2025-09-23
I «rimorsi di coscienza» di Pignatone per i soldi dati sottobanco ai mafiosi
Giuseppe Pignatone (Imagoeconomica)
L’ex procuratore: «Non sapevo di Buscemi. Pentito di averlo pagato in nero». Le dichiarazioni di Scarpinato, Grasso e Ingroia avvalorano la tesi dei pm per cui la distruzione delle bobine era un’idea del giudice del Papa.Le carte della Procura di Caltanissetta su Giuseppe Pignatone, per almeno un decennio considerato uno degli esponenti più autorevoli della magistratura italiana, descrivono una parabola che forse spiega, come già sottolineato dal direttore Maurizio Belpietro, meglio di un saggio lo stato (agonico) del nostro sistema giudiziario. Ieri abbiamo raccontato che Pignatone ha ammesso di avere comprato, versando in nero una parte delle somme dovute, diversi locali dalla società immobiliare di tre mafiosi, Francesco Bonura, Salvatore Buscemi e Vincenzo Piazza. Ma ha anche spiegato che al momento dei rogiti non era al corrente dell’appartenenza alla criminalità organizzata dei venditori, per quanto già abbastanza nota persino dentro la commissione Antimafia. Ma la risposta più sorprendente, a proposito dell’evasione fiscale è stata questa: «All’epoca non si sapeva quale fosse la posizione di Salvatore Buscemi. Dopo averlo appreso posso avere avuto un rimorso di coscienza in relazione al fatto che avevo versato in nero una parte del prezzo dell’immobile».Pare che il problema principale per l’ex presidente del Tribunale vaticano non fosse quello di avere comprato casa dai boss a prezzo di saldo (per la Procura di Caltanissetta a metà del valore reale, 75 milioni di lire anziché 130), bensì avere dato soldi sottobanco (20 milioni) a dei picciotti. Ma Pignatone, nel lungo interrogatorio del 9 luglio, ha lanciato frecciate anche a Gioacchino Natoli, come lui indagato con l’accusa di avere favorito le cosche insabbiando un fascicolo proprio sui fratelli Buscemi e su Bonura, attraverso la distruzione di bobine e brogliacci: «I miei rapporti con Natoli, che considero un grande magistrato, non sono mai stati amichevoli, per un problema “culturale” che non è legato solo a Giammanco (Pietro, controverso ex procuratore di Palermo). Natoli e la sua corrente (il gruppo progressista dei Verdi, ndr) si sono sempre opposti alle mie domande per ruoli direttivi». Poi ha aggiunto: «A stento ci salutavamo». La disposizione di smagnetizzare le intercettazioni e di distruggere i brogliacci è stata impartita da Pignatone e da Natoli nell’ambito del procedimento relativo alle infiltrazioni nella gestione delle cave di marmo di Carrara, allora concesse dallo Stato al gruppo Ferruzzi, da parte della famiglia mafiosa Buscemi/Bonura, quella che, una dozzina d’anni prima, aveva venduto immobili a Pignatone, ai suoi parenti e a un altro pm come Guido Lo Forte. Per gli inquirenti quel fascicolo venne archiviato troppo velocemente, le indagini sarebbero state fatte in modo approssimativo e l’ordine di cancellare le prove sarebbe stato dato per seppellire per sempre l’indagine aperta nei confronti dei mafiosi che avevano venduto appartamenti alle toghe. La Procura di Caltanissetta in questi mesi ha accertato che, in realtà, alla richiesta di Natoli e Pignatone, fortuitamente, non è stato dato seguito dagli uffici e ciò ha consentito il riascolto di quelle conversazioni che fornivano elementi utili perfino alla ricostruzione di un duplice omicidio che coinvolgeva il boss Bonura, vale a dire colui, lo ripetiamo, che ha ceduto gli immobili alla famiglia Pignatone. Considerata la rilevanza e l’anomalia della vicenda i pm hanno, quindi, investigato a fondo su tale diktat anche