2025-12-03
Investimenti post guerra e dollari: l’oro della Banca d’Italia è del popolo
Palazzo Koch, sede della Banca d'Italia (Ansa)
Le riserve auree del nostro Paese non appartengono alla cassa centrale ma a tutti noi.«Vogliamo mettere le cose in chiaro. L’oro di Banca d’Italia è frutto del lavoro della nostra gente. È di sua proprietà. In Italia la proprietà di ogni immobile, automobile e barca è registrata. Perché non dovrebbe valere lo stesso per un patrimonio di quasi 300 miliardi?». Sono le dichiarazioni rilasciate al Financial Times dal capogruppo dei senatori di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, primo firmatario di un emendamento alla legge di bilancio che stabilisce che «le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono al popolo Italiano».Claudio Borghi, collega senatore della Lega, sottolinea come sarebbe ancor più saggio riformulare il tutto facendo, invece, riferimento alla «proprietà dello Stato italiano». La questione non è di mera forma ma di sostanza. O, meglio, talvolta la forma è sostanza. E mai come in questo caso. Borghi aveva presentato nel 2019, all’epoca del governo giallo-verde, una proposta di legge interpretativa della normativa che aveva avuto il placet della Banca centrale europea. Quest’ultima era stata, infatti, preventivamente informata con un gesto di cortesia istituzionale. E la risposta ufficiale di Francoforte nulla eccepiva in proposito. Riportava, anzi, come i trattati non stabiliscano la competenza del Sistema europeo delle Banche centrali (Sebc) e della Bce «per quanto riguarda le riserve ufficiali, utilizzando la nozione di proprietà». È, cioè, pacifico che l’oro sta nei caveau di una Banca centrale a titolo di deposito e gestione. Chi, quindi, sostiene che quell’oro è di proprietà di Banca d’Italia - peraltro solo formalmente in mano a banche e assicurazioni in quanto istituto di diritto pubblico che infatti distribuisce dividendi al Tesoro e non agli altri azionisti se non simbolicamente - dice una cosa che non sta in piedi.Ma il solo chiarire questo punto scatena reazioni avverse non secondarie. Salvatore Rossi, già direttore generale di Banca d’Italia, solleva come la questione sia propedeutica alla successiva cessione dell’oro per ridurre il debito pubblico. In verità, l’unico che immaginava tale sconcezza era il premier Romano Prodi che nell’agosto del 2007 salutava come «positivo» il dibattito sul tema. Avessimo dato retta a lui ci saremmo disfatti all’epoca, per appena 40 miliardi di euro, ciò che oggi vale quasi 300. Quest’ultima sì che è un’evenienza esclusa dai trattati. Ma se lo diceva Prodi, andava tutto bene. L’oro serve, infatti, alla Banca centrale per gestire la politica monetaria. Non per ridurre il debito.Ma l’emendamento Malan non c’entra nulla con questo. La portata della discussione ha al momento una forte valenza simbolica e politica. Quest’ultima sarebbe pratica solo al momento di un’eventuale disgregazione dell’eurozona. Coi tempi che corrono, a maggior ragione è bene mettere le cose in chiaro. Ma vi sono anche ragioni storiche connesse al modo in cui queste riserve si sono formate (e oggi pari a 2.452 tonnellate) che inducono a ritenere senza equivoci che la proprietà di quell’oro sia del popolo italiano. Dello Stato italiano. Della Repubblica italiana. Insomma, scegliete voi la formula che più vi aggrada.Lo spiegava il governatore emerito di Banca d’Italia, Antonio Fazio, in un’intervista rilasciatami e pubblicata su questo giornale il 15 agosto 2021. Fazio argomentava come l’Italia fosse diventato il terzo Paese al mondo quanto a riserve auree. «Abbiamo saggiamente investito i surplus commerciali del dopoguerra in oro. Quegli investimenti sono stati, nel tempo, estremamente profittevoli grazie alla rivalutazione. È da sempre una sicurezza per la nostra moneta anche come parte dell’euro. La stampa specializzata spesso criticava questa nostra politica. Salvo, poi, ricredersi». La Fed ha, cioè, accettato dollari che può stampare all’infinito in cambio di oro, per definizione limitato. Questo spiega perché oltre il 40% del nostro oro sia tutt’ora depositato in America. Per poi aggiungere: «Ci accordammo nell’ambito del Sebc (Fazio è sempre stato allergico ad utilizzare il termine Bce, ndr) per conferirvi un minimo di riserve in oro. Che poi hanno in parte venduto e costruito una sede imponente. Vabbè». Chi, quindi, sostiene oggi goffamente che quell’oro sia di proprietà di Christine Lagarde è come se dicesse che, se avesse investito il 5% del suo patrimonio in Generali, quest’ultima sarebbe proprietaria del rimanente 95% del patrimonio totale. Esiste una scemenza più scemenza di questa?