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2022-01-24
Sempre più soli, sempre più truffati
(IStock)
Ha fatto scalpore ma soprattutto ha suscitato stupore la storia dell’ex nazionale azzurro di pallavolo Roberto Cazzaniga, vittima per 15 anni di una truffa in cui ha elargire denaro, in tutto 700.000 euro, a una donna, una presunta bellissima modella brasiliana, con cui credeva di essere fidanzato, ma che non ha mai incontrato di persona. La truffa è emersa quando i familiari e i compagni di squadra si sono rivolti alla trasmissione di Italia1 Le Iene per metterlo di fronte alla dura realtà. Tutto era un inganno, a cominciare dalla foto di chi lo ha ingannato che era quella di una vera super-modella famosa per essere stata dal 2004 al 2017 una delle testimonial di Victoria’s Secret. Stretto in una morsa di richieste di soldi sempre più esose, lo sportivo era arrivato a chiedere prestiti per aiutare la fantomatica fidanzata virtuale.
Poi la storia di Flavia Vento con un finto Tom Cruise. Anche questa una relazione virtuale, iniziata con un messaggio su Twitter poi sfociata in una richiesta di denaro per un incontro. Alcune situazioni hanno risvolti anche più inquietanti della semplice estorsione di denaro. È quanto è successo al sessantaquattrenne imprenditore veneto Claudio Formenton, sequestrato per tre giorni in Costa d’Avorio dove era volato per incontrare, dopo mesi di chat, una presunta Olivia di cui si era innamorato. Ad amici e conoscenti, Formenton aveva detto che si recava in Africa per trovare alcuni sacerdoti missionari.
Questi personaggi rappresentano la punta di un iceberg, quello delle truffe del cuore che ogni anno mietono almeno 300 vittime. Nel 2021 sono stati sottratti quasi 5 milioni di euro, secondo dati della sezione anticrimine informatico della polizia postale, con un aumento del 118% rispetto all’anno precedente. Sono state denunciate 73 persone e altre indagini sono in corso.
L’associazione Acta, che si batte contro le truffe affettive e supporta le vittime di questi raggiri, ha calcolato, in base alle situazioni di cui è venuta a conoscenza, che dal 2014 a oggi sarebbero stati sottratti 200 milioni di euro. Sono numeri sottostimati, dal momento che la maggior parte delle vittime non sporge denuncia. Secondo la polizia postale il sommerso di questo tipo di reati è di oltre il 50%. Dietro le truffe ci sono gruppi criminali ben organizzati che scelgono con cura le vittime sulle piattaforme social, ne individuano le caratteristiche e decidono come contattarle.
Di solito la vittima viene avvicinata su Facebook, Instagram o Tiktok da una bella ragazza o da un avvenente uomo, persone che in realtà non esistono: sono foto rubate dal Web attorno alle quali l’impostore crea un’identità accattivante e tagliata su misura di chi vuole colpire. I due chattano per settimane, anche mesi, il tempo necessario all’impostore per entrare in sintonia con il bersaglio. Si comincia con leggerezza: i temi sono i viaggi, le letture, i film, la tv. Pian piano si entra nel privato. C’è sempre qualcosa che accomuna: una delusione d’amore, un matrimonio finito, difficoltà sul lavoro, preoccupazioni per i figli ma anche progetti per il futuro, voglia di viaggi, di avventure, sogni e desideri.
Giorno dopo giorno il rapporto si stringe fino al punto che l’impostore può cominciare a chiedere denaro senza che la vittima opponga resistenza, adducendo motivi svariati, da improvvise malattie a crisi di lavoro. E quando l’inganno viene alla luce, le vittime cadono in una profondissima crisi fatta di vergogna, perdita di stima di sé, rottura di relazioni con i familiari che condannano senza capire. I siti che mettono in guardia da questi rischi sono numerosi ma il fenomeno è in espansione, spesso favorito dalla solitudine delle grandi città o legato all’avanzare dell’età con le fragilità che comporta, alla mancanza di una rete familiare di sostegno. Non a caso molte associazioni di pensionati sui loro siti pubblicano vademecum su come individuare le truffe e propongono luoghi di incontro per i non più giovani proprio per strapparli alla solitudine, alla tristezza della perdita del compagno di una vita. La pandemia ha accentuato l’isolamento, tant’è che i casi in quest’ultimo anno si sono moltiplicati.
