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2024-07-07
Piano pandemico non aggiornato, il gip prende tempo sull’archiviazione
Silvio Brusaferro (Ansa)
Entro 90 giorni sapremo se l’ultimo filone del procedimento sul mancato aggiornamento del piano pandemico, e la sua mancata attuazione verrà archiviato, o se gli indagati verranno rinviati a giudizio. Venerdì il gip del tribunale di Roma, Anna Maria Gavoni, ha sentito gli avvocati difensori che non erano riusciti a parlare nell’udienza del 20 giugno e ora dovrà prendere una decisione nei confronti dei funzionari Ranieri Guerra, Giuseppe Ruocco, Maria Grazia Pompa, Francesco Maraglino, accusati di rifiuto di atti d’ufficio; di Claudio D’Amario, Mauro Dionisio, Loredana Vellucci e sempre Guerra e Maraglino per il reato di falso in atto pubblico; dell’ex presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, di D’Amario e di Angelo Borrelli, ex capo della Protezione civile, per la mancata attuazione del piano pandemico nazionale.
Già era stato un buon segnale che il magistrato avesse accolto la memoria presentata da alcune decine di familiari delle vittime del Covid a Bergamo (fascicolo trasferito a Roma per competenza), che si erano opposti alla richiesta di archiviazione del sostituto procuratore di Roma, Claudia Terracina, dello scorso novembre. Il procedimento è così rimasto in pedi e nelle due ultime udienze, oltre alle persone offese e ai loro legali erano presenti gli avvocati degli indagati, che si sono riportati alle memorie e ai documenti depositati eccependo, per taluni, anche la prescrizione del reato contestato.
«La linea è sempre stata quella di sostenere che non c’era una legge che imponesse di aggiornare il piano pandemico del 2006 e qualcuno ha continuato ad affermare che era impossibile attuarlo perché nemmeno sapevano che esistesse un piano pandemico», fa sapere l’avvocato Consuelo Locati a nome del team legale dell’associazione dei familiari delle vittime. Quanto al reato di falso in atto pubblico, per i questionari con le autovalutazioni trasmessi all’agenzia Onu, nonché alla Commissione Ue fino al 4 febbraio 2020 e che dovevano informare del grado di preparazione a una eventuale emergenza sanitaria da pandemia, i funzionari della direzione Prevenzione sanitaria del ministero della Salute hanno ribadito di aver detto il vero rispondendo che l’Italia era perfettamente pronta e che avevamo anche un piano pandemico adeguato. È stato addirittura dichiarato che i questionari non sono obbligatori ma discrezionali, come se questo autorizzasse a dire una cosa per un’altra. «Però ci siamo accorti che è cambiata la strategia difensiva», evidenzia l’avvocato Locati. «Gli indagati non fanno più “gruppo”, che sostiene di non avere responsabilità, ma ognuno “corre” per sé cercando di difendersi e di non andare a processo». Anche tirando in ballo la prescrizione. «Come ha provato a fare l’ex direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco, sostenendo che secondo lui non c’era alcun obbligo di legge di aggiornare il piano pandemico, ma se anche ci fosse stato, invoca la prescrizione perché nel 2014 non occupava più quel ruolo». Non è così pacifico, dunque, che non ci sia alcuna possibilità di condanna per questi funzionari perché, quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari «non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna bisogna chiedere l’archiviazione e non esercitare l’azione penale», come sosteneva la Procura nella richiesta del novembre scorso rifacendosi alla legge Cartabia. Afferma Locati: «Nell’udienza del 20 giugno e soprattutto in quella del 5 luglio è emerso, invece, che solo un dibattimento può accertare quali sono e se ci sono state delle responsabilità degli indagati nella gestione della pandemia».
