2023-02-01
Valerio Petterle: «Le morti improvvise sono in aumento»
Valerio Petterle. Nell'illustrazione, ipotalamo e ghiandola pineale, la più piccola sulla sinistra (IStock)
Il medico che certifica i decessi in Veneto: «Tra i defunti di mezza età, uno su due era sano. In tutti noto danni alla ghiandola pineale, come se il loro sistema immunitario fosse deteriorato. Ai cadaveri si fanno ancora tamponi: se positivi, sono allontanati dai parenti».La Cochrane Library sulle mascherine: chirurgica o Ffp2 cambia poco, è più efficace lavarsi le mani.Lo speciale contiene due articoli.Da sette anni, certifica decessi in abitazioni private e Rsa di circa 25 Comuni della Sinistra Piave, la parte orientale della provincia di Treviso. Un incarico reso ancora più delicato e complesso per il Covid, che ha esasperato procedure e imposto regole dure da cancellare, sebbene lo stato di emergenza sia terminato dieci mesi fa. Valerio Petterle, 63 anni, specializzato in urologia, medicina legale e criminologia clinica, è il medico necroscopo dell’Ulss 2 della Regione Veneto, competente per la Marca Trevigiana.Che cosa fa esattamente?«Sono l’ufficiale di polizia mortuaria, incaricato di certificare il decesso di una persona. Condizione indispensabile, perché l’ufficiale di stato civile ne autorizzi la sepoltura. Visito i morti, ecco che cosa faccio. Nel mio caso, la telemedicina non è prevista. Intervengo anche in caso di incidenti stradali, annegamenti, morti violente».Quindi, la constatazione del decesso può essere effettuata da un medico di assistenza primaria, di guardia, o del 118, mentre invece a lei spetta l’accertamento della morte? «Sì, e ha finalità medico legali. Verifico la correttezza della diagnosi. Per esempio, non accetto che si scriva “arresto cardiaco”, che presuppone una ripresa, nemmeno il cuore fosse un motorino con la batteria scarica. Se una persona è deceduta, è morte cardiaca». Quanti accertamenti compie ogni giorno?«Ultimamente, non meno di dieci e non più di venti nell’arco delle ventiquattr’ore. In piena pandemia, quando ero il solo a entrare negli ospizi, il numero di morti era diverso. Non immagina quanto uso di varichina si facesse, per cospargere il telo in cui si avvolgeva la salma degli ospiti deceduti per o con Covid. La regola dei test non è cambiata, nemmeno se spiri a casa tua».Ancora tamponi Covid-19 ai deceduti?«Sì, a tutti. Quando arriva il 118 e il medico si trova davanti una persona in fin di vita o già morta, assieme alla constatazione del decesso fa eseguire il tampone. Il risultato del test, continua a comparire nella diagnosi di morte. Trovo assurdo, fare il tampone a un defunto, non c’è questa indicazione nel kit».Come sarebbe a dire?«Sono da utilizzare “per motivi clinici e di urgenza”, spiega il foglietto illustrativo, quindi nelle persone in vita. Provi a pensare: se si fa l’esame del sangue a un cadavere, la macchina di un laboratorio non lo può “processare” perché ha parametri sui vivi».E se il defunto risulta positivo?«In base a una circolare interna dell’Azienda sanitaria, viene trattato come morto per Covid. Messo in un sacco barriera, sigillato con nastro adesivo e portato all’obitorio, dove il sacco impermeabile sarà avvolto in un lenzuolo imbevuto di soluzione disinfettante e deposto nel feretro. Dopo l’incassamento, i familiari non potranno più avvicinarlo».Perché questa crudeltà, a pandemia conclusa?«Non sa quante proteste, ma nessuno ascolta il dolore di chi vorrebbe rispetto per il proprio defunto. So che qualche infermiere fa mostrare per qualche attimo il volto del congiunto, anche se non è permesso».Vittorio Fineschi, ordinario di medicina legale all’Università Sapienza di Roma, dichiarò che «non vi sono contagi diretti tra operatori e cadaveri». Ancor meno, ci si immagina, con un familiare che veglia in preghiera o dà l’estremo saluto.«Nessuno di noi si è mai infettato con il cadavere di un morto per malaria, epatite o altro. La carica di infettività è così bassa da escludere contagi. E sono stati sempre messi nella sala del commiato».Si muove da solo, nel territorio che le è stato assegnato?«Certo, e si parla di un centinaio di chilometri. Porto con me indumenti monouso e dispositivi di protezione, mi cambio nell’abitazione del defunto, poi butto il tutto in un apposito sacco che consegno all’obitorio».Che tipo di morti vede?«In persone sane, sportive, di mezza età e senza patologie cliniche, negli ultimi cinque mesi la metà dei decessi è per Sads, la sindrome della morte improvvisa dell’adulto. Anche ieri, due uomini di 54 e 55 anni se sono andati così, all’improvviso, nelle loro abitazioni. Erano in salute». Morti cardiache improvvise, come quelle che alcuni studi hanno correlato alla vaccinazione anti Covid?«Non so se sia stata miocardite o morte elettrica, sicuramente una morte cardiaca. Per loro, ho richiesto l’autopsia». Come mai il riscontro diagnostico?