2023-05-20
Anche l’oro di Pantelleria in coda per il Pnrr
Vendemmia dello zibibbo a Pantelleria (Getty Images)
In arrivo sull’isola 52 milioni dell’Ue. Aiuteranno lo zibibbo, la vite ad alberello che dal 2014 fa parte del patrimonio Unesco (prima pratica agricola al mondo a ottenere il riconoscimento). E da cui si ricava un vino passito conosciuto in tutto il mondo.Non è un dio, ma da secoli i vignaioli panteschi gli si inginocchiano davanti come musulmani rivolti alla Mecca. Più che una divinità arborea, lo Zibibbo di Pantelleria è il santo patrono dell’isola a sud ovest della Sicilia, provincia di Trapani, piantata in mezzo al Canale di Sicilia, crocevia delle genti e delle rotte marittime. Zibibbo è un nome di origine araba, deriva da zabib, uva passa. Che sia un vitigno regale lo si capisce da come si fa servire e riverire. È una vite ad alberello basso, ma talmente basso che arriva poco più in su delle caviglie e ha bisogno di essere allevato e accudito come un figlio attraverso una pratica agricola che risale ai tempi dei tempi. L’appresero gli avi, poi i bisnonni, i nonni, i padri e ora la praticano i figli e i figli dei figli che s’inginocchiano più e più volte: quando devono scavare la conca, il bacino circolare che proteggerà l’alberello nano dai venti e raccoglierà l’acqua piovana ogni qualvolta (poche) pioverà. I vignaioli si inginocchiano ancora per potare il vitigno e ancora e ancora per vendemmiarne i grappoli. Una vendemmia fatta tutta a mano: almeno due passaggi di raccolta per ceppo perché decidono clima e venti chi maturare e chi far aspettare.una bellezza lunareMa chi glielo fa fare a questa brava gente tutta questa faticaccia? Il reddito? Ni. Salvatore Murana, il filosofo del passito di Pantelleria, risponde come un profeta biblico mescolando cuore, geologia e mitologia: «È passione antica, è il respiro profondo del vulcano, è il passo leggero degli dei e il rispetto dei sacrifici dei nostri padri». Una opinione che tanti panteschi non hanno condiviso cambiando mestiere e abbandonando i vigneti. Ma chi ha resistito ha l’orgoglio di aver onorato gli avi che hanno modellato il paesaggio con terrazzamenti e chilometri e chilometri di muretti a secco. C’è anche la soddisfazione di fare un vino conosciuto in tutto il mondo. La vite ad alberello di Pantelleria è diventata nel 2014 patrimonio dell’Unesco, la prima pratica agricola al mondo a diventare bene immateriale dell’umanità. Gli Arabi che hanno dominato l’isola per circa 400 anni e hanno lasciato le tracce della loro civiltà e del loro alfabeto anche nei nomi dei luoghi e delle contrade pieni di «k», di «er» di «ir» e di «en» a fine parola. Pantelleria significa «figlia del vento» e, in quanto tale, ha più padri. I due principali sono l’afoso e umido Scirocco che soffia dal Sahara e il Maestrale sotto il quale «urla e biancheggia il mar».Pantelleria è troppo al centro del Canale di Sicilia per passare inosservata. In millenni di storia, dal tardo neolitico in poi, è stata colonizzata da Fenici, Greci, Romani, Vandali, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Genovesi, Borboni. Tutti hanno lasciato tracce delle loro civiltà. A parte i pirati moreschi e i Turchi che l’hanno trattata come usa e getta depredandola, ammazzando e schiavizzando i panteschi.È un’isola di una bellezza lunare. Quando il 20 luglio del 1969 Neil Armstrong metteva piede sulla luna compiendo il «piccolo passo per l’uomo, ma il grande balzo per l’umanità», a Pantelleria c’era a guardarlo in televisione il grande scrittore colombiano Gabriel Garcia Màrquez, premio Nobel per la letteratura, arrivato sull’isola per conoscere Enrico Cicogna, il traduttore del suo capolavoro, Cent’anni di solitudine. «Non c’è un luogo al mondo più simile alla luna di questo», disse Marquez conquistato dalle nere rocce vulcaniche, dai crateri di antichi vulcani, da acque marine fumanti in grotte lungo la costa e da improvvisi e bollenti sbuffi di vapore come piccoli geyser. Dopo aver visto in televisione lo sbarco dell’uomo sulla luna, il grande scrittore si corresse: «Pantelleria è meglio della luna». Un altro grande letterato che si innamorò di questo