Intanto i giornali preferiscono continuare a battere sul Covid con un ingiustificato allarme aumento contagi. Hanno ripreso il vizio di pubblicare nel fine settimana il bollettino dei nuovi casi, 2.504 tra il 20 e il 26 giugno che rappresentano un +20,1% rispetto alla settimana precedente. Dal sito del ministero della Salute attingono i dati sui test risultati positivi al Covid, 437 il 26 giugno ovvero +17,5% rispetto allo stesso giorno della settimana precedente. L’infezione «si sta facendo largo tra spiagge e turisti complicando la vita a chi cerca un po’ di sole e relax», scrive Repubblica, che distribuisce consigli a chi è sotto l’ombrellone e non vuole più sentir parlare di virus. Non sottovalutare il malessere, farsi un tampone che «non va fatto subito, semmai dopo qualche giorno» dichiara Pier Luigi Lopalco, docente di epidemiologia all’Università del Salento. Un po’ di vigile attesa è sempre indicata. Il professore invita a curarsi a casa «ma non senza aver prima consultato il medico di famiglia». Nell’elenco delle raccomandazioni ci sono tante ovvietà, come il non utilizzo degli antibiotici, di ivermectina e idrossiclorochina, antivirali solo se servono e buon Covid estivo a tutti.
Liste d’attesa, tra gli emendamenti lo stop ai vaccini coatti per i minori
Allineare l’Italia alle normative europee e internazionali riducendo il numero di vaccini obbligatori nei minori, promuovendo un approccio basato sull’informazione e il consenso informato: è l’obiettivo dell’emendamento presentato dalla Lega al decreto Liste d’attesa, al vaglio del Senato. Nel dettaglio, la proposta è di cancellare l’obbligo e rendere solo «raccomandati», per i minori fino a 16 anni e i minori stranieri non accompagnati, la vaccinazione contro morbillo, rosolia, parotite e varicella e di consentire, ai bambini che non sono stati vaccinati per quelle malattie, di essere iscritti alle scuole per l’infanzia, comprese quelle private non paritarie. La modifica della legge Lorenzin del 2017 è stata avanzata «in considerazione del fatto che l’assetto degli obblighi vaccinali presente nel nostro Paese si pone come fortemente esteso rispetto al panorama europeo e internazionale - recita l’emendamento - e tale situazione si pone in conflitto con quanto statuito dalla nostra Carta costituzionale, ai sensi delle prescrizioni di cui all’articolo 32 in ordine ai termini dell’obbligatorietà dei trattamenti sanitari». Secondo il Carroccio, l’attuale estensione degli obblighi vaccinali potrebbe essere vista come un eccesso rispetto ai principi costituzionali di libertà individuale e autodeterminazione. «Siamo l’unico paese in Europa, forse con la Francia, ad avere 12 vaccinazioni obbligatorie per i bambini», ha dichiarato il senatore Claudio Borghi. «La legge Lorenzin era una sperimentazione e non mi sembra che i risultati ci siano: la pertosse, ad esempio, ricomincia. Non sono io ma è la letteratura scientifica che dice che l’obbligo è un sistema per creare rifiuto non per aumentare la copertura». Sottolineando il primato dell’informazione all’obbligo, e ricordando quanto accaduto con la vaccinazione anti-Covid, il senatore osserva che «sarebbe il caso di prendere atto che le cose non funzionano e dire che non si scherza con il costringere la gente, soprattutto i bambini, a fare trattamenti sanitari per legge, condizionando l’accesso a scuola. Non convinci chi è contrario, con l’obbligo: crei solo rabbia, rifiuto, violenza e discriminazione». A stretto giro è arrivata la replica della senatrice del Pd, ministro della Salute nel 2017, Beatrice Lorenzin: «Purtroppo proposte del genere non hanno nulla di scientifico. Lisciano solo il pelo ai no vax e minano la fiducia tra il cittadino e il medico. L’obbligo vaccinale ha funzionato e sta funzionando». Critico anche il presidente di Noi Moderati, Maurizio Lupi, che attacca l’emendamento definendolo «una sciocchezza». Intanto, la Lega ha presentato un emendamento anche su un’altra questione di particolare attualità, il Fascicolo sanitario elettronico. «Ci sono stati rilievi del Garante della privacy», ricorda il senatore ed «effettivamente in molti casi si tende ad usare una certa leggerezza nell’uso dei dati sanitari. È evidente che il Fse può avere implicazioni molto positive ma c’è anche l’aspetto che molti cittadini si sentono schedati e pensano che non sia il caso di condividere i loro dati nelle forme che al momento sono sicure ma che tante volte abbiamo visto poi non esserlo». Tra gli altri emendamenti presentati dalla maggioranza al Ddl che inizia il suo iter parlamentare, spiccano, alla luce della nuova legge sull’autonomia differenziata, la possibilità, per le Regioni, di decidere autonomamente il fabbisogno di specializzandi e di trattenere in servizio, su base volontaria, personale sanitario fino a 70 anni. Per ridurre gli accessi al ponto soccorso, c’è inoltre la proposta di istituire un Fondo per incentivare l’acquisto, da parte dei medici di famiglia e dei pediatri, di servizi o soluzioni digitali per la gestione dei pazienti con telemedicina e televisita, così come l’istituzione di una Rete di medicina territoriale «Salute globale» (One Health).