Gli psicologi che abbiamo intervistato sottolineano un identico copione. Anche quando la vittima comincia a dubitare continua a pagare, spera di recuperare i soldi dati, e si vergogna ad ammettere di essersi sbagliata. Una volta nel tunnel della dipendenza psicologica, persino la mano tesa di un familiare è rifiutata. Il percorso per uscirne è lungo e difficile. Simile alla disintossicazione da una droga.
«Così ho aiutato 15.000 donne disperate»
Ha fondato nel 2014 Acta, Azione contro le truffe affettive e per la lotta alla manipolazione e al crimine informatico. Al suo sportello si sono rivolte oltre 15.000 donne, molte vittime di truffe ingenti che hanno perso patrimoni, si sono indebitate e sono sprofondate nella disperazione: «Gli scammer sono così abili da creare nel soggetto preso di mira, soprattutto donne, una dipendenza affettiva che è una sorta di droga». Jolanda Bonino parla non solo per l’esperienza di ascolto e supporto verso le vittime, ma soprattutto perché ha vissuto sulla propria pelle lo «stritolamento della piovra della truffa». E la sua vicenda personale è stata la molla che l’ha portata a fondare Acta per aiutare persone rimaste prigioniere nella rete.
«Sono stata la prima donna truffata in Italia che ha denunciato. Spesso si usa il termine di truffe sentimentali, ma è più corretto parlare di truffe affettive perché gli adescatori generano, con abili tecniche manipolatorie, una dipendenza affettiva come accade per i drogati. La mia storia inizia nella primavera del 2014 e dura pochi mesi. A quel tempo ero una sindacalista impegnata in diverse battaglie, non una persona ingenua. Diedi l’amicizia su Facebook a un tipo che si spacciava per ingegnere francese. Cominciò un dialogo serrato, lui mi descriveva la sua vita, parlava di viaggi, solleticava la mia curiosità. Mi fece scoprire di avere interessi comuni. Probabilmente aveva studiato il mio profilo social, ma io non lo sapevo e a quel tempo non si parlava ancora di queste truffe online».
«Mi trasmise l’immagine di un uomo gentile, attento, di sani principi, capace di ascoltarmi: quello che avevo sempre cercato in un uomo», ammette Bonino. «Disse di avere 52 anni, io ne avevo una decina di più. Un giorno annunciò di doversi trasferire in Africa per seguire un appalto. Cominciò a mandarmi video di lui: solo in seguito capii che erano falsi costruiti animando alcune foto. Vederlo muoversi me lo faceva sentire più vicino. Scriveva e parlava in francese, ma commetteva alcuni errori di grammatica che mi avevano insospettito perché conosco bene quella lingua, ma non ci avevo dato peso: sarà colpa della fretta di scrivere su Whatsapp, mi dicevo. Parlava dell’Africa, dei problemi sociali e delle tensioni politiche del Paese in cui si trovava. Scatenava la mia curiosità e non mi accorgevo che lentamente scivolavo nella rete. Mi sembrava impossibile che avesse così tante qualità che mi affascinavano. Noi donne non abbiamo gli anticorpi contro chi ci fa sentire al centro delle sue attenzioni».
«Da casa, davanti al computer, mi sentivo al sicuro», soggiunge Bonino. «Sottovalutai i pericoli del Web. Talvolta cercavo di metterlo alla prova e gli rivolgevo domande trabocchetto, ma lui era abilissimo ad affascinarmi. Era molto presente, un fatto piuttosto raro negli uomini che di solito mettono al primo posto la carriera e il successo professionale. La caratteristica degli scammer è fare sentire la vittima al centro dell’universo e questo è molto gratificante. Lo fanno con una strategia abile, tagliata sul soggetto che vogliono manipolare. Lui mi aveva studiato attentamente, sapeva che avevo dato soldi in beneficenza per un istituto di ciechi in Costa d’Avorio, che sono una persona disponibile, che non si gira dall’altra parte di fronte alle difficoltà del prossimo, che sono di buon cuore che mi faccio in quattro per chi è in una condizione di disagio. Ero la vittima giusta».
