2018-04-03
«Sogno di progettare un’astronave. Porterò il design nello spazio»
Paolo Pininfarina, presidente dell'omonimo gruppo, erede del leggendario fondatore del marchio: «Il futuro è l'auto elettrica. La condivisione resisterà per le masse e possedere un oggetto rappresenterà sempre più il vero lusso».Ottantotto anni di design e ingegneria da vedere e toccare con mano nel museo di Cambiano, Torino. All'ingresso il busto di Giovanni Battista Farina, per gli amici Pinìn, cioè Giuseppino. Per tutti Pininfarina. Con Giugiaro e Bertona, questa azienda è un pezzo della storia dell'eccellenza italiana. O meglio, del design torinese. Da fine 2015 è passata per il 76% in mani indiane, con l'ingresso del gruppo Mahindra. Ma a guidarla c'è da oltre 30 anni la terza generazione della famiglia Pininfarina. La Verità è stata a Cambiano per incontrare l'attuale presidente, Paolo Pininfarina.Presidente, con Mahindra quest'anno debuttate nel mondo della Formula E. Il vostro rapporto con l'elettrico nasce ben 40 anni fa. Cosa rappresenta per voi? «Siamo sempre stati molto attenti al tema della sostenibilità ambientale. Quello del 1976 fu un progetto realizzato con la Fiat, che anticipò la prima ondata degli anni Novanta. Abbiamo sempre pensato a innovare e la febbre elettrica non ci ha mai spaventato, anzi l'abbiamo cavalcata. Infatti, nel 2008 presentammo al Salone di Parigi la prima citycar elettrica, la Bluecar, sviluppata con la Bolloré (società di Vincent Bolloré, il bretone alla guida di Vivendi, ndr)». È una moda o c'è della sostanza?«La mobilità elettrica è uno dei punti centrali della rivoluzione nel mondo dell'auto. C'è della sostanza, sicuramente: è il modo per ridurre l'inquinamento nei grandi centri urbani, che attirano le grandi migrazioni dalle campagne». La Cina è un modello?«È il motore di quest'innovazione. Ci sono più di dieci aree urbane con 10-15 milioni di cittadini. E l'elettrico diventa quasi un obbligo per ridurre le emissioni. La Cina ha un gap rispetto alla mobilità tradizionale ma l'elettrico offre la possibilità di rovesciare il tavolo per diventare leader, grazie anche a un'industria non appesantita da investimenti sui modelli precedenti».In Europa il dieselgate ha rappresentato una svolta?«Certamente. Fino al 2015 la vecchia Europa tendeva a sminuire. Ma lo scandalo, con il particolato ma soprattutto la disonestà delle aziende, ha alimentato un sentimento negativo verso il diesel e la mancanza di fiducia da parte del consumatore finale. Per certi aspetti è comprensibile una certa resistenza di politica e industria verso un'innovazione così dirompente che minaccia un'industria tradizionale da milioni di posti di lavoro. Ma questo non può giustificare i dati taroccati».Quanto è vicina questa rivoluzione?«Manca pochissimo, perché non è una moda ma un passo inevitabile. Gli anni sono quelli dal 2020 al 2030. Ma le motorizzazioni tradizionali non finiranno, ci sarà un affiancamento graduale. Le prospettive sono quelle di un calo del diesel e di un leggero calo della benzina a favore di una leggera crescita dell'ibrido, che potrà diventare leader nell'extraurbano, e un'enorme aumento dell'elettrico. Che siamo vicini alla rivoluzione lo testimoniano anche le mosse di Enel, pronta a mettere 12.000 stazioni di ricarica in Italia, e di Shell, che doterà i suoi distributori di colonnine elettriche. Il consumatore va verso l'elettrico. E lui ha sempre ragione». Ma l'elettrico sarà anche lusso?«Sarà la nicchia della nicchia. Un esempio è la nostra H2 speed, la prima auto da pista elettrica idrogena. Io la vedo più ambientata negli anni Trenta che negli anni Venti, ma a noi piace anticipare i tempi. È come la Cisitalia del 1947, che assomiglia alle vetture degli anni Sessanta».L'elettrico cambierà anche il design dell'auto?«Questa rivoluzione impone vincoli che spingono noi designer a cercare forme nuove. C'è molto da fare non solo per l'interno ma anche per l'architettura: motori elettrici più piccoli, l'assenza di radiatori e impianti di raffreddamento, batterie al posto del serbatoio per la benzina sono elementi che suggeriscono di compattare la forma per avere vetture più corte e più alte».Come sarà l'auto del futuro targata Pinifarina?«Le rispondo con l'acronimo Case: connected, autonomous, shared, electric. Tutti siamo ormai connessi. Quanto all'autonomo però, il lusso è ancora legato al possesso del bene. Penso che il driveless in questo settore possa esistere ma soltanto come un'opzione: devo poterla guidare sempre tranne quando non ne ho voglia, è quello che viene definito livello quattro. Ma lo step successivo, cioè la guida completamente autonoma senza guidatore, è un mezzo più condiviso di people mover».E quanto alla condivisione e l'elettrico?