2025-09-23
Paura del voto, l’Europa blinda conti e leggi
L’ex premier francese, il macroniano Gabriel Attal, propone di infilare in Costituzione la «non regressione dei diritti»: in pratica, l’impossibilità di mettere mano alle norme pro Lgbt. Intanto, l’Ue accelera sul bilancio per timore della vittoria della Le Pen.La tecnocrazia alle corde tenta di depositare le suo uova del drago negli spazi politici che sta per perdere. In Francia, in particolare, dove Emmanuel Macron segna il suo record di impopolarità (solo il 17% dei francesi crede ancora in lui), ci si sta già attrezzando per far trovare un campo minato a chi arriverà dopo. Domenica, al meeting di Renaissance - è l’ennesimo nome escogitato del partito macroniano - l’ex premier Gabriel Attal ha buttato lì una idea balzana che la dice lunga sullo stato d’animo di certi ambienti. Dopo aver di fatto cercato di svincolarsi dal suo protettore in caduta libera («Cessiamo di credere al mito dell’uomo della Provvidenza e accettiamo di condividere il potere»), Attal ha tirato fuori dal cilindro la sua boutade: il principio di «non-régression sociétale». Sociétal è un termine intraducibile che si riferisce a quell’insieme di temi che qui da noi vengono detti dei «diritti» (distinguendosi, quindi, da social, che riguarda invece l’ambito più strettamente economico). In pratica, Attal vuole scrivere in Costituzione che «nessuna legge possa rimettere in discussione diritti, progressi, conquiste ottenuti con dure lotte». Un modo, decisamente distopico, di legare le mani ai futuri governi. Probabilmente si tratta solo di una trovata per strappare l’applauso al pubblico altolocato e sofisticato della convention macronista, ma la logica sottesa alla proposta resta inquietante, oltre che ampiamente radicata nel mondo delle élite tecnocratiche in crisi di legittimità: non serve alcuna narrazione alternativa, basta mettere i bastoni fra le ruote a quelli che hanno i voti. Attal dice di ispirarsi al principio di «non regressione ambientale», normato dall’articolo 110-1 del codice francese per l’ambiente, che impone un «miglioramento costante» della protezione della natura. Un altro bel capolavoro, frutto peraltro di una visione linearista e unidimensionale del progresso, che concepisce solo un «avanti» (sempre buono) e un «indietro» (sempre cattivo), di per se dati per scontati e sottratti a qualsiasi dibattito. Chi stabilisce, infatti, se una nuova tecnologia è migliorativa o no per l’ambiente? Chi stabilisce se una legge che tutela, mettiamo, i minori oggetto di tratta per utero in affitto, costituisca una regressione o una progressione etica? Filosofia a parte, è ovvio che qui si tratta semplicemente di blindare, e quindi di sottrarre al controllo democratico di futuri governi, il numero maggiore di ambiti politici. Ovviamente la cosa non riguarda solo i temi etici, ma anche e soprattutto i «soldoni». Va infatti in questo stesso senso il tentativo dell’Unione europea di accelerare l’approvazione del bilancio settennale per timore della vittoria di Marine Le Pen. Secondo quanto riportato da Politico, la preoccupazione principale è che una leadership del Rassemblement national possa bloccare i piani finanziari dell’Ue. Il partito della Le Pen, infatti, ha tra i suoi obiettivi la riduzione dei contributi francesi al bilancio comunitario e il taglio degli aiuti militari all’Ucraina. Per questo motivo, il Consiglio europeo punta ad adottare il bilancio per il periodo 2028-2034, che ammonta a 2.000 miliardi di euro, prima della fine del 2026. Questa tempistica permetterebbe di rendere irrilevante l’influenza del futuro presidente francese, che entrerà in carica dopo le elezioni del 2027. Non che la Le Pen, data ampiamente in testa in tutti i sondaggi, abbia la strada spianata per l’Eliseo: il sistema del doppio turno e i vari «fronti repubblicani» che creano accozzaglie anti lepeniste hanno finora evitato il grande terremoto. Per non parlare, poi, del fatto che Marine è ancora legalmente impossibilitata a candidarsi a causa di una condanna del 31 marzo, che le ha imposto il divieto di ricoprire cariche pubbliche per cinque anni. Sebbene la politica abbia presentato ricorso, la sentenza rimane in vigore, precludendole di fatto la partecipazione alle elezioni presidenziali del 2027, a meno di un ribaltamento della sentenza in appello, previsto per l’estate del 2026. Ma - si sono detti ai piani alti di Bruxelles - perché rischiare? La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che anche altri Paesi chiave come Spagna e Italia andranno al voto nel 2027. La Danimarca, che detiene attualmente la presidenza del Consiglio europeo, sta spingendo per accelerare i negoziati, un approccio che sta generando malcontento tra alcuni Stati membri che lamentano di non avere abbastanza tempo per valutare le questioni in discussione. Il progetto di bilancio dell’Ue, presentato a luglio, prevede lo stanziamento di 100 miliardi di euro per l’Ucraina, una cifra che rappresenta il 5% del totale. Tuttavia, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha criticato questo importo, suggerendo che dovrebbe essere almeno il 20% per finanziare adeguatamente l’adesione di Kiev all’Ue. Budapest ha chiesto una revisione del piano, un processo che potrebbe prolungare le discussioni fino al 2027, dato che l’approvazione del bilancio richiede il consenso unanime di tutti i Paesi membri.Insomma, è partita la corsa contro il tempo. Bisogna fare presto, per fare in modo che i futuri governi sgraditi trovino già l’agenda pronta e preparata da altri. Oppure si potrebbe fare politica: cercare di essere più convincenti dei sovranisti, ottenere voti, andare al governo, rivestire il proprio programma di un’aura che non trasudi solo autoritarismo burocratico e spocchioso. Naa, troppa fatica.
Emmanuel Macron all'assemblea generale dell'Onu (Ansa)
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