perché l’aggiunta a penna che disponeva, ad abundantiam, «la distruzione dei brogliacci» era stata subito disconosciuta da Natoli.Davanti ai magistrati nisseni Pignatone ha ammesso la paternità della chiosa: «Diciamo che al 99% è la mia grafia, fermo restando, al solito, cioè che io non è che mi ricordo […] allora queste circolari, questi modelli, queste cose, le scrivevo io insieme a Lo Forte, certe cose di più lui, certe cose di meno…». Il procuratore Salvo De Luca ha contestato a Pignatone l’unicità dell’atto nella parte in cui dispone la distruzione dei brogliacci: «Il provvedimento del dottor Natoli (firmato il 25 giugno del ‘92, ndr), secondo la documentazione a nostra disposizione, sarebbe il primo provvedimento preso in carico dal Cit (Centro intercettazioni, ndr)». Gli inquirenti hanno scodellato anche un’intercettazione del 30 giugno 2024 tra l’ex procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso e Natoli, nella quale l’aggiunta a penna viene definita «fraudolenta». De Luca riporta così le parole di Grasso: «La distruzione dei brogliacci non mi risulta che si facesse […] quindi mi sembra un’aggiunta un po’ fraudolenta […] mi pare che i brogliacci non c’era motivo di distruggerli». Le accuse di Grasso al suo vecchio collaboratore appaiono molto gravi, soprattutto se si considera che, a giudizio di Natoli, Pignatone sarebbe stato, nei primi anni Duemila, il «braccio destro» dello stesso Grasso alla Procura di Palermo. In Procura hanno letto a Pignatone altre intercettazioni ambientali di conversazioni intrattenute da Natoli con alcuni famigliari. Per esempio le microspie hanno registrato la voce di Stefania C., figlia della moglie: «La domanda è: perché Pignatone deve avere aggiunto una cosa a mano? Perché voleva i brogliacci distrutti? Tu ti sei fatto un’idea?». Natoli: «Perché pensano che Pignatone potesse avere dei rapporti con i Buscemi».La donna, viceambasciatrice presso la Fao, insiste: «Sì, ma tu che idea ti sei fatto?». Natoli: «Che potrebbero avermi fatto il trappolone, con l’impiegato». Stefania C.: «Perché io che non ci sia buona fede da parte di Pignatone tenderei a darlo per certo, perché sennò non avrebbe nominato un avvocato due mesi prima, perché tu, in buona fede, una cosa di 32 anni fa non te la ricordi come non te la ricordavi tu […] quello che per noi è assurdo, perché appunto tu non c’entri niente […] potrebbe avere senso, a questo punto ne ha, se Giammanco ha preso del denaro e Pignatone pure; Caltanissetta potrebbe non avere torto! Su di te sì, ovviamente, ma non su quelli là!». Natoli: «Certo, certo». Stefania C.: «Potrebbero addirittura non avere torto». Natoli: «Infatti, infatti».De Luca, a Natoli, ricorda l’intercettazione e chiede conferma all’indagato dell’ipotesi fatta con la «figlia». Il magistrato sotto inchiesta prova a svicolare: «Non ho indicato nessuno, mi sono limitato a una constatazione…». De Luca lo incalza: «Lei ammette che è possibile che ci sia stata una trappola del dottore Pignatone insieme a Galati (l’impiegato, ndr)…». Una «trappola micidiale» soggiunge il procuratore. E l’indagato alla fine non nega e fa mettere a verbale questa risposta: «Sembro ammettere che potrebbe essermi stata “tesa una trappola”. Devo dire che si tratta di una ricostruzione fatta a livello possibilistico. Confermo quanto abbiamo detto in intercettazione».Natoli, così sospettoso in casa, spende, però, parole al miele per Pignatone con il collega Armando Spataro, anche lui storico esponente della corrente dei Verdi e intercettato a sua volta: «Devo ringraziare Pignatone, e tu sai i problemi che abbiamo avuto con lui» esordisce