2024-06-07
Più lavoro, più entrate: il Mef sorride. Il «Sole» inventa la tassa delle banche
Nel primo quadrimestre incassi su del 10% soprattutto grazie alle imposte dirette: segno che l’economia funziona. Ma il quotidiano di Confindustria attribuisce il risultato a un prelievo sugli istituti che non esiste.Arrivano buone notizie sul fronte delle entrate tributarie accertate dallo Stato nel primo quadrimestre. Rispetto allo stesso periodo del 2023, una crescita del 10,5% pari a ben 15,9 miliardi in più. Quasi del tutto ascrivibile alle imposte dirette (+15,9% e +12,9 miliardi) che fanno meglio delle indirette (+4,2% e +2,9 miliardi). Ma, a leggere il Sole 24 Ore di ieri, l’attenzione è tutta verso il ruolo decisivo dell’effetto tassi che «fa volare le imposte sulle banche: +250,1% rispetto al 2023». E, per eliminare qualsiasi perplessità nel lettore dubbioso, nell’articolo si fa poi riferimento a «imposte ordinarie sugli utili degli istituti di credito» che, «in silenzio», hanno determinato un effetto positivo sul gettito. Al contrario della tanta discussa tassa sugli extraprofitti.Ma tutto ciò non è affatto vero. Perché le imposte non sono «sulle banche», ma sono sui risparmiatori. Le banche non sono incise dal prelievo ma, quando pagano interessi e proventi finanziari ai correntisti, sono semplicemente incaricate di trattenere e poi versare allo Stato. Insomma si tratta di quel famoso 26% che chi ha la fortuna di avere risparmi vede sottratto dalle banche prima di ricevere gli interessi netti. Ciò avviene anche per le obbligazioni societarie e per i titoli di Stato su cui le banche prelevano e versano un’imposta sostitutiva che, nella sostanza, funziona come una ritenuta.È la stessa cosa che fa un datore di lavoro che paga stipendi ai suoi dipendenti e trattiene le imposte dovute da questi ultimi, per poi versarle allo Stato. Ma nessuno si sogna di dire che si tratta di imposte «sulle imprese». Ovviamente, è il dipendente che resta inciso dall’imposta, non il datore di lavoro. È semplicemente accaduto che, con il rialzo dei tassi di interesse, partito nel 2022 e protrattosi per buona parte del 2023, le banche hanno, sia pure lentamente, aumentato i tassi corrisposti sui depositi che avevano lungamente stazionato intorno allo zero. Con la crescita dei rendimenti è proporzionalmente aumentata la massa degli interessi e dei proventi che le banche hanno corrisposto ai loro clienti e, se la matematica non è un’opinione, maggiori «interessi e premi corrisposti da istituti di credito» (testuale dalla nota tecnica del Mef) si traducono in maggiori ritenute che nel primo quadrimestre di quest’anno le banche hanno versato nelle casse pubbliche. Tutto qua. Gli utili delle banche non c’entrano nulla. Nessun «effetto opposto» alla tassa sugli extraprofitti. Al limite le banche partecipano anch’esse, come detentrici di attività finanziarie, ad alimentare quel flusso di ritenute. Flusso molto rilevante perché, fino ad aprile, è risultato pari a 6,9 miliardi, ben 4,9 miliardi in più rispetto ai 2 miliardi del primo quadrimestre 2023. Invece il contributo delle banche al gettito Ires lo leggeremo tra giugno, luglio e novembre, quando verseranno i saldi e gli acconti sugli utili di bilancio.Eppure la nota tecnica del Mef si era premurata di spiegare che «l’andamento del gettito è legato alla dinamica dei tassi di interesse passivi applicati dalle banche che, per tutto il 2023, risultano in rialzo soprattutto in relazione alla remunerazione della raccolta di nuovi capitali, mentre quella dei conti correnti resta sostanzialmente stabile nel primo semestre dell’anno». Insomma, più interessi passivi pagati dalle banche sulla nuova raccolta hanno generato più ritenute. Non ci pare si possa equivocare.Però di fatto è accaduto che è passata in secondo piano la vera notizia. E cioè il brillante dato sulle entrate tributarie, soprattutto Irpef e Ires. Comprendiamo come sia difficile constatare che nel primo quadrimestre in Italia si è lavorato, si è prodotto e le società hanno pagato le tasse (Ires +36,5%) con il risultato che il Mef conta quasi 16 miliardi in più in cassa. Ma questi sono i dati. Certamente non funzionali a dipingere un quadro di luoghi comuni da bar in cui il Tesoro è con l’acqua alla gola, gli italiani sono tutti evasori (forse non a caso l’altro articolo in pagina sul Sole stilava improbabili classifiche dell’evasione), il debito pubblico è zavorra e gli interessi sul debito impediscono di pagare la spesa sanitaria.Invece c’è anche un rovescio della medaglia. Se c’è un debitore, da qualche altra parte ci sarà un creditore - molto spesso residente nello Stato - che incasserà interessi sui quali pagherà imposte. Il nuovo scenario di moderata inflazione e tassi ampiamente positivi - non è sicuro che al taglio di ieri da parte della Bce ne seguano ancora tanti altri - aumenta le entrate nominali da imposte sulle attività finanziarie e i conti vanno fatti considerando tutti gli addendi.Tra cui - con buona pace di chi invoca una patrimoniale - non va trascurata l’imposta di bollo del 2 per mille introdotta dal governo Monti nel 2012. Per gli stessi motivi spiegati in precedenza, ha fornito un gettito di 3,6 miliardi (+72,7%) e quindi per 1,5 miliardi su 16 di maggiori entrate, Giancarlo Giorgetti deve anche ringraziare il balzello di Mario Monti.
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)