A un certo punto fece capolino la richiesta di soldi. Disse che durante una manifestazione era stato picchiato, derubato dei documenti e dei soldi e aveva bisogno di un aiuto. «Quando mi chiese di mandargli 100 euro tramite Money transfer», rievoca Jolanda Bonino, «non conoscevo nemmeno questo meccanismo. Gli fui grata di avermi fatto conoscere una cosa nuova. E siccome ho problemi di vista, mi aiutò ad attivare Skype guidando ogni mia mossa. Questa attenzione costante accarezzò il mio ego e cominciai a mandare soldi come un automa».
Qualche sera dopo, lui raccontò che non amava i cibi piccanti tipici di quei luoghi: «Non sapevo che la confidenza preludeva alla mossa successiva. Infatti giorni dopo riferì di stare molto male e di doversi operare. Piangeva al telefono, era disperato. In quel momento ebbi i sospetti maggiori, anche se non era ancora arrivato a chiedermi i soldi per tornare in Francia. Alla polizia mi ascoltarono in modo sbrigativo, probabilmente nemmeno loro avevano coscienza del pericolo che correvo. Consigliarono di staccare la spina e interrompere quel rapporto. Ma io avevo ormai sviluppato una dipendenza affettiva. Così, dopo giorni senza comunicazioni, riaprii il computer. Trovai la sua cartella clinica con l’esito dell’operazione».
Prosegue Bonino: «Fui assalita dai sensi di colpa per averlo abbandonato. Lo chiamai chiedendogli dove avesse rimediato i soldi, rispose di aver venduto alcuni oggetti personali di un certo valore. Ma ora doveva pagare l’albergo. Gli mandai 800 euro dicendogli di prendere un aereo e venire in Italia. Mi inviò la foto di un volo aereo per Torino. A salvarmi fu un amico che mi suggerì di cercare su Internet la parola brouteur, ovvero truffatore. Mi si aprì un mondo. E tra le foto compariva anche quella del mio carnefice. Andai in aeroporto mostrando la foto del biglietto. Seppi che era falso e non c’era nessuno in arrivo dalla Francia con quel nome. Ormai era tutto chiaro. Andai alla polizia per la denuncia, ma era contro ignoti e il caso fu archiviato. Non ho voluto però che la mia esperienza passasse invano. E così è nata l’idea dell’associazione per offrire assistenza a donne e uomini che, come me, sono stati vittime di una truffa affettiva».
«Gang afroasiatiche sfruttano chi è privo di legami familiari»
«Dietro a queste truffe cosiddette di cuore ci sono organizzazioni malavitose di provenienza asiatica e africana. È emerso che una banda nigeriana era molto attiva in Italia probabilmente perché, tramite la comunità africana nel nostro Paese, aveva potuto studiare da vicino l’organizzazione sociale italiana, la disintegrazione delle famiglie, l’assenza di rete parentale e la grande solitudine. Ed è proprio attorno a persone sole, senza grandi legami familiari, che scatta la trappola della truffa sentimentale». Anna Coluccia, ordinario di medicina legale all’università di Siena e criminologo clinico, ha effettuato con un pool di esperti una ricerca che prende in esame gli studi effettuati nel mondo su questo tipo di truffe online. Sul totale del campione esaminato, il 3% è caduto almeno una volta in questa rete. Alcuni ci hanno rimesso l’intero patrimonio. La dottoressa Coluccia non entra nel dettaglio dei singoli casi, coperti da riservatezza professionale, ma tratteggia uno scenario del fenomeno.
