio superiore di sanità ha cambiato idea sull'aborto chimico, però, è tutto secretato. Forse perché l'«evidenza scientifica» di tale cambio di rotta non è così solida?
- In 72 ore 88 algerini fermati non lontano da Cagliari, mentre una quarantina di tunisini approdava tra Licata e le isole Pelagie. In arrivo la Ocean Viking con 118 ospiti a bordo.
- Con una consultazione spontanea, i cittadini di Lampedusa chiedono lo stop agli arrivi e la realizzazione di un ospedale.
Lo speciale contiene due articoli.
Non c'è tregua per le coste italiane, che continuano a essere invase da centinaia di migranti. Nelle ultime 72 ore la situazione è completamente sfuggita di mano, soprattutto nei litorali di Sardegna e Sicilia. D'altronde non potrebbe essere diversamente, visto che con la stagione estiva anche le condizioni climatiche sono più favorevoli per chi gestisce la tratta di esseri umani.
A testimonianza del fatto che gli sbarchi sono fuori controllo, gli ultimi dati ufficiali rilasciati dal ministero dell'Interno, per essere più precisi il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione. Dal Viminale fanno sapere che fino al 26 giugno sono sbarcati 6.576 clandestini. Il confronto con l'anno precedente, quando all'esecutivo sedeva la maggioranza gialloblù, è impietoso: nel 2019 nello stesso periodo erano arrivate in Italia 2.508 persone. Tra i picchi di sbarchi, del mese non ancora concluso, bisogna segnalare quelli del 25 e del 21, quando sono giunti complessivamente 434 migranti. Anche a maggio, continuando nel paragone con un anno fa, gli arrivi sono stati ben più numerosi: 1.654 rispetto ai 782 del 2019. La maggior parte di queste persone proviene dal Bangladesh (1.198) e dalla Tunisia (1.188). Sul podio anche la Costa d'Avorio (777).
Numeri che non potevano passare inosservati, soprattutto agli occhi del leader del Carroccio, Matteo Salvini: «Differenza tra governo con la Lega e governo attuale, periodo 1 gennaio-26 giugno: sbarchi aumentati del 162% (e sono inclusi i tre mesi di lockdown!). Le chiacchiere stanno a zero, parlano i dati ufficiali». «Sabato 4 e domenica 5 luglio in oltre 1.000 piazze italiane», ha scritto l'ex ministro dell'Interno, «aspetto anche la vostra firma per dire stop sanatorie, stop abolizione decreti Sicurezza, stop clandestini».
Nell'ultima manciata di giorni, come detto, la situazione è stata molto critica in Sardegna, specialmente nella parte meridionale della Regione. Sabato i primi 19 algerini sono stati trovati mentre si stavano per allontanare della spiaggia di Porto Pino, nel Comune di Sant'Anna Arresi. Poi altre 55 persone, anch'esse di cittadinanza algerina, sono state rintracciate tra Domus De Maria e Teulada (entrambe nella provincia del Sud Sardegna). Alcune ore dopo una motovedetta della Guardia di finanza ha intercettato al largo di Capo Teulada un barchino di legno di 5 metri con a bordo 14 migranti, che sono stati fatti sbarcare al porto di Sant'Antioco. Le ricerche hanno impegnato i carabinieri sino all'alba. Dopo le visite mediche, sono stati tutti trasferiti al centro di prima accoglienza di Monastir, dove il personale dell'ufficio stranieri della questura si è occupato delle operazioni di identificazione. E nella struttura di accoglienza trascorreranno la quarantena.
Fine settimana di sbarchi anche nelle coste siciliane. I primi 15 sono arrivati su una spiaggia nei pressi di Licata (Agrigento). Lo scafista che li ha fatti entrare in Italia è stato arrestato dalla Guardia costiera, mentre continuano le ricerche per individuare le altre persone che si trovavano a bordo del barchino. Domenica è stata la volta di 29 tunisini che sono stati, invece, soccorsi nelle acque antistanti Lampedusa. I migranti sono stati trasbordati sulle motovedette e portati sulla terraferma. Poi sono stati accompagnati all'hotspot dell'isola. Una struttura al collasso, dato che poco dopo 80 ospiti sono stati trasferiti dall'area di accoglienza di contrada Imbriacola e spostati a Porto Empedocle, a bordo di un traghetto di linea.
Eppure la marea carica di persone non accenna ad arrestarsi. Ieri l'ennesimo post su Twitter, la piattaforma prediletta delle Ong, di Mediterranea saving humans, dal suo account ha annunciato: «Questa mattina alle 6.20 la Mare Jonio ha soccorso 43 persone, tra cui donne e minori, a circa 40 miglia a Nord di Zuara (Libia ndr). Erano a bordo di un'imbarcazione piena d'acqua e sovraccarica, a rischio di affondare». E ancora, con un po' di retorica, «adesso sono sani e salvi sulla nostra nave. Benvenuti».