gigantesco scoglio selenitico nato mezzo milione di anni fa dal grembo del Mediterraneo tra fuoco, lava e lapilli, fu Truman Capote, autore di Colazione da Tiffany e A sangue freddo: «Pantelleria è di una agghiacciante bellezza».la favorita dai vipMolti vip d’oggidì hanno casa a Pantelleria. Lo stilista Giorgio Armani, il giornalista e scrittore Italo Cucci, il fotografo Fabrizio Ferri possiedono lussuosi dammusi, le tipiche abitazioni bianche con cupoletta. L’hanno avuta il cantante Sergio Endrigo al quale è dedicata una piazzetta che s’affaccia sul celeberrimo Arco dell’Elefante, l’attore Gerard Depardieu che da buon gourmet s’innamorò del celeberrimo Passito di Pantelleria arrivando a produrlo in proprio. Di qui sono passati, passano e ripassano Monica Bellucci, Eros Ramazzotti con Michelle Hunziker, Sting, Naomi Campbell, Eric Clapton, Rupert Everett, Isabella Rossellini, Amedeo d’Aosta e una miriade di giornalisti, cantanti, attori, stelle, stelline. E vere star come l’attrice francese Carole Bouquet arrivata con Depardieu quando gli era compagna e rimasta a produrre dieci ettari di terreno, tra fiori di cappero e ulivi nani, di zibibbo. Bouquet (nomen omen) ne ricava l’etichetta Sangue d’oro. La bottiglia del 2021 (50 centilitri, 14,5 gradi) è venduta in internet a 95 euro.La pubblicità dichiara il Passito di Pantelleria «uno dei migliori vini dolci al mondo». Siamo d’accordo. E non solo noi visto che nel dicembre dello scorso anno, al «Mondial des vins extremes», estremi ed «eroici», un passito di Pantelleria, il Shamira di un piccolo vignaiolo, Fabrizio Basile, sorta di ulisside dagli occhi azzurri, ha vinto sia il Gran Premio per la viticoltura montana che quello delle Piccole Isole.Proprio sul Passito di Pantelleria, sul suo passato, presente e futuro e in generale sull’avvenire agricolo e sulla gastronomia dell’isola pantesca si è svolto un convegno di tre giorni dal titolo «Zibibbo è Pantelleria». L’iniziativa voluta dal sindaco Vincenzo Campo e promossa dall’amministrazione per incentivare i prodotti tipici e le bellezze della Perla nera del Mediterraneo, così chiamata per le rocce basaltiche e l’ossidiana nate dalla lava degli antichi vulcani, ma soprattutto per difendere lo zibibbo. tante idee per il futuroNel convegno al quale hanno partecipato, in presenza o in videoconferenza, esperti di tutt’Italia, sono emersi parecchi problemi, ma anche la volontà di risolverli: dall’abbandono dei vitigni al recupero degli stessi incentivando il reddito; dall’esame del dna del vitigno alla ricerca e sperimentazione sui ceppi di zibibbo a piede franco, mai attaccati, cioè, dalla filossera; dalla costituzione di una sola denominazione Docg Pantelleria Zibibbo riguardante l’intera produzione dell’isola, per riconoscerne l’identità elevandone il valore, alla proposta di fare una sola tipologia con bottiglia ed etichetta uniche in grado di rappresentare la storia e la tradizione; dall’istituzione di un vero Consorzio controllore della qualità alla creazione di una Strada dello Zibibbo per turisti del vino. C’è stata anche la proposta di lavorare a una zonazione vitivinicola dell’isola, di creare cioè dei cru: singoli vigneti con caratteristiche uniche. Ma ci sono i soldi per passare dalla teoria alla pratica? Il sindaco Campo e il senatore siciliano 5 stelle, Pietro Lorefice, assicurano di sì: sono in arrivo 52 milioni di euro grazie al Pnrr, lo strumento di rilancio economico voluto dall’Europa.Giampietro Comolli, consulente del Comune, promotore di Consorzi importanti (Franciacorta), già docente di storia ed economia della vite e del vino in varie università, ha messo il cappello su varie questioni: «È la difesa di una produzione che identifica Pantelleria nel mondo. Senza Zibibbo, senza vigne, ci saranno nuovi abbandoni di terre, più terreni incolti, povertà, mancanza di lavoro». Comolli ha fornito le statistiche da invertire: «60 anni fa si producevano 350.000 quintali di uva, oggi 18.000; erano 2.000 viticoltori panteschi, oggi 356 che coltivano 400 ettari di vigne a Zibibbo che rendono da 20 a 80 quintali di uva per ettaro».
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)