Le truffe sentimentali sono antiche quanto l’uomo ma ora con Internet hanno assunto aspetti nuovi. Quali?
«Sono diventate più sofisticate e a largo raggio. Da diversi anni studio gli effetti del mondo dell’immateriale, cioè la perdita della fisicità nel rapporto tra vittima e autore del crimine. Sull’online abbiamo reati nuovi, come il furto dell’identità, la pedofilia, la violenza sessuale perpetrata con la pubblicazione di video privati di una coppia. Molti reati che prima si svolgevano nel mondo fisico si sono spostati sul Web».
In che modo queste organizzazioni malavitose scelgono le vittime?
«La tecnica è quella della pesca a strascico. Creano nickname falsi con una foto interessante e inondano i social di richieste di amicizia. Poi, tra coloro che abboccano, fanno la scrematura scegliendo i soggetti con maggiori disponibilità economiche e un profilo psicologico di fragilità».
Quali sono le prede che più facilmente cadono nella rete?
«In base alla ricerca, il 63% sono donne di mezza età, intorno ai 50 anni con una buona posizione economica, che escono da un divorzio o da una separazione o che hanno subito un lutto. Persone fragili emotivamente, con personalità tendente alla dipendenza. Un soggetto che sviluppa una dipendenza va sempre alla ricerca di un’altra dipendenza. È una catena difficile da spezzare».
Ma i truffatori come riescono ad andare a colpo sicuro?
«Studiano la vittima carpendo informazioni sui social. C’è una tendenza generalizzata a fornire indicazioni anche molto private sul Web. Così se un soggetto confida su Facebook che la sera tornando a casa si sente triste e solo, il truffatore sa che mandando un messaggio tranquillizzante a quell’ora può far breccia e aprirsi un varco nella sua sfera emotiva».
Quanto dura l’operazione di seduzione?
«Può prolungarsi anche per un intero anno o almeno finché la vittima non abbassa tutte le barriere di difesa. L’obiettivo primario del truffatore è stabilire un rapporto di empatia, far sentire la vittima a proprio agio, amata, compresa e importante. Il resto viene di conseguenza».
Quando cominciano le richieste economiche?
«Appena si è stabilito questo rapporto di vicinanza, sempre sul Web, cominciano piccole richieste di doni che possono servire alla potenziale coppia, come una webcam per vedersi o uno smartphone. Poi si passa ai soldi».
Possibile che la vittima non si accorga di essere in trappola?
«Il truffatore gioca molto sul desiderio. La vittima anche se ha il sentore che qualcosa non quadra, non vuole ammetterlo a sé stessa. Il desiderio dell’altro è così prepotente da obnubilare qualsiasi giudizio. Si vuole una sola cosa: incontrare il seduttore e sentirsi amati».
E cosa accade quando la truffa è palese?
«In molti, sul senso di colpa per aver ceduto, perdendo anche denaro, prevale il dolore di aver perso un amore. Alla sconfitta economica si somma quella sentimentale. La vittima ha creduto in quell’amore e ora ne è stata privata. Ecco ciò che fa più soffrire. La ricerca del successo sentimentale è comune a tutti, ma in alcuni soggetti fragili è più spiccato. Questo spiega perché il film Pretty Woman, la classica storia di Cenerentola, fa il boom di ascolti ogni volta che viene trasmesso in tv. E non per i bellissimi Richard Gere e Julia Roberts: è la rappresentazione della vittoria dell’amore. Di questo i truffatori sono consapevoli ed è un’arma che usano con destrezza».