«Quando nulla risulta all’anamnesi, in assenza di altre patologie e se una persona ancora giovane muore improvvisamente, senza assistenza medica, la dispongo d’ufficio. Lo prevede il regolamento. Poi, con l’avanzare dell’età, ci sono quasi sempre patologie cardiovascolari, neurologiche, diabete e il medico si orienta su queste cause di decesso».Le autopsie che ha predisposto, hanno rivelato problematiche alle quali bisognerebbe prestare attenzione?«Infarto del miocardio, molto frequente. E la quasi “scomparsa” della ghiandola pineale (ai margini del terzo ventricolo - una cavità del cervello che contiene liquido cerebrospinale -, rilascia ormoni nell’organismo attraverso il sistema circolatorio, ndr). Un’atrofia riscontrata dagli anatomopatologi, sulla quale bisognerebbe indagare. Può essere conseguenza di scarsa produzione di ormoni e segnale di un deterioramento del sistema immunitario. Qualche cosa, ha bloccato il normale funzionamento di ghiandole vitali».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/petterle-morti-improvvise-2659338771.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="uno-studio-internazionale-conferma-la-mascherina-non-riduce-i-contagi" data-post-id="2659338771" data-published-at="1675249260" data-use-pagination="False"> Uno studio internazionale conferma: la mascherina non riduce i contagi Altro che obbligo di mascherina, lavarsi le mani sarebbe più efficace nel limitare la trasmissione dei virus respiratori, Sars-Cov2 compreso. Sono le conclusioni di una revisione di 78 studi pubblicata in questi giorni dall’autorevole Cochrane Library, che aggiorna quella del 2020. Sull’argomento, il network internazionale indipendente che valuta le evidenze scientifiche sull’efficacia di specifici interventi sanitari, da decenni raccoglie dati sulla trasmissione di virus influenzali e responsabili delle infezioni respiratorie, dalla Sars del 2003 all’influenza (H1N1) del 2009 fino al Covid. Tra le misure considerate nella revisione ci sono i diversi interventi fisici nell’interrompere o ridurre la diffusione dei virus respiratori: screening, isolamento, quarantene, distanziamento, mascherine, igiene delle mani e occhiali o visiere. La cosa interessante è che nella decina degli studi aggiunti, sei sono stati condotti durante la pandemia in contesti eterogenei: dalle scuole suburbane ai reparti ospedalieri dei Paesi ad alto reddito; centri urbani affollati in Paesi a basso reddito; e un quartiere di immigrati in un Paese ad alto reddito. L’aderenza agli interventi è stata bassa in molti studi, e questo è un limite, ma negli ambienti ospedalieri, dove l’attenzione è certamente più elevata, i risultati non sono cambiati. Le evidenze raccolte mostrano, con «moderata certezza», che indossare o meno la mascherina chirurgica in ambienti comunitari fa poca o nessuna differenza sulla trasmissione dei virus simil-influenzali, Covid compreso, anche per gli operatori sanitari. Gli esperti hanno quindi confrontato l’efficacia delle Ffp2 rispetto alle mascherine chirurgiche in contesti sanitari e domestici. Le prove sono limitate ma, osservano i ricercatori, l’uso di una o l’altra, «probabilmente fa poca o nessuna differenza per l’esito oggettivo» sulla trasmissione dell’infezione influenzale. Restringendo l’osservazione agli operatori sanitari, complessivamente «non ci sono state differenze». In particolare, uno studio appena pubblicato, e realizzato negli ospedali di quattro Paesi, ha registrato una «non inferiorità» di efficacia tra mascherine chirurgiche ed Ffp2 tra gli operatori che prestavano assistenza diretta a pazienti con Covid. Sorprende che non siano stati misurati i possibili effetti sulla salute dovuti all’uso delle mascherine, ma «in diversi studi è stato rilevato il disagio di mantenere a lungo le Ffp2 e le chirurgiche». Sull’argomento, studi precedenti hanno evidenziato che un uso prolungato dei dispositivi è associato a cariche virali più elevate e più gravi sintomi nelle persone infette, disturbi della pelle, tosse, difficoltà respiratorie, attacchi di panico e un aumento sostanziale dell’anidride carbonica (CO2) inalata, che a sua volta può causare altri sintomi come confusione mentale. A sorpresa, gli autori osservano che l’igiene delle mani, misura decisamente meno costosa delle precedenti, riduce modestamente, del 14%, il rischio di malattie respiratorie quando adottata in scuole, asili e case. In termini assoluti questo beneficio porterebbe complessivamente a una riduzione di circa 327-380 eventi per 1000 persone. I dati aggregati su influenza e infezioni respiratorie portano il valore all’11%, pari a 178-200 eventi in meno su 1000 persone. Anche se sono ancora obbligatorie negli ambienti sanitari, le evidenze sono «incerte» sull’efficacia delle mascherine, comprese le Ffp2, nel ridurre le infezioni respiratorie, compreso il Covid. Sarebbe meglio lavarsi le mani: è più efficace e meno costoso.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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