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Entro tre mesi il giudice deciderà se mandare a processo. Guerra e gli altri indagati. Ma i giornali pensano ai contagi in spiaggia.Lega: «Le profilassi siano solo consigliate». La Lorenzin: «Lisciano il pelo ai no vax».Lo speciale contiene due articoli.Entro 90 giorni sapremo se l’ultimo filone del procedimento sul mancato aggiornamento del piano pandemico, e la sua mancata attuazione verrà archiviato, o se gli indagati verranno rinviati a giudizio. Venerdì il gip del tribunale di Roma, Anna Maria Gavoni, ha sentito gli avvocati difensori che non erano riusciti a parlare nell’udienza del 20 giugno e ora dovrà prendere una decisione nei confronti dei funzionari Ranieri Guerra, Giuseppe Ruocco, Maria Grazia Pompa, Francesco Maraglino, accusati di rifiuto di atti d’ufficio; di Claudio D’Amario, Mauro Dionisio, Loredana Vellucci e sempre Guerra e Maraglino per il reato di falso in atto pubblico; dell’ex presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, di D’Amario e di Angelo Borrelli, ex capo della Protezione civile, per la mancata attuazione del piano pandemico nazionale. Già era stato un buon segnale che il magistrato avesse accolto la memoria presentata da alcune decine di familiari delle vittime del Covid a Bergamo (fascicolo trasferito a Roma per competenza), che si erano opposti alla richiesta di archiviazione del sostituto procuratore di Roma, Claudia Terracina, dello scorso novembre. Il procedimento è così rimasto in pedi e nelle due ultime udienze, oltre alle persone offese e ai loro legali erano presenti gli avvocati degli indagati, che si sono riportati alle memorie e ai documenti depositati eccependo, per taluni, anche la prescrizione del reato contestato. «La linea è sempre stata quella di sostenere che non c’era una legge che imponesse di aggiornare il piano pandemico del 2006 e qualcuno ha continuato ad affermare che era impossibile attuarlo perché nemmeno sapevano che esistesse un piano pandemico», fa sapere l’avvocato Consuelo Locati a nome del team legale dell’associazione dei familiari delle vittime. Quanto al reato di falso in atto pubblico, per i questionari con le autovalutazioni trasmessi all’agenzia Onu, nonché alla Commissione Ue fino al 4 febbraio 2020 e che dovevano informare del grado di preparazione a una eventuale emergenza sanitaria da pandemia, i funzionari della direzione Prevenzione sanitaria del ministero della Salute hanno ribadito di aver detto il vero rispondendo che l’Italia era perfettamente pronta e che avevamo anche un piano pandemico adeguato. È stato addirittura dichiarato che i questionari non sono obbligatori ma discrezionali, come se questo autorizzasse a dire una cosa per un’altra. «Però ci siamo accorti che è cambiata la strategia difensiva», evidenzia l’avvocato Locati. «Gli indagati non fanno più “gruppo”, che sostiene di non avere responsabilità, ma ognuno “corre” per sé cercando di difendersi e di non andare a processo». Anche tirando in ballo la prescrizione. «Come ha provato a fare l’ex direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco, sostenendo che secondo lui non c’era alcun obbligo di legge di aggiornare il piano pandemico, ma se anche ci fosse stato, invoca la prescrizione perché nel 2014 non occupava più quel ruolo». Non è così pacifico, dunque, che non ci sia alcuna possibilità di condanna per questi funzionari perché, quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari «non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna bisogna chiedere l’archiviazione e non esercitare l’azione penale», come sosteneva la Procura nella richiesta del novembre scorso rifacendosi alla legge Cartabia. Afferma Locati: «Nell’udienza del 20 giugno e soprattutto in quella del 5 luglio è emerso, invece, che solo un dibattimento può accertare quali sono e se ci sono state delle responsabilità degli indagati nella gestione della pandemia».Intanto i giornali preferiscono continuare a battere sul Covid con un ingiustificato allarme aumento contagi. Hanno ripreso il vizio di pubblicare nel fine settimana il bollettino dei nuovi casi, 2.504 tra il 20 e il 26 giugno che rappresentano un +20,1% rispetto alla settimana precedente. Dal sito del ministero della Salute attingono i dati sui test risultati positivi al Covid, 437 il 26 giugno ovvero +17,5% rispetto allo stesso giorno della settimana precedente. L’infezione «si sta facendo largo tra spiagge e turisti complicando la vita a chi cerca un po’ di sole e relax», scrive Repubblica, che distribuisce consigli a chi è sotto l’ombrellone e non vuole più sentir parlare di virus. Non sottovalutare il malessere, farsi un tampone che «non va fatto subito, semmai dopo qualche giorno» dichiara Pier Luigi Lopalco, docente di epidemiologia all’Università del Salento. Un po’ di vigile attesa è sempre indicata. Il professore invita a curarsi a casa «ma non senza aver prima consultato il medico di famiglia». 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Nel dettaglio, la proposta è di cancellare l’obbligo e rendere solo «raccomandati», per i minori fino a 16 anni e i minori stranieri non accompagnati, la vaccinazione contro morbillo, rosolia, parotite e varicella e di consentire, ai bambini che non sono stati vaccinati per quelle malattie, di essere iscritti alle scuole per l’infanzia, comprese quelle private non paritarie. La modifica della legge Lorenzin del 2017 è stata avanzata «in considerazione del fatto che l’assetto degli obblighi vaccinali presente nel nostro Paese si pone come fortemente esteso rispetto al panorama europeo e internazionale - recita l’emendamento - e tale situazione si pone in conflitto con quanto statuito dalla nostra Carta costituzionale, ai sensi delle prescrizioni di cui all’articolo 32 in ordine ai termini dell’obbligatorietà dei trattamenti sanitari». Secondo il Carroccio, l’attuale estensione degli obblighi vaccinali potrebbe essere vista come un eccesso rispetto ai principi costituzionali di libertà individuale e autodeterminazione. «Siamo l’unico paese in Europa, forse con la Francia, ad avere 12 vaccinazioni obbligatorie per i bambini», ha dichiarato il senatore Claudio Borghi. «La legge Lorenzin era una sperimentazione e non mi sembra che i risultati ci siano: la pertosse, ad esempio, ricomincia. Non sono io ma è la letteratura scientifica che dice che l’obbligo è un sistema per creare rifiuto non per aumentare la copertura». Sottolineando il primato dell’informazione all’obbligo, e ricordando quanto accaduto con la vaccinazione anti-Covid, il senatore osserva che «sarebbe il caso di prendere atto che le cose non funzionano e dire che non si scherza con il costringere la gente, soprattutto i bambini, a fare trattamenti sanitari per legge, condizionando l’accesso a scuola. Non convinci chi è contrario, con l’obbligo: crei solo rabbia, rifiuto, violenza e discriminazione». A stretto giro