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I Vip abbindolati da imbroglioni che si fingono innamorati svelano il fenomeno degli inganni del cuore: ogni anno almeno 300 vittime, raddoppiate durante il lockdown, con quasi 5 milioni di euro sottratti a persone emotivamente fragili.Jolanda Bonino cadde nella trappola di uno sconosciuto che le spillò migliaia di euro: «Ho creato un’associazione per smascherare i delinquenti abili nel manipolare la gente toccando le corde affettive. Parecchia gente ha perso tutto, è una droga da cui non si esce».La criminologa Anna Coluccia: «Creano finte identità e pescano sul Web soggetti abbienti con carattere incline alla dipendenza».Lo speciale contiene tre articoli.Ha fatto scalpore ma soprattutto ha suscitato stupore la storia dell’ex nazionale azzurro di pallavolo Roberto Cazzaniga, vittima per 15 anni di una truffa in cui ha elargire denaro, in tutto 700.000 euro, a una donna, una presunta bellissima modella brasiliana, con cui credeva di essere fidanzato, ma che non ha mai incontrato di persona. La truffa è emersa quando i familiari e i compagni di squadra si sono rivolti alla trasmissione di Italia1 Le Iene per metterlo di fronte alla dura realtà. Tutto era un inganno, a cominciare dalla foto di chi lo ha ingannato che era quella di una vera super-modella famosa per essere stata dal 2004 al 2017 una delle testimonial di Victoria’s Secret. Stretto in una morsa di richieste di soldi sempre più esose, lo sportivo era arrivato a chiedere prestiti per aiutare la fantomatica fidanzata virtuale.Poi la storia di Flavia Vento con un finto Tom Cruise. Anche questa una relazione virtuale, iniziata con un messaggio su Twitter poi sfociata in una richiesta di denaro per un incontro. Alcune situazioni hanno risvolti anche più inquietanti della semplice estorsione di denaro. È quanto è successo al sessantaquattrenne imprenditore veneto Claudio Formenton, sequestrato per tre giorni in Costa d’Avorio dove era volato per incontrare, dopo mesi di chat, una presunta Olivia di cui si era innamorato. Ad amici e conoscenti, Formenton aveva detto che si recava in Africa per trovare alcuni sacerdoti missionari.Questi personaggi rappresentano la punta di un iceberg, quello delle truffe del cuore che ogni anno mietono almeno 300 vittime. Nel 2021 sono stati sottratti quasi 5 milioni di euro, secondo dati della sezione anticrimine informatico della polizia postale, con un aumento del 118% rispetto all’anno precedente. Sono state denunciate 73 persone e altre indagini sono in corso.L’associazione Acta, che si batte contro le truffe affettive e supporta le vittime di questi raggiri, ha calcolato, in base alle situazioni di cui è venuta a conoscenza, che dal 2014 a oggi sarebbero stati sottratti 200 milioni di euro. Sono numeri sottostimati, dal momento che la maggior parte delle vittime non sporge denuncia. Secondo la polizia postale il sommerso di questo tipo di reati è di oltre il 50%. Dietro le truffe ci sono gruppi criminali ben organizzati che scelgono con cura le vittime sulle piattaforme social, ne individuano le caratteristiche e decidono come contattarle.Di solito la vittima viene avvicinata su Facebook, Instagram o Tiktok da una bella ragazza o da un avvenente uomo, persone che in realtà non esistono: sono foto rubate dal Web attorno alle quali l’impostore crea un’identità accattivante e tagliata su misura di chi vuole colpire. I due chattano per settimane, anche mesi, il tempo necessario all’impostore per entrare in sintonia con il bersaglio. Si comincia con leggerezza: i temi sono i viaggi, le letture, i film, la tv. Pian piano si entra nel privato. C’è sempre qualcosa che accomuna: una delusione d’amore, un matrimonio finito, difficoltà sul lavoro, preoccupazioni per i figli ma anche progetti per il futuro, voglia di viaggi, di avventure, sogni e desideri. Giorno dopo giorno il rapporto si stringe fino al punto che l’impostore può cominciare a chiedere denaro senza che la vittima opponga resistenza, adducendo motivi