«L'auto del futuro sarà elettrica ma non condivisa. La vedo come un investimento, un bene».Come sta cambiando l'approccio dei designer?«Il designer dovrà essere multidisciplinare e curioso. Il percorso voluto da mio padre e da me seguito di disegnare non solo automobili ha dato alla nostra azienda una certa poliedricità. Sarà possibile che queste case viaggianti vengano disegnate da architetti di interni. Per questo servirà un approccio flessibile volto alla personalizzazione e non più votato alla standardizzazione».Da presidente di Exclusive brands Torino, una rete di 17 imprese locali, ha parlato della Cina come di un mercato fondamentale. «Aziende come quelle della nostra rete non possono rimanere fuori da un mercato così importante. Detto questo, si tratta di una piazza difficile, che richiede anni per essere compresa. Quest'anno Ebt ha rimandato la sua missione in Cina. La faremo a Londra».Nonostante la Brexit?«Nonostante la Brexit. Abbiamo votato tra Londra, New York e Cina. E ha vinto Londra. È la dimostrazione di quanto la Cina sia attraente, ma un po' spaventosa per la distanza anche di mentalità. C'è il timore di essere copiati e di perdere l'identità. Ma è un'opportunità straordinaria: i cinesi amano la nostra tradizione e investono molto su innovazione e design. Non dimentichiamo che il mondo dell'auto torinese dipende molto dalla Cina: alcune aziende sono in mani cinesi, altre hanno importanti commesse».Qual è il progetto a cui è più legato fuori dal settore automobilistico?«Generalmente ne cito tre, non è facile scegliere. Nella nostra storia abbiamo realizzato 700 automobili e altri 600 progetti non automobilistici, di cui il 60% con il marchio Pininfarina e il resto consulenze di cui nessuno sa. Per il design, scelgo la cucina Ola fatta per Snaidero, il primo prodotto non automobilistico, che ha avuto un riscontro globale come testimonia il fatto che dopo 25 anni è ancora sul mercato. Per l'interior design, lo Juventus stadium, il primo stadio di proprietà d'Italia. E da tifoso, lo uso quasi tutte le domeniche».E l'architettura?«Scelgo il grattacielo Ferra a Singapore. Ma, visto che ci andrò lunedì prossimo, 9 aprile, anche Cyrela, a San Paolo, in Brasile. Inauguriamo la prima torre Pininfarina». L'ultimo progetto è Segno.«Avere accessori per scrittura ma anche pelletteria marchiati Pininfarina rappresenta un salto di qualità. Tutto nasce dalla collezione Segno, frutto della joint venture Signature che ci lega a Napkin forever. Siamo partiti dalla penna Forever, uno strumento che permette di scrivere senza inchiostro né ricariche. Per sempre. E siamo orgogliosi di dire che questa società sta investendo e creando nuovi posti di lavoro».Quali sono i vostri progetti futuri?«Vorrei disegnare per gli astronauti: loro lo chiedono, vogliono andare su Marte in un'astronave di design, non quelle cose meccaniche che vediamo in tv. Per ora abbiamo portato la Forever nello spazio. C'è un progetto europeo ma va a rilento. Non abbiamo fretta, ma mi piacerebbe festeggiare il centenario dell'azienda andando sullo spazio».Lei quando vuole divertirsi che auto sceglie?«La mia seconda macchina, una Ferrari Ff, la prima Ferrari di cui sono stato responsabile del design. Fu un progetto difficile: la prima Ferrari a trazione integrale e con portellone. Dovevo vincere un po' di diffidenza verso di me, che venivo dopo l'ingegner Sergio e l'ingegner Andrea. Fu il frutto della nostra visione a 360 gradi. Mi aiutò Luca Cordero di Montezemolo, che mi disse: “Questa vettura noi non riusciamo a farla. Magari quei 450 progetti non automobilistici che hai alle spalle ti hanno aperto la mente". In mezz'ora guardai la macchina e suggerii otto correzioni. Me la giocai e fu un successo».Cosa sceglie tra tecnologia, comodità o velocità?«Tecnologia e comodità. La mia guida non è aggressiva, sono un gentleman driver. Un po' come mio padre. Invece mio nonno, in pochi lo sanno, era più brutale, aveva un piglio alla maniera di Tazio Nuvolari. In famiglia abbiamo sempre avuto un rapporto particolare con le macchine da corsa: c'è stato Nino Farina, campione di Formula 1 nel 1950. Anche mio nonno correva in auto. Andava davvero forte su vetture molto pericolose. Poi mia nonna gli disse: “Se vuoi sposarmi smetti di correre e fai le cose che sai fare bene". E lui ha così fatto, e ha insistito affinché mio padre non corresse. Io ho fatto un po' di go kart, qualche volta in pista. E ora ci tornerò con l'H2 speed al Salone di Parigi di ottobre».
Ecco #DimmiLaVerità del 9 settembre 2025. Il deputato di Azione Fabrizio Benzinai commenta l'attacco di Israele a Doha, la vicenda di Flotilla e chiede sanzioni nei confronti dei ministri di Israele.