Ma non è finita qui, perché sulle nostre coste potrebbe sbarcare anche un'altra delle navi delle Ong. Ci riferiamo alla Ocean Viking della francese Sos Mediterranee che, sempre nella giornata di ieri, ha scritto sui social: «Ocean Viking è in stand by tra Malta e Italia da domenica mattina. Finora, non abbiamo ricevuto risposta dalle autorità marittime alle due richieste di Pos (porto sicuro, ndr) per far sbarcare 118 persone soccorse il 25/6». Un messaggio chiaro e mirato allo scopo di mettere pressione alle autorità che dovranno dare l'assenso all'ingresso.
In questo coro di annunci social non poteva mancare il messaggio della Sea Watch. Il post è dir poco sorprendente, perché fa sapere ai più distratti che la flotta della Ong tedesca non è composta solo da navi, ma anche da aerei (al momento due) utilizzati per intercettare i migranti dall'alto. «Il nuovo aereo di Sea Watch decolla oggi per la sua prima missione. Mentre Moonbird si ferma per manutenzione, Seabird ci permette di continuare a individuare imbarcazioni in pericolo, prestare assistenza e documentare violazioni di diritti umani nel Mediterraneo».
Lampedusa, hotspot bocciato al referendum
«È favorevole alla chiusura dell'hotspot e alla fine dell'uso delle Pelagie come piattaforme militarizzate delle politiche di gestione delle migrazioni? A che le persone migranti che vengono intercettate nelle acque attorno Lampedusa vengano trasportate in sicurezza direttamente a terraferma?», è il quesito di una consultazione popolare spontanea che si è svolta a Lampedusa e che domenica sera ha dato come risultato: 992 favorevoli alla chiusura dell'approdo facile ai migranti, 4 contrari. Circa 1.000 lampedusani hanno aderito dunque a questo «referendum autoconvocato», promosso da Rosario Costanza, Attilio Lucia, dal cantautore Giacomo Sferlazzo, che tengono a sottolineare la loro apartiticità.
La consultazione era stata preceduta da un'analoga iniziativa online che aveva raccolto quasi 2.500 adesioni. Alle ultime consultazioni ufficiali, le elezioni europee del 2019, i votanti erano stati 1.400 e avevano espresso un significativo consenso alla Lega di Matteo Salvini. Proprio il leader della Lega, nei giorni scorsi, era tornato a sollevare la questione sbarchi e il problema lavoro a Lampedusa, rilanciando un video dei pescatori che denunciavano le condizioni proibitive attorno all'isola: «Solo rottami e barche di immigrati, non lavoriamo più». Il comitato che ha promosso la consultazione informale lancia l'ennesimo grido di dolore dalla «porta d'Europa»: gli sbarchi tra poco riprenderanno in grande stile, con le complicazioni della gestione post Covid; l'isola senza presidio ospedaliero si sente abbandonata.
Il comitato lamenta il mancato confronto con le istituzioni locali, attualmente guidate dal sindaco, Salvatore Martello, che si definisce uomo di sinistra e, pur avendo archiviato la precedente amministrazione di impronta leghista, non minimizza il problema fondamentale dell'isola: a metà giugno Martello ha espresso il suo sconforto per lo stato di abbandono dell'isola da parte di un governo nazionale che pure in base alle coordinate della geografia politica dovrebbe essere amico. «Il governo mente», ha dichiarato, «qui gli sbarchi continuano senza controlli. Il porto di Lampedusa continua a restare aperto». Chi ha promosso la consultazione popolare senza troppo confidare nell'iniziativa dell'esecutivo cerca di dare visibilità ai lampedusani che si mostrano sempre più critici sull'utilizzo dell'isola come scalo. L'opposizione alla gestione delle politiche migratorie cresce sia pur con una delusione mista ad apatia, di cui è indice l'altissimo tasso di astensionismo delle europee del maggio 2019 (il 76% degli aventi diritti all'epoca disertò le urne).
Gli organizzatori del comitato rivendicano l'importanza della mobilitazione popolare scendendo in piazza con due obiettivi: la chiusura dell'hotspot e la realizzazione di un ospedale sull'isola. Per quanto assurdo possa sembrare la Lampedusa «porta d'Europa», sempre citata nei discorsi retorici sull'accoglienza e cornice mistica della celebre visita in cui papa Francesco tendeva la sua mano all'intero Continente africano, non è fornita di una struttura ospedaliera.
Riguardo al tema sanità, Rosario Costanza sottolinea: «La realizzazione di un ospedale sull'isola è possibile, la legge fissa a 150.000 persone il numero di abitanti necessario per avere un ospedale, ma allo stesso tempo chiarisce che la legge va in deroga per le zone disagiate, Pantelleria ha un ospedale con una popolazione di quasi 8.000 persone. Poco più del Comune di Lampedusa e Linosa. Consideri che in estate noi diventiamo 50.000. Lo studio di fattibilità che ci ha garantito la Regione Sicilia non può non darci ragione». Con un terribile inizio di 2020 e alla vigilia di una nuova estate calda, in cui i problemi dell'immigrazione potrebbero sommarsi agli strascichi del coronavirus, i lampedusani in mobilitazione referendaria chiedono qualche radar per avvistare i migranti in meno e qualche posto letto di assistenza ospedaliera in più.