svariati, da improvvise malattie a crisi di lavoro. E quando l’inganno viene alla luce, le vittime cadono in una profondissima crisi fatta di vergogna, perdita di stima di sé, rottura di relazioni con i familiari che condannano senza capire. I siti che mettono in guardia da questi rischi sono numerosi ma il fenomeno è in espansione, spesso favorito dalla solitudine delle grandi città o legato all’avanzare dell’età con le fragilità che comporta, alla mancanza di una rete familiare di sostegno. Non a caso molte associazioni di pensionati sui loro siti pubblicano vademecum su come individuare le truffe e propongono luoghi di incontro per i non più giovani proprio per strapparli alla solitudine, alla tristezza della perdita del compagno di una vita. La pandemia ha accentuato l’isolamento, tant’è che i casi in quest’ultimo anno si sono moltiplicati. Gli psicologi che abbiamo intervistato sottolineano un identico copione. Anche quando la vittima comincia a dubitare continua a pagare, spera di recuperare i soldi dati, e si vergogna ad ammettere di essersi sbagliata. Una volta nel tunnel della dipendenza psicologica, persino la mano tesa di un familiare è rifiutata. Il percorso per uscirne è lungo e difficile. Simile alla disintossicazione da una droga.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/piu-soli-sempre-piu-truffati-2656463172.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cosi-ho-aiutato-15-000-donne-disperate" data-post-id="2656463172" data-published-at="1642957716" data-use-pagination="False"> «Così ho aiutato 15.000 donne disperate» Ha fondato nel 2014 Acta, Azione contro le truffe affettive e per la lotta alla manipolazione e al crimine informatico. Al suo sportello si sono rivolte oltre 15.000 donne, molte vittime di truffe ingenti che hanno perso patrimoni, si sono indebitate e sono sprofondate nella disperazione: «Gli scammer sono così abili da creare nel soggetto preso di mira, soprattutto donne, una dipendenza affettiva che è una sorta di droga». Jolanda Bonino parla non solo per l’esperienza di ascolto e supporto verso le vittime, ma soprattutto perché ha vissuto sulla propria pelle lo «stritolamento della piovra della truffa». E la sua vicenda personale è stata la molla che l’ha portata a fondare Acta per aiutare persone rimaste prigioniere nella rete. «Sono stata la prima donna truffata in Italia che ha denunciato. Spesso si usa il termine di truffe sentimentali, ma è più corretto parlare di truffe affettive perché gli adescatori generano, con abili tecniche manipolatorie, una dipendenza affettiva come accade per i drogati. La mia storia inizia nella primavera del 2014 e dura pochi mesi. A quel tempo ero una sindacalista impegnata in diverse battaglie, non una persona ingenua. Diedi l’amicizia su Facebook a un tipo che si spacciava per ingegnere francese. Cominciò un dialogo serrato, lui mi descriveva la sua vita, parlava di viaggi, solleticava la mia curiosità. Mi fece scoprire di avere interessi comuni. Probabilmente aveva studiato il mio profilo social, ma io non lo sapevo e a quel tempo non si parlava ancora di queste truffe online». «Mi trasmise l’immagine di un uomo gentile, attento, di sani principi, capace di ascoltarmi: quello che avevo sempre cercato in un uomo», ammette Bonino. «Disse di avere 52 anni, io ne avevo una decina di più. Un giorno annunciò di doversi trasferire in Africa per seguire un appalto. Cominciò a mandarmi video di lui: solo in seguito capii che erano falsi costruiti animando alcune foto. Vederlo muoversi me lo faceva sentire più vicino. Scriveva e parlava in francese, ma commetteva alcuni errori di grammatica che mi avevano insospettito perché conosco bene quella lingua, ma non ci avevo dato peso: sarà colpa della fretta di scrivere su Whatsapp, mi dicevo. Parlava dell’Africa, dei problemi sociali e delle tensioni politiche del Paese in cui si trovava. Scatenava la mia curiosità e non mi accorgevo che lentamente scivolavo nella rete. Mi sembrava impossibile che avesse così tante qualità che mi