Natoli, mentre Spataro annuisce. «Mi ha trovato dal suo archivio personale le circolari (sulla distruzione dei brogliacci, ndr)… dal punto di vista umano mi sta facendo molto bene, perché Giuseppe sta dimostrando veramente un’affettuosità che io non merito». Spataro, stavolta, dissente.Sulla vexata quaestio delle smagnetizzazioni ha dato il proprio contributo anche l’ex pm palermitano Roberto Scarpinato, oggi senatore del M5s. Le parole attribuite al politico sono queste: «L’argomento non fu mai affrontato in seno alla Dda, io non sapevo neppure che si dovesse procedere alla smagnetizzazione e, in base al mio carattere, non avrei mai proceduto, neanche se fossi stato a conoscenza dell’esistenza di disposizioni in tal senso […]. Non sapevo neppure di precedenti provvedimenti analoghi». Per Scarpinato, Pignatone «lasciò il procedimento Mafia e appalti (di cui quello sulle cave di marmo era una sorta di costola, ndr) perché emerse che il padre era il presidente di Espi, che aveva una partecipazione in Sirap (società in quel momento al centro di un’inchiesta, ndr)». E, a proposito delle «porcherie di Giammanco» di cui avrebbe discusso con Natoli, Scarpinato liquida la frase come un «riferimento al modo in cui Giammanco aveva trattato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, emarginandoli».De Luca ha contestato a Pignatone anche quanto messo a verbale dall’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia: «Non ricordo se nel ‘92 vi fosse una prassi per la smagnetizzazione delle bobine, a mia memoria non ho mai redatto provvedimenti di questo tipo». Per l’ex giudice di papa Francesco, però, Ingroia è un tipino poco credibile: «Devo dire che, sulla veridicità delle dichiarazioni di quest’ultimo, si deve avere riguardo all’anno in cui le ha rese […]. Dopo che è uscito dalla magistratura, ha iniziato ad aggiungere alcuni elementi alle sue dichiarazioni. Preferisco non dire la ragione per la quale, a mio avviso, vi è stata questa progressione». In conclusione, dalle chiacchiere in famiglia su un possibile «trappolone», alle dichiarazioni di Scarpinato, Grasso e Ingroia, sembra che tutti gli elementi raccolti dalla Procura convergano su un punto: l’ideazione del provvedimento di distruzione delle intercettazioni e dei relativi brogliacci era farina del sacco di Pignatone. Il quale dovrà spiegare il motivo di una mossa tanto discutibile. Ma i dubbi toccano anche un secondo filone arrivato da Massa-Carrara e che aveva lo stesso oggetto del fascicolo archiviato su richiesta di Natoli, cioè gli affari nelle cave dei mafiosi immobiliaristi. Venne assegnato da Borsellino proprio a Pignatone e Lo Forte e non già a Natoli perché evidentemente il giudice ucciso in via d’Amelio nulla sapeva del procedimento trattato e archiviato da Natoli, ma aveva ben capito che la vicenda delle cave di marmo era connessa a Mafia e appalti, appannaggio di Pignatone e Lo Forte. Sennonché, incredibilmente, il fascicolo assegnato da Borsellino è stato dirottato dai due pm sul tavolo di Natoli e archiviato poco dopo. A verbale, lo stesso Natoli dà una lettura poco convincente di quel passaggio di consegne: «Pignatone e Lo Forte mandarono gli atti a me perché ritennero che afferissero al mio procedimento […]. Non so dire perché Borsellino abbia assegnato la nota (massese, ndr) dell’aprile 1992 a loro. Ritengo che se la avesse ricollegata a Mafia e appalti avrebbe chiesto conto e ragione dell’esito della nota». Purtroppo, a Palermo, molte cose venivano tenute nascoste al magistrato che le cosche avrebbero trucidato da lì a poche settimane.
(Ansa)
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