2021-05-09
Pil a picco, la Nigeria ringrazia i pm
Una panoramica dell'impianto Agip sul delta del Niger (Ansa)
Pozzi fermi, economia al collasso. Secondo uno studio il processo all'Eni, risoltosi con «il fatto non sussiste», avrebbe avuto un effetto complessivo di 41 miliardi di dollari.Tra pochi giorni scadrà la licenza di Eni e Shell sul giacimento petrolifero Opl 245 in Nigeria. Passato alla storia come uno degli affari più contestati dell'ultimo decennio - tra processi, accuse di inquinamento e soprattutto di corruzione in tutto il mondo che poi si sono rivelate infondate -, in realtà avrebbe rappresentato un'occasione di crescita per il Paese africano. Ma è tutto fermo, non è mai stata estratta una goccia di greggio. Secondo una ricerca dell'Università di Tor Vergata di Roma del 12 marzo scorso, avrebbe avuto un effetto complessivo sul Pil di 41 miliardi di dollari. Che di sicuro avrebbe aiutato uno Stato dove circa il 70% vive con meno di un dollaro al giorno e il 90% con meno di 2 dollari, dove spesso i cittadini sono costretti a emigrare in Europa per cercare una vita migliore. Il governo nigeriano è perfettamente a conoscenza della situazione. Anzi sembra abbia cercato di approfittarne in questi anni, ai danni delle due compagnie, come dimostra il processo per corruzione internazionale a carico dei vertici di Eni e Shell, finito poi con l'assoluzione in primo grado di tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste». Gli effetti di quel processo, condotto dal procuratore Fabio De Pasquale, si stanno abbattendo in questi giorni nella disputa tra il capo della procura Francesco Greco e il sostituto Paolo Storari. Quest'ultimo - che indagava sul falso complotto per inquinare il procedimento dove il protagonista è l'avvocato «millantatore» Piero Amara - ha sempre contestato la linea di De Pasquale. Fu proprio Storari, nei giorni successivi all'assoluzione, a scrivere nella chat su Whatsapp della Procura. «A volte non si può stare zitti a costo di perdere la propria dignità. Ma di cosa state parlando? Vi siete mai chiesti cosa pensano i cittadini africani di questa situazione? Francesco per piacere non prenderci in giro, io so quello che è successo e un giorno andrà detto fino in fondo». Ecco, che cosa ne pensano i cittadini africani? Di certo questi 10 anni di stallo non hanno di sicuro aiutato un Paese dove la crescita è rallentata bruscamente dal 6,3% nel 2014 allo 00,7 nel 2017. E per di più con un'inflazione che è aumentata dal 7,8% al 16,5 % negli stessi anni.Va ricordato infatti che la Nigeria, ben conoscendo le opportunità economiche, in una prima fase aveva deciso di non costituirsi parte civile cercando di trovare un accordo. Poi aveva cambiato idea, con tutta probabilità cercando di andare ancora all'incasso e seguendo in un certo senso la linea delle Ong che combattono contro i danni ambientali e l'inquinamento. Eppure proprio 3 mesi dopo essersi costituiti a processo, chiedendo un danno di 1,1 miliardo di dollari, l'esecutivo di Abuja aveva chiesto comunque di far valere le clausole di «back-in rights», cioè di esercitare i diritti di estrazione sui pozzi off shore nel golfo di Guinea. L'accusa ha sempre sostenuto che quelle clausole potessero danneggiare i nigeriani, ma sta di fatto che quel giacimento petrolifero è ora pronto per le estrazioni e non è mai stato utilizzato. Ma a quali costi?L'11 maggio, quindi, Eni e Shell potrebbero perdere i loro diritti di estrazione dopo un investimento da parte del cane a sei zampe di più di 7 miliardi di dollari. Cosa ne sarà del blocco petrolifero già funzionante grazie agli interventi delle due compagnie? Sul futuro di Opl 245 pende un arbitrato internazionale presso l'Icsid (International centre for the settlement of the investment disputes), l'organizzazione della Banca mondiale che giudica sulle contese contrattuali internazionali. Il punto è che il governo nigeriano sa perfettamente che quel giacimento è una miniera d'oro. A dirlo adesso è una ricerca di Openeconomics del 12 marzo, spin off dell'Università di Tor Vergata di Roma, impegnata da anni nell'assistere imprese private e pubbliche sugli impatti economici sociali e ambientali degli investimenti. Il team, guidato dal direttore scientifico Pasquale Lucio Scandizzo, già advisor di World bank e Fao, ha effettuato un'analisi accurata delle conseguenze economiche della realizzazione del progetto Opl 245 sulla Nigeria dal punto di vista del sistema Paese spalmandolo su un arco temporale di 25 anni. Nel farlo si è tenuto conto della struttura settoriale dell'economia locale, del mercato dei fattori produttivi nonché della formazione e della redistribuzione del reddito. Grazie a un modello matematico capace di riprodurre i comportamenti del sistema socioeconomico locale, si è così riusciti a simulare le reazioni e le conseguenze in termini delle variabili economiche di rilievo, sia nel breve sia nel lungo periodo. Tutto parte da un presupposto. La misura su cui si basa la ricchezza di un Paese, come deciso dalla Banca mondiale, è il Prodotto nazionale netto che si definisce come la somma algebrica del Pil (Prodotto interno lordo), unito all'aumento o alla diminuzione del capitale naturale e umano. Quindi sono state fatte valutazioni anche sull'impatto ambientale, in particolare come l'inquinamento avrebbe potuto influire o meno proprio sulla ricchezza della Nigeria.Ebbene, dalle analisi dell'Università di Tor Vergata emerge senza ombra di dubbio che il progetto Opl 245 avrebbe potuto generare «importanti effetti economici sull'economia locale». E che anzi, questi effetti «risultano peraltro ancora in gran parte generabili se il progetto venisse riavviato oggi». Le simulazioni effettuate indicano che l'effetto complessivo sul Pil, nell'arco dei 25 anni di vita del progetto, è di 41 miliardi di dollari «a prezzi costanti 2011 (ossia al netto dell'inflazione) in valore attuale valutata a un tasso di sconto del 5%». Secondo Openeconomic, i benefici sarebbero stati «diffusi e si sarebbero estesi a tutti i fattori e alle istituzioni. Sarebbero stati particolarmente «rilevanti per il governo, capitale, le imprese locali». Ci sarebbero stati investimenti sulla formazione scolastica e nuovi posti di lavoro. Per l'Università di Tor Vergata, infatti, si legge a pagina 63 della ricerca, «l'espansione della produzione di petrolio promette infatti una elevata creazione di posti di lavoro, ma la sua dipendenza da settori nuovi e tecnologicamente più sofisticati richiede un miglioramento del sistema scolastico e la riforma della formazione professionale». In conclusione, senza questa inchiesta si può afferamre che la Nigera ci avrebbe guadagnato, l'Eni non ci avrebbe perso. E la giustizia nemmeno.