affascinavano. Noi donne non abbiamo gli anticorpi contro chi ci fa sentire al centro delle sue attenzioni». «Da casa, davanti al computer, mi sentivo al sicuro», soggiunge Bonino. «Sottovalutai i pericoli del Web. Talvolta cercavo di metterlo alla prova e gli rivolgevo domande trabocchetto, ma lui era abilissimo ad affascinarmi. Era molto presente, un fatto piuttosto raro negli uomini che di solito mettono al primo posto la carriera e il successo professionale. La caratteristica degli scammer è fare sentire la vittima al centro dell’universo e questo è molto gratificante. Lo fanno con una strategia abile, tagliata sul soggetto che vogliono manipolare. Lui mi aveva studiato attentamente, sapeva che avevo dato soldi in beneficenza per un istituto di ciechi in Costa d’Avorio, che sono una persona disponibile, che non si gira dall’altra parte di fronte alle difficoltà del prossimo, che sono di buon cuore che mi faccio in quattro per chi è in una condizione di disagio. Ero la vittima giusta». A un certo punto fece capolino la richiesta di soldi. Disse che durante una manifestazione era stato picchiato, derubato dei documenti e dei soldi e aveva bisogno di un aiuto. «Quando mi chiese di mandargli 100 euro tramite Money transfer», rievoca Jolanda Bonino, «non conoscevo nemmeno questo meccanismo. Gli fui grata di avermi fatto conoscere una cosa nuova. E siccome ho problemi di vista, mi aiutò ad attivare Skype guidando ogni mia mossa. Questa attenzione costante accarezzò il mio ego e cominciai a mandare soldi come un automa». Qualche sera dopo, lui raccontò che non amava i cibi piccanti tipici di quei luoghi: «Non sapevo che la confidenza preludeva alla mossa successiva. Infatti giorni dopo riferì di stare molto male e di doversi operare. Piangeva al telefono, era disperato. In quel momento ebbi i sospetti maggiori, anche se non era ancora arrivato a chiedermi i soldi per tornare in Francia. Alla polizia mi ascoltarono in modo sbrigativo, probabilmente nemmeno loro avevano coscienza del pericolo che correvo. Consigliarono di staccare la spina e interrompere quel rapporto. Ma io avevo ormai sviluppato una dipendenza affettiva. Così, dopo giorni senza comunicazioni, riaprii il computer. Trovai la sua cartella clinica con l’esito dell’operazione». Prosegue Bonino: «Fui assalita dai sensi di colpa per averlo abbandonato. Lo chiamai chiedendogli dove avesse rimediato i soldi, rispose di aver venduto alcuni oggetti personali di un certo valore. Ma ora doveva pagare l’albergo. Gli mandai 800 euro dicendogli di prendere un aereo e venire in Italia. Mi inviò la foto di un volo aereo per Torino. A salvarmi fu un amico che mi suggerì di cercare su Internet la parola brouteur, ovvero truffatore. Mi si aprì un mondo. E tra le foto compariva anche quella del mio carnefice. Andai in aeroporto mostrando la foto del biglietto. Seppi che era falso e non c’era nessuno in arrivo dalla Francia con quel nome. Ormai era tutto chiaro. Andai alla polizia per la denuncia, ma era contro ignoti e il caso fu archiviato. Non ho voluto però che la mia esperienza passasse invano. E così è nata l’idea dell’associazione per offrire assistenza a donne e uomini che, come me, sono stati vittime di una truffa affettiva». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/piu-soli-sempre-piu-truffati-2656463172.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="gang-afroasiatiche-sfruttano-chi-e-privo-di-legami-familiari" data-post-id="2656463172" data-published-at="1642957716" data-use-pagination="False"> «Gang afroasiatiche sfruttano chi è privo di legami familiari» «Dietro a queste truffe cosiddette di cuore ci sono organizzazioni malavitose di provenienza asiatica e africana. È emerso che una banda nigeriana era molto attiva in Italia probabilmente perché, tramite la comunità africana nel nostro Paese, aveva potuto studiare da vicino l’organizzazione sociale italiana, la disintegrazione delle famiglie, l’assenza di rete parentale e la grande solitudine. Ed è proprio attorno a persone sole, senza