è arrivata la replica della senatrice del Pd, ministro della Salute nel 2017, Beatrice Lorenzin: «Purtroppo proposte del genere non hanno nulla di scientifico. Lisciano solo il pelo ai no vax e minano la fiducia tra il cittadino e il medico. L’obbligo vaccinale ha funzionato e sta funzionando». Critico anche il presidente di Noi Moderati, Maurizio Lupi, che attacca l’emendamento definendolo «una sciocchezza». Intanto, la Lega ha presentato un emendamento anche su un’altra questione di particolare attualità, il Fascicolo sanitario elettronico. «Ci sono stati rilievi del Garante della privacy», ricorda il senatore ed «effettivamente in molti casi si tende ad usare una certa leggerezza nell’uso dei dati sanitari. È evidente che il Fse può avere implicazioni molto positive ma c’è anche l’aspetto che molti cittadini si sentono schedati e pensano che non sia il caso di condividere i loro dati nelle forme che al momento sono sicure ma che tante volte abbiamo visto poi non esserlo». Tra gli altri emendamenti presentati dalla maggioranza al Ddl che inizia il suo iter parlamentare, spiccano, alla luce della nuova legge sull’autonomia differenziata, la possibilità, per le Regioni, di decidere autonomamente il fabbisogno di specializzandi e di trattenere in servizio, su base volontaria, personale sanitario fino a 70 anni. Per ridurre gli accessi al ponto soccorso, c’è inoltre la proposta di istituire un Fondo per incentivare l’acquisto, da parte dei medici di famiglia e dei pediatri, di servizi o soluzioni digitali per la gestione dei pazienti con telemedicina e televisita, così come l’istituzione di una Rete di medicina territoriale «Salute globale» (One Health).
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Ansa
«La polizia aveva l’incarico di essere presente durante il festival», ha spiegato Minns a Sky News Australia. «Da quanto mi risulta, c’erano due agenti nel parco all’inizio della sparatoria. Altri erano nelle vicinanze e un’auto è arrivata poco dopo». Parole che hanno alimentato ulteriormente le polemiche: come si può ritenere adeguata una simile presenza in un contesto di allerta elevata e con un pubblico così numeroso?
Con il passare delle ore, intanto, emergono nuovi elementi sul profilo degli attentatori, Sajid Akram, 50 anni, e suo figlio Naveed, 24. I due hanno aperto il fuoco durante la celebrazione di Hanukkah, colpendo indiscriminatamente i presenti prima di essere neutralizzati: Sajid è morto durante l’azione, mentre Naveed è rimasto gravemente ferito, è sopravvissuto e ieri si è svegliato dal coma. Lontani dall’immagine stereotipata del terrorista clandestino, i due conducevano una vita apparentemente ordinaria. Sajid Akram gestiva un piccolo esercizio di frutta e verdura, mentre Naveed lavorava come operaio fino a pochi mesi fa e, già nel 2019, era finito sotto osservazione delle forze dell’ordine per frequentazioni con ambienti radicalizzati legati a una moschea estremista di Sydney, gravitanti attorno alla figura di Isaak El Matari, jihadista australiano noto agli apparati di sicurezza. Una svolta delle indagini è arrivata ieri quando fonti dell’antiterrorismo hanno riferito all’Abc che Naveed Akram è un seguace di Wisam Haddad, predicatore salafita ferocemente antisemita di Sydney apertamente schierato su posizioni pro Isis, del quale vi abbiamo parlato ieri. Haddad, attraverso i suoi legali, ha immediatamente respinto ogni accusa di coinvolgimento diretto nell’attacco.
