2021-05-09
Il pensiero unico ha stufato pure i suoi figli
Il rapper Emis Killa, famoso per i brani scurrili, sbotta: «Il politicamente corretto ha rotto». Intanto Achille Lauro, icona gender fluid, scopre che basta poco per essere additati come omofobi. Alla fine persino i compari di Fedez ne hanno abbastanza della censura.Ci è voluto il criticatissimo monologo dei comici Pio e Amedeo, ma alla fine, come era facile immaginare, il bubbone è esploso, e a deflagrare ha impiegato persino meno tempo del previsto. Anche gli artisti italiani stanno cominciando a scoprire il meraviglioso mondo del politicamente corretto, e a quanto pare non lo gradiscono granché. Ad aprire le danze via social network è stato Emis Killa, uno dei nomi più autorevoli nell'ambiente del rap, il quale è intervenuto nella discussione con la finezza che lo contraddistingue: «Sto politicamente corretto ha rotto il cazzo», ha scritto. «Non ci si può sentire offesi per qualsiasi cosa». E fin qui l'uscita è abbastanza prevedibile, dopo tutto stiamo parlando di un cantante che non ci va per il sottile: utilizza un linguaggio piuttosto pesante, non si tira indietro quando c'è da sfoggiare il turpiloquio e spesso esibisce una blasfemia decisamente sgradevole. Insomma, è un candidato perfetto allo sbianchettamento dei testi. C'è tuttavia un passaggio molto interessante nel suo ragionamento: «Di sto passo», sostiene Emis Killa, «va a finire che se uno stronzo ti mette le mani addosso e reagisci devi sperare che sia italiano, etero e atletico se no sei razzista, omofobo o “bullo"». Il riferimento al ddl Zan, voluto o meno, è piuttosto evidente. E non viene certo da un fan della destra, tutt'altro. Killa, dopo una serie di tweet che gli hanno procurato una mare di critiche, ha concluso così: «Ora mi guardo Frozen con mia figlia e vi auguro una buona notte. Ps: speriamo nessuno si incazzi perché il pupazzo di neve l'han fatto bianco». A colpire, qui, non è tanto che un rapper abituato a dire parolacce sia violentemente contrario al controllo del linguaggio. Si potrebbe addirittura pensare che una bella ripulita ai suoi testi non sarebbe nemmeno troppo fuori luogo. Il punto vero è il clamoroso cortocircuito che Emis Killa mette in luce. Da un lato c'è una cultura - che non si può certo definire conservatrice o tradizionalista - secondo cui ogni cosa è concessa. I mantra li conosciamo, no? Si può, anzi si deve, fare tutto ciò che si vuole; bisogna ribellarsi all'autorità; non esistono limiti o confini di alcun tipo… L'altra faccia di questa cultura, però, è il politicamente corretto. Proprio perché le tradizioni e i valori comuni sono stati distrutti e «vale tutto», l'unico modo di garantire una parvenza di convivenza civile è la proliferazione di regole. In pratica, l'illusione della libertà sfrenata si risolve nella burocratizzazione totale e in una strana forma di puritanesimo neoliberista. Ed è così che il rapper si trova a incarnare il brutale spirito dei tempi e, contemporaneamente, ad esserne vittima. Curioso destino dei ribelli plastificati di oggi: sono contro la religione, la Chiesa, la famiglia, tutte le istituzioni considerate «repressive». Poi si accorgono che, quando tali istituzioni perdono forza, sono sostituite da qualcosa di peggio: il politicamente corretto e le leggi che vogliono limitare l'uso delle parole. Semplificando: due genitori attenti potrebbero consigliare al figlio di filtrare con attenzione i testi dei rapper, di prenderli per quello che sono (smargiassate, per lo più). Ma se i genitori non valgono più nulla o non ci sono, ecco che interviene la mordacchia. Il cortocircuito si fa ancora più evidente nel caso di Achille Lauro. Costui si è fatto portabandiera del pensiero dominante. Da un paio d'anni si è autoproclamato ambasciatore della «fluidità di genere» a Sanremo. È diventato il perfetto esempio della finta libertà imposta dal sistema, ma adesso pare farne le spese. Lauro ha pubblicato un lungo sfogo sui social in cui sostiene di essere stato attaccato per aver solidarizzato con Pio e Amedeo (secondo i quali non si dovrebbe proibire l'uso di parole quali «frocio» e «negro»). Scrive Lauro: «Per un commento riferito alla solidarietà su lavoratori dello spettacolo mi hanno dato dell'omofobo, dopo anni che mi danno del “frocio" pensando di offendermi». Al netto del vittimismo, che ormai è una costante da ogni parte, il cantante è comprensibilmente spaesato: proprio lui che tanto ha nuotato nel mare arcobaleno viene accusato di omofobia? Eppure succede anche questo: quando la Grande Sorella buonista domina, nessuno è al sicuro. Ne sa qualcosa lo stesso Fedez, il quale ha montato un gran casino per sostenere la legge bavaglio chiamata ddl Zan. Gli è stato fatto notare - anche su queste pagine - che se il progetto voluto da Pd e 5 stelle diventasse legge, pure lui potrebbe finire nel tritacarne grazie ai suoi testi (vecchi e nuovi, e con cui ancora fa soldi) ruvidamente omofobi, misogini e discriminatori. È il guaio della censura: se le dai un dito, può divorarti braccia e gambe. Finché si tratta di punire chi dice patenti bestialità sui forni crematori è facile essere d'accordo. Ma il raggio d'azione della mordacchia ci impiega un attimo ad allargarsi. E ci vuole un soffio a trovare qualcuno più vittimista, più moralista e più buonista di te che sia pronto a zittirti. In nome dei «diritti», ovviamente.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
Continua a leggereRiduci