grandi legami familiari, che scatta la trappola della truffa sentimentale». Anna Coluccia, ordinario di medicina legale all’università di Siena e criminologo clinico, ha effettuato con un pool di esperti una ricerca che prende in esame gli studi effettuati nel mondo su questo tipo di truffe online. Sul totale del campione esaminato, il 3% è caduto almeno una volta in questa rete. Alcuni ci hanno rimesso l’intero patrimonio. La dottoressa Coluccia non entra nel dettaglio dei singoli casi, coperti da riservatezza professionale, ma tratteggia uno scenario del fenomeno. Le truffe sentimentali sono antiche quanto l’uomo ma ora con Internet hanno assunto aspetti nuovi. Quali? «Sono diventate più sofisticate e a largo raggio. Da diversi anni studio gli effetti del mondo dell’immateriale, cioè la perdita della fisicità nel rapporto tra vittima e autore del crimine. Sull’online abbiamo reati nuovi, come il furto dell’identità, la pedofilia, la violenza sessuale perpetrata con la pubblicazione di video privati di una coppia. Molti reati che prima si svolgevano nel mondo fisico si sono spostati sul Web». In che modo queste organizzazioni malavitose scelgono le vittime? «La tecnica è quella della pesca a strascico. Creano nickname falsi con una foto interessante e inondano i social di richieste di amicizia. Poi, tra coloro che abboccano, fanno la scrematura scegliendo i soggetti con maggiori disponibilità economiche e un profilo psicologico di fragilità». Quali sono le prede che più facilmente cadono nella rete? «In base alla ricerca, il 63% sono donne di mezza età, intorno ai 50 anni con una buona posizione economica, che escono da un divorzio o da una separazione o che hanno subito un lutto. Persone fragili emotivamente, con personalità tendente alla dipendenza. Un soggetto che sviluppa una dipendenza va sempre alla ricerca di un’altra dipendenza. È una catena difficile da spezzare». Ma i truffatori come riescono ad andare a colpo sicuro? «Studiano la vittima carpendo informazioni sui social. C’è una tendenza generalizzata a fornire indicazioni anche molto private sul Web. Così se un soggetto confida su Facebook che la sera tornando a casa si sente triste e solo, il truffatore sa che mandando un messaggio tranquillizzante a quell’ora può far breccia e aprirsi un varco nella sua sfera emotiva». Quanto dura l’operazione di seduzione? «Può prolungarsi anche per un intero anno o almeno finché la vittima non abbassa tutte le barriere di difesa. L’obiettivo primario del truffatore è stabilire un rapporto di empatia, far sentire la vittima a proprio agio, amata, compresa e importante. Il resto viene di conseguenza». Quando cominciano le richieste economiche? «Appena si è stabilito questo rapporto di vicinanza, sempre sul Web, cominciano piccole richieste di doni che possono servire alla potenziale coppia, come una webcam per vedersi o uno smartphone. Poi si passa ai soldi». Possibile che la vittima non si accorga di essere in trappola? «Il truffatore gioca molto sul desiderio. La vittima anche se ha il sentore che qualcosa non quadra, non vuole ammetterlo a sé stessa. Il desiderio dell’altro è così prepotente da obnubilare qualsiasi giudizio. Si vuole una sola cosa: incontrare il seduttore e sentirsi amati». E cosa accade quando la truffa è palese? «In molti, sul senso di colpa per aver ceduto, perdendo anche denaro, prevale il dolore di aver perso un amore. Alla sconfitta economica si somma quella sentimentale. La vittima ha creduto in quell’amore e ora ne è stata privata. Ecco ciò che fa più soffrire. La ricerca del successo sentimentale è comune a tutti, ma in alcuni soggetti fragili è più spiccato. Questo spiega perché il film Pretty Woman, la classica storia di Cenerentola, fa il boom di ascolti ogni volta che viene trasmesso in tv. E non per i bellissimi Richard Gere e Julia Roberts: è la rappresentazione della vittoria dell’amore. Di questo i truffatori sono consapevoli ed è un’arma che usano con destrezza».
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.