Sul fronte internazionale, Nuova Delhi ha fatto sapere che Sajid Akram era nato a Hyderabad ed era arrivato in Australia nel 1998 con un visto per motivi di studio. Pur avendo fatto ritorno in India solo poche volte, aveva mantenuto la cittadinanza indiana. Naveed, invece, nato a Sydney nel 2001, è cittadino australiano. Secondo le autorità indiane, Sajid non avrebbe più intrattenuto rapporti con il Paese d’origine. Un altro tassello chiave riguarda il recente viaggio dei due uomini nelle Filippine. Le autorità australiane hanno confermato che padre e figlio hanno trascorso l’intero mese di novembre a Mindanao, indicando come meta finale la città di Davao. Sono rientrati il 28 novembre via Manila, prima di fare ritorno a Sydney. Mindanao è da decenni teatro di insurrezioni armate e ospita gruppi jihadisti legati ad al-Qaeda e, in misura minore, allo Stato Islamico. «Le ragioni del viaggio e le attività svolte restano oggetto di indagine», ha precisato il commissario di polizia del New South Wales, Mal Lanyon.
La mattina dell’attacco, i due avrebbero detto ai familiari di voler andare a pescare. In realtà si sono diretti in un appartamento preso in affitto, dove avevano accumulato armi acquistate legalmente e ordigni artigianali, poi disinnescati dagli artificieri.
Il premier australiano, Antony Albanese, ha attribuito il movente all’ideologia dello Stato Islamico, citando il ritrovamento di bandiere dell’Isis. Eppure, a differenza di altri attentati, l’organizzazione jihadista non ha rivendicato l’azione. Contrariamente a quanto si tende a credere lo Stato islamico non è una sigla simbolica aperta a chiunque decida di agire in suo nome. È - e continua a essere, nonostante la perdita del controllo territoriale in Siria e Iraq - un’organizzazione strutturata, dotata di una rigida catena di comando, di regole operative precise e di una dottrina definita sulla legittimità delle azioni armate. Proprio per questo motivo l’Isis non rivendica mai attentati compiuti da singoli individui non inseriti in una rete riconosciuta.
Sempre ieri è stato diffuso un video registrato da una dashcam, trasmesso da 7News, che mostra una violenta colluttazione tra Sajid Akram e un uomo in maglietta viola nei pressi di un ponte pedonale, poco prima dell’inizio della sparatoria. L’uomo e la donna presenti nella scena sono stati identificati come Boris e Sofia Gurman, coppia ebreo-russa residente a Bondi. Boris, 69 anni, e Sofia, 61, sono stati i primi a perdere la vita. Il loro tentativo disperato di fermare gli attentatori avrebbe però rallentato l’azione, contribuendo a salvare altre vite. Un dettaglio che restituisce tutta la drammaticità di una tragedia segnata dalle incredibili falle nella sicurezza.
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Mohamed Shahin (Ansa)
Lo scorso 24 novembre, il Viminale aveva disposto l’espulsione dell’imam, denunciandone il «ruolo di rilievo in ambienti dell’islam radicale, incompatibile con i principi democratici e con i valori etici che ispirano l’ordinamento italiano» e definendolo «messaggero di un’ideologia fondamentalista e antisemita», oltre che «responsabile di comportamenti che costituiscono una minaccia concreta attuale e grave per la sicurezza dello Stato». Il ministero dell’Interno si era mosso dopo che Shahin, alla manifestazione pro Pal del 9 ottobre, si era dichiarato «d’accordo» con le stragi del 7 ottobre 2023, da lui definite una «reazione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi». Parole che, a giudizio della Procura torinese, rappresentano l’«espressione di un pensiero che non integra gli estremi di reato».
Lunedì, il verdetto che lo ha liberato dal Cpr siciliano - l’uomo è stato trasferito in una località segreta del Nord - è stato accompagnato da una polemica sul suo dossier, reso top secret dal dicastero. Ciò non ha impedito ai giudici di «prendere atto» di «elementi nuovi», rispetto a quelli disponibili alla convalida del trattenimento. Tra essi, l’immediata archiviazione del procedimento per le frasi sugli attacchi di Hamas. Inoltre, per le toghe, pur avendo partecipato a un blocco stradale, il 17 maggio scorso, nel comportamento dell’imam non si ravvisava alcun «fattore peculiare indicativo di una sua concreta e attuale pericolosità». E i suoi «contatti con soggetti indagati e condannati per apologia di terrorismo», recitava la nota della Corte, «sono isolati e decisamente datati», «ampiamente spiegati e giustificati». Un cittadino modello.
In realtà, scavando, si appura che i controversi legami di Shahin, ancorché «datati» e «giustificati», sono comunque inquietanti. Secondo quanto risulta alla Verità, nel 2012, quest’individuo bene «integrato» sarebbe stato fermato dalla polizia di Imperia assieme a Giuliano Ibrahim Delnevo. Chi era costui? Uno studente genovese di 23 anni, convertito all’islam e ucciso nel 2013 in Siria, dove stava combattendo con i ribelli di Al Nusra, affiliata ad Al Qaida. Sempre nel 2012, l’imam fu immortalato nella foto che pubblichiamo qui accanto, al fianco di Robert «Musa» Cerantonio, il «jihadista più famoso d’Australia» - in Australia si è appena consumata la mattanza di ebrei - condannato nel 2019. Cerantonio fu ripreso anche davanti a San Pietro con la bandiera nera dell’Isis. Minacciò: «Distruggeremo il Vaticano». Cinque anni più tardi, nell’ambito delle indagini su un musulmano radicalizzato a Torino, Halili Elmahdi, sarebbe stata registrata una conversazione nella quale il sospettato consigliava a un’altra persona di rivolgersi a Shahin. Intendiamoci: Halili Elmahdi era considerato il «filosofo dell’Isis» ed evocava il «martirio» e la «guerra santa» come unica via per «i buoni musulmani». Se i contatti di Shahin sono datati, forse c’è una ragione che non ha per forza a che fare con la svolta moderata dell’imam di Torino: Delnevo è morto 12 anni fa; Elmahdi è rimasto in carcere fino al 2023.
Ieri, a 4 di sera su Rete 4, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, caustico verso certe sentenze «fantasiose», frutto di un «condizionamento ideologico», ha confermato i «segnali di vicinanza di Shahin a soggetti pericolosi», andati «a combattere in scenari di guerra come quello della Siria». Era il caso di Delnevo, appunto. Alla domanda se l’imam fosse pericoloso, Piantedosi ha risposto che «lo era per gli analisti, per gli operatori, per le cose che avevamo agli atti». Non per i giudici. La cui decisione «ci amareggia, perché vanifica il lavoro che c’è dietro, degli operatori di polizia che finora hanno tenuto immune il nostro Paese dagli attentati terroristici».
È questo il nocciolo della questione. Giorgia Meloni, lunedì, ha usato toni durissimi: «Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani», ha tuonato, «se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici?». Nell’esecutivo serpeggia autentica preoccupazione. La Verità ha appreso che, da quando a Palazzo Chigi si è insediata la Meloni, sono stati espulsi dall’Italia ben 215 islamici radicalizzati. In pratica, uno ogni cinque giorni. È questa vigilanza, associata al lavoro di intelligence, che finora ha preservato il nostro Paese. La magistratura applica le norme, bilanciando gli interessi legittimi. Ed è indipendente. Ma sarebbe bene collaborasse a tutelare l’incolumità della gente comune. Ad andare troppo per il sottile, si rischia di finire come il Regno Unito, dove i tribunali islamici amministrano una giustizia parallela, basata sul Corano. Per adesso, lo spirito è un altro: l’Anm del Piemonte si è preoccupata solo delle «esternazioni di alcuni membri del governo» e dell’«attività di dossieraggio riscontrata anche nell’ambito di plurimi social network» sui giudici che hanno liberato il predicatore, ai quali l’associazione ha manifestato «piena e incondizionata solidarietà».
