2025-11-09
Cibi extra Ue entrano senza controlli. Lollobrigida: in Italia la sede delle dogane
Allarme Coldiretti: «Il porto di Rotterdam è un colabrodo, il 97% dei prodotti non subisce esami». Il ministro incalza Bruxelles.In ballo ci sono malcontati 700 miliardi di euro, quasi un terzo del Pil generato dall’agroalimentare, oltre che la salute, eppure l’Europa non protegge i campi. Perciò l’Italia si candida a sentinella della qualità e della salubrità delle merci che arrivano dall’estero. Francesco Lollobrigida annuncia: «Chiederemo che venga assegnata all’Italia l’autorità doganale europea». È la risposta all’allarme lanciato dalla Codiretti nella sua tre giorni di Bologna. Ha ammonito il presidente Ettore Prandini: «Con 97 prodotti alimentari stranieri su 100 che entrano nell’Ue senza alcun controllo, approfittando di porti “colabrodo” come Rotterdam, serve un sistema realmente efficace di controlli alle frontiere per tutelare la salute dei cittadini e difendere le imprese agroalimentari dalla concorrenza sleale che mette a rischio i nostri record». Immediata la risposta del ministro per la Sovranità alimentare Franceso Lollobrigida: «L’Italia è il Paese che controlla di più e truffa di meno, grazie anche al lavoro straordinario delle nostre forze dell’ordine; per questo chiediamo che la futura Authority europea abbia sede qui, in Italia. E che nei porti del Nord Europa, come Rotterdam, si adottino gli stessi standard di controllo che applichiamo nei nostri porti. Chi ha pensato di ridurre la produzione europea per aumentare le importazioni», ecco la frecciata a Frans Timmermans l’ex vicepresidente della Commissione Ue ideologo del Green deal e mandato a casa proprio dai contadini olandesi, «ha sbagliato i conti, e in molti casi ne ha già pagato le conseguenze. Il governo, in questi anni, ha invertito la rotta e ha messo l’agricoltura al centro». Vero, ma resta il fronte di Bruxelles. Dalle parole di Lollobrigida, Prandini chiede di passare ai fatti in sede europea ricontrattando i dazi Usa, fermando il Mercosur, assicurando reciprocità sulle importazioni. Sostiene il presidente, che ringrazia il ministro per aver dato slancio alla proposta della Coldiretti sulle dogane, «non si possono imporre regole stringenti ai nostri produttori e poi aprire le frontiere a chi produce senza rispettarle. Oggi in Europa solo il 3% dei prodotti importati viene controllato. È inaccettabile, se pensiamo al numero di verifiche che subiscono le nostre aziende e soprattutto non è pensabile che il nostro made in Italy possa essere affossato dalla mancanza del concetto di reciprocità». Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti, rincara: «Non è pensabile che l’agricoltura più distintiva e più ricca di potenziale subisca attacchi che ne mettono costantemente a rischio il valore; dobbiamo arrivare a un controllo sui prodotti che arrivi al 100%, soprattutto su filiere che sappiamo essere già compromesse all’origine». I cibi e le bevande importati in Italia sono 5 volte più pericolosi dei nostri; nei prodotti importati c’è una presenza di residui chimici irregolari pari al 2,6% rispetto ad appena lo 0,5% di quelli nazionali e considerano quelli extra Ue la percentuale sale al 4,5%. Va anche detto che Parma ospita già l’Efsa, l’autorità europea che vigila sull’agroalimentare. È dunque una questione di salute, ma anche economica. Lo ha messo in evidenza Federico Vecchioni, amministratore delegato di Bf di gran lunga il gruppo agroalimentare più importante d’Italia, quotato in Borsa. «Dieci anni fa», ha scandito Vecchioni, «Coldiretti ha avuto la lungimiranza di affiancare un solido progetto economico al progetto sindacale. È nata Bf con la volontà di creare un campione nazionale che mancava e che ha portato poi alla nascita di Cai-Consorzi Agrari d’Italia. Un’infrastruttura al servizio degli agricoltori per renderli più competitivi e per aiutarli a proteggere il loro reddito e che ha una funzione inscindibile con Coldiretti. Oggi abbiamo il dovere di usare questa nostra esperienza per proteggere gli agricoltori non solo in Italia, ma anche nel mondo, a partire dall’Africa dove siamo protagonisti del Piano Mattei. E lo facciamo senza essere predatori, senza acquistare i terreni, senza importare qui i prodotti che invece servono alla sicurezza alimentare dei Paesi dove operiamo, ma con la capacita anche di attrarre investimenti della finanza verso progetti agricoli». Tutto questo però sarebbe vano senza una vera protezione dei nostri prodotti che nascono dall’agricoltura più verde del mondo (ha il record di sostenibilità), che ha la maggiore redditività (3.100 euro all’ettaro, il doppio della Francia) e che continua ad attrarre giovani (sono 115.000 i nuovi imprenditori agricoli under 35 con un aumento di occupazione del 18% nel 2025 sui 12,5 milioni di ettari coltivati). Ecco perché Gesmundo nel sostenere le affermazioni di Vecchioni - «con Bf e Cai è stata offerta agli agricoltori una piattaforma di servizio e un gruppo che vale oltre duemila miliardi» - insiste su due punti: Mercosur e dazi Usa. L’accordo col Sudamerica penalizza l’export (abbiamo importato per 2,3 miliardi in più ed esportato solo per 284 milioni con un calo dell’8% quest’anno), mentre quello sui dazi non solo ci toglie mercato, ma avvantaggia i produttori americani che «sono i primi contraffattori del made in Italy per un valore di oltre 40 miliardi» con tutte le nostre esportazioni dal vino (meno 18%) all’olio (meno 62%) in calo e il caso dei formaggi che diventa clamoroso. Agli americani abbiamo venduto meno 12% in compenso la produzione Usa di formaggi italian style - dal Parmesan alla mozzarella - è arrivata a 2,7 miliardi di chili. Ce n’è d’avanzo per occuparsi delle frontiere europee per tutelare la salute e l’economia.