Ieri sera, l’imam di Torino ha auspicato di poter «portare avanti quel progetto di integrazione e inclusione, di condivisione di valori positivi e di vita pacifica, di fede e di dialogo, intrapreso tanti anni fa». Ma per lui, la partita giudiziaria non è chiusa. Il Viminale ha annunciato ricorso contro la liberazione dal Cpr. Lunedì ci sarà un’udienza al Tar del Lazio sull’annullamento del decreto di espulsione di Piantedosi. Gli avvocati di Shahin hanno impugnato anche la revoca del permesso di soggiorno di lungo periodo davanti al Tar del Piemonte; se ne riparlerà a gennaio. Infine, c’è la richiesta di protezione internazionale avanzata dall’imam. La Commissione territoriale di Siracusa l’aveva respinta, ma il tribunale di Caltanissetta ha sospeso il pronunciamento alla luce dalla «complessità della vicenda in esame». Un bel paradosso: dovremmo dare asilo a uno che officia i matrimoni plurimi? Altro che pro Pal: in piazza ci vorrebbero le femministe.
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Lasciando perdere il periodo della pandemia, credo che sia sufficiente prendere i dati economici conseguiti dal nostro Paese. Secondo le previsioni, l’arrivo a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, cioè di una populista in camicia nera, avrebbe contribuito a scassare i conti pubblici e a farci perdere quel briciolo di rispetto che era stato conquistato con Mario Draghi alla guida del governo. Invece niente di tutto questo è accaduto. In tre anni sono stati smantellati il reddito di cittadinanza e il Superbonus, dando garanzia ai mercati sul contenimento del deficit sotto il 3 per cento. I poveri non sono aumentati, come invece sosteneva l’opposizione e prima ancora qualche professore. Né sono crollate le imprese edili. I salari sono saliti e, anche se non hanno recuperato il gap degli anni precedenti, quanto meno sono stati al passo con l’inflazione dell’ultimo triennio. Quanto all’occupazione il saldo è positivo, come da tempo non si vedeva. Per non parlare poi dei dazi, di cui la sinistra unita ai suoi trombettieri quotidiani attribuiva la responsabilità indiretta all’attuale maggioranza, giudicata troppo trumpiana. Nonostante l’aumento delle tariffe, l’export delle nostre imprese verso gli Stati Uniti è andato addirittura meglio che in passato.
I centri per il trattenimento e il rimpatrio in Albania, tanto criticati dai compagni e dalla stampa e osteggiati in ogni modo dalla magistratura, dopo oltre un anno di pregiudizi ora sono ritenuti una soluzione possibile se non auspicabile addirittura dal Consiglio d’Europa.
Ma il meglio la classe politica e quella giornalistica l’hanno dato con la guerra in Ucraina. Per anni ci sono state raccontate un cumulo di fesserie, sia sull’efficacia delle sanzioni messe in campo contro la Russia (ricordate la famosa atomica finanziaria, ossia l’esclusione della banche russe dal circuito delle transazioni internazionali, che avrebbe dovuto mettere Putin con le spalle al muro in un amen?) sia sugli armamenti decisivi del conflitto che America ed Europa avrebbero potuto mettere a disposizione di Kiev. Per non dire poi delle iniziative Ue, con i volenterosi a spacciare patacche per soluzioni. Anche in questo caso l’Italia era descritta come una Cenerentola, tenuta ai margini delle iniziative concordate da quei due fulmini di guerra di Keir Starmer e Emmanuel Macron: fosse per loro, e per i giornalisti che gli hanno dato credito, la tregua forse si raggiungerebbe nel secolo prossimo venturo. Tralascio quelli che spingevano per il riconoscimento della Palestina, invitando a seguire l’esempio di Francia e Spagna: come si è visto, le varie dichiarazioni non sono servite a nulla e l’unica speranza per Gaza era e resta il piano di Trump.
Che dire? Se i giornaloni volessero riconoscere di aver scritto una montagna di sciocchezze andremmo avanti per settimane. Ma state tranquilli, nemmeno questa volta ammetteranno gli errori. Sono giornalisti con l